Dossier

Buchi neri. Da Mitchell alla teoria delle stringhe, l'evoluzione di un'idea

Il limite di Chandrasekhar

La risposta ai grandi interrogativi sul collasso gravitazionale giunse, letteralmente, dalla lontana India. A bordo di un battello, il prestigiatore che avrebbe messo le mani dentro al cilindro cosmico aveva l'aspetto di un giovanissimo studente indiano: Subrahmanyan Chandrasekhar(1910-1995).

Nella primavera del 1930 il diciannovenne scienziato intraprese un viaggio dall'India a Cambridge per recarsi a studiare come allievo di Eddington; durante la traversata il giovane ricercatore si mise a fare alcuni calcoli sulle nane bianche e giunse a un risultato che lo lasciò alquanto sorpreso: se la nana bianca avesse avuto una massa superiore a 1.4 masse solari, allora il suo collasso sarebbe stato inarrestabile.

Un giovane Chandrasekhar Quando una stella finisce il suo combustibile nucleare non è più in grado di sorreggere il proprio peso e inizia a contrarsi. In questa fase le particelle tendono ad avvicinarsi le une con le altre fino a quando non interviene il principio di esclusione di Pauli che vieta, a certe particelle, di stare troppo vicine tra di loro. In altre parole si viene a creare una forza di repulsione che controbilancia la pressione gravitazionale. Il risultato trovato da Chandrasekhar dimostrò però che c'era un limite a questa repulsione, superato il quale la stella avrebbe continuato a collassare su se stessