Dossier

iXem Labs: eccellenza mondiale nella lotta al digital divide

Il progetto per l'Amazzonia

Orellana foresta amazzonica Grazie alla vittoria in un concorso internazionale indetto dalla Banca Interamericana per lo sviluppo, il sistema di trasmissione wireless degli iXem Labs che nel 2007 ha stabilito il record assoluto inviando dati a 300 chilometri di distanza, sarà utilizzato nel cuore dell'Amazzonia, per far giungere in presidi sanitari isolati i pareri di medici specialisti e per promuovere la formazione degli studenti in paesini sperduti.

Il bando della Banca mirava a promuovere soluzioni tecnologiche accessibili e capaci di migliorare la qualità della vita nelle aree più povere e a rischio dell'America Latina e dei Caraibi. Una giuria internazionale composta da rappresentanti delle più prestigiose Università e aziende ha selezionato 141 progetti, provenienti da 27 diversi Paesi del mondo. I ricercatori del Politecnico di Torino hanno proposto, in collaborazione con la Fondazione «Nambi», un piano per ridurre l’isolamento delle scuole e dei servizi sanitari nella provincia di Orellana, una delle più povere dell'Ecuador. «Oltre al nostro», spiega Daniele Trinchero, «sono stati selezionati un progetto del Mit di Boston, uno dell'Unicef e uno dell'Università della Bolivia. Ovviamente è una grande soddisfazione».

Ma, come spesso accade, accanto a chi si congratulava, c’è stato chi ha sollevato obiezioni individuando nel progetto una forma di “neocolonialismo” culturale, che avrebbe imposto la civiltà occidentale ai villaggi dove gli indios invece vivono secondo le loro tradizioni. «In realtà», puntualizza il professore, «la nostra rete non verrà realizzata presso tribù indigene, ma in villaggi di contadini. Dunque andremo a interagire con persone che hanno ritmi e costumi di vita moderni, anche se caratterizzati da grande povertà, e che spesso sono obbligate ad abbandonare le aree in cui vivono per spostarsi nelle grandi città, dove possono accedere a scuole e assistenza medica. Si tratta insomma di soggetti fortemente motivati a fruire di un avanzato sistema di comunicazione e anche ad apprenderne la gestione».

Trinchero DanieleIngegner Trinchero, in Amazzonia userete lo stesso software messo a punto per il Monte Rosa?

Sì. Là addirittura pensiamo di portare una versione ancora più semplificata, perché il nostro obiettivo è di permettere a quelle persone di utilizzare e gestire da sole il sistema. L’ideale, a livello dimostrativo, sarebbe riuscire a insegnare tutto da Torino. In ogni caso l’obiettivo è limitare al minimo indispensabile il nostro intervento, perché in prospettiva la soluzione dovrà essere gestita in piena autonomia in qualunque posto del pianeta venga esportata. Questo, peraltro, credo sia uno dei requisiti che è piaciuto maggiormente alla Banca.

E a livello di hardware cosa farete?

In pratica utilizzeremo vecchi pc che, opportunamente riprogrammati con il nostro software derivato da Linux (quindi open source) e collegati ad antenne adeguate, si trasformeranno in potenti trasmettitori e funzioneranno da aaccess point della rete. Quindi di fatto non utilizzeremo alcuna nuova tecnologia. Anche le antenne non deve avere requisiti particolari: magari le prestazioni saranno un po’ inferiori al nostro record di trasmissione a distanza, ma d’altra parte non credo sia necessario arrivare a 300 km.

Anche in quel caso non dovranno esserci ostacoli tra un punto di accesso a l’altro?

Abbiamo dimostrato che si può trasmettere anche in presenza di ostacoli non troppo consistenti (una montagna, per intenderci, non si può oltrepassare); se le distanze non sono enormi, la comunicazione può avvenire comunque, a patto di lavorare un po’ sulla robustezza del segnale. In ogni caso la «visibilità ottica» è la condizione ideale, almeno per i punti topici che faranno da collettori delle informazioni. La rete che abbiamo progettato, dunque, si baserà su più punti in visibilità ottica tra loro, da ciascuno dei quali partiranno reti di comunicazione con i villaggi limitrofi.

Da dove è partita la vostra iniziativa? Perché insomma proprio l’Amazzonia?

La scorsa primavera la Banca Interamericana per lo sviluppo ha indetto un bando per progetti rivolti all’America Latina. La scadenza era il 20 giugno 2008. Noi ne siamo venuti a conoscenza solo il 5 giugno, ma abbiamo deciso di partecipare comunque al concorso. Non era impossibile: 15 giorni potevano bastare. Anche perché, grazie alla sperimentazione sul Monte Rosa, avevamo già la soluzione in mano e dovevamo solo adattarla. Abbiamo scelto l’Ecuador perché è il Paese più povero dell’America Latina. In verità la nostra difficoltà principale è stata trovare un referente locale: avremmo anche potuto farne a meno, ma in un’area del genere era troppo rischioso non avere un intermediario sul posto. Abbiamo dunque rivolto un appello a tutti quelli che potevano fornirci indicazioni su come muoverci in Ecuador: l’associazione «Ya basta» di Padova, in particolare, ci ha messo a disposizione i suoi contatti e ci ha fatto da mediatore culturale. Interagire con la popolazione del luogo per noi non era facile, visto che parlano solo lo spagnolo, oltre alla lingua madre. Da questo punto di vista il contributo dell’onlus padovana è stato essenziale.

cartello cableQuali saranno le vostre prossime mosse?

Inizieremo a muoverci non appena la Banca e il Politecnico sottoscriveranno l’accordo ufficiale, che prevede uno stanziamento di 96 mila dollari a favore dell’Ateneo. A quel punto qualcuno di noi andrà in Ecuador a studiare il territorio, in modo da definire meglio le dimensioni del progetto. Quindi trasferiremo là le apparecchiature, cioè i vecchi computer e le antenne. Nel frattempo selezioneremo sul posto le persone che con noi costruiranno la rete e si occuperanno successivamente della sua gestione. A Torino vorremmo intervenire solo sui singoli pezzi (es. antenne adattate), lasciando agli operatori locali il compito di assemblarli. A quel punto la realizzazione della rete dovrebbe richiedere non più di due settimane.

E tutto ciò quando potrebbe avvenire?

Conosco bene i nostri tempi: non posso garantire su quelli degli altri. Non posso cioè formulare previsioni su quando arriveranno le autorizzazioni da parte delle autorità locali né sul finanziamento della Banca mondiale. D’altronde, se è vero che per le popolazioni destinatarie sarà tutto gratuito, è pur vero che non possiamo permetterci di installare alcunché senza che un’autorità del posto ci abbia autorizzati. Ed è giusto che sia così. Mi aspetto che tutto si concluda entro febbraio-marzo 2009. Nella sperimentazione sul Monte Rosa siamo dovuti salire fino a 4.556 m: c’erano tormente continue e dovevamo utilizzare gli elicotteri per trasportare le antenne, ma la realizzazione dell’impianto in sé ha richiesto una settimana. In Ecuador sarà altrettanto difficile, perché dovremo affrontare la giungla, però non credo vi siano ostacoli insormontabili. L’unico elemento per il quale non lesineremo il tempo, se servirà, sarà la formazione delle persone sul posto.

Il progetto si potrà estendere ad altri villaggi vicini?

Sì, l’idea è che le comunità locali si facciano prendere la mano ed allarghino progressivamente la rete, magari ricorrendo a qualche altro finanziamento: avranno tutte le competenze per farlo e noi, comunque, offriremo volentieri la nostra consulenza.

Supponiamo che un villaggio sperduto dell’Africa decida di seguire l’esempio dell’Amazzonia e trovi i finanziamenti per farlo. Potrà rivolgersi a voi?

Sì e no. Nel senso che non abbiamo mai negato una consulenza a nessuno e ci sono diverse associazioni (come la «Rete» di Torino) che ci hanno contattato per mandare avanti progetti in Africa. Ma noi possiamo offrire solo indicazioni di massima: non ce la faremmo fisicamente a fornire assistenza diversa e, d’altronde, non sarebbe nemmeno il nostro compito, perché la nostra missione istitutiva è la ricerca. È chiaro, comunque, che nel momento in cui il software che abbiamo messo a punto si diffonderà, dovremo garantire percorsi di formazione, che siano il più possibile a basso impatto (per tempo e costi) sia per noi che per gli utenti. Penso, tra gli altri, a corsi sul web e a seminari di approfondimento qui al Politecnico. Oltre al gruppo Rete, ci sono parecchie altre organizzazioni non governative (ong) interessate a realizzare i nostri sistemi ovunque: dalla Siberia a Cuba, al Brasile.

Il vostro è l’unico sistema per realizzare reti wireless di questo tipo?

No, ma è probabilmente tra quelli più economici. So, ad esempio, che ci sono gruppi di radioamatori molto bravi e competenti che stanno sviluppando progetti simili, anche loro a fini non commerciali. A noi piaceva l’idea che fosse tutto di basso costo. Il nostro record sul Monte Rosa, d’altronde, mirava proprio a dimostrare che anche per le reti wireless a lunga distanza e a banda larga ci sono soluzioni accessibili e a prezzi contenuti.

Esistono alternative?

Sì, la tecnologia satellitare, che ha già permesso di portare a termine realizzazioni importanti nei Paesi in via di sviluppo. Tuttavia, i collegamenti satellitari sono molto costosi e instabili in caso di maltempo. Inoltre la gestione delle apparecchiature per ricetrasmissione è intrinsecamente complessa. Infine, in caso di rottura, non possono essere riparate sul posto. Nel Terzo mondo, dove non ci sono infrastrutture primarie, quest’ultima limitazione ne decreta la sostanziale inutilizzabilità nel lungo periodo. Laddove si portano strumenti ad alta tecnologia occorre garantirne l’efficienza o, perlomeno, la possibilità di trovare qualcuno sul posto in grado di aggiustarli.

pc trashPerò anche la riparazione di un computer 386 richiede, per quanto obsoleto, un minimo di competenza tecnica...

Vero, però grazie ai costi molto contenuti è possibile dotare i tecnici sul posto di un certo numero di trasmettitori “di scorta”, da utilizzare in caso di rottura. Altre tecnologie di costo più elevato non permettono invece l’organizzazione di un magazzino.

Domanda provocatoria: questo sistema è applicabile anche a Paesi sviluppati come l’Italia, dove alcuni piccoli Comuni sono fortemente penalizzati dal digital divide?

Direi di no. Un sistema del genere in Italia non avrebbe senso, perché comunque è una soluzione “al risparmio” e, dunque, esposta a tutte le criticità del caso. Va da sé che un computer o un’antenna riciclati hanno una durata d’uso verosimilmente limitata nel tempo. In un Paese che ha buone disponibilità economiche, come l’Italia ad esempio, una proposta di questo tipo non ha senso: è meglio pensare a sistemi più robusti, che garantiscano un ciclo di vita lungo. Là dove, invece, non c’è possibilità di investimenti significativi, allora è raccomandabile il ricorso a soluzioni a basso costo: se si rompe qualcosa, lo si sostituisce. Ma c’è anche un altro aspetto da tenere in considerazione. Per l’Amazzonia abbiamo progettato un’architettura tecnologica gestibile anche da chi ingegnere non è, perché si presume che nei Paesi arretrati manchino non solo i soldi ma pure le competenze tecnico-scientifiche. E non è il caso, almeno al momento, dell’Italia.

A proposito: cosa pensa della nostra ricerca universitaria?

L’iXem Labs ha dato un pessimo esempio, perché in alcuni settori ha autofinanziato le proprie ricerche. Ma non si vive solo di mezzi propri e credo si debba prestare grande attenzione al finanziamento della ricerca universitaria.

Il problema si pone soprattutto per chi fa ricerca di base...

Sì, certo. La situazione è tanto più allarmante, se si considera che ormai in Italia anche le aziende riducono sempre più i propri centri di ricerca. E se si contraggono sia la ricerca pubblica che quella privata, è del tutto inutile portare avanti programmi di attrazione dei cervelli dall’estero. Ad esempio, il 50 per cento degli studenti in telecomunicazioni al Politecnico di Torino dopo la laurea cerca lavoro all’estero, perché rimanere in Italia è penalizzante, soprattutto dal punto di vista della collocazione lavorativa. Anche i principali gestori di telefonia mobile, infatti, investono sempre meno in ricerca. Certo, se accettiamo il fatto di perdere i nostri elementi migliori, è chiaro che investire nelle università è perfettamente inutile. Ma non credo sia una scelta vincente.

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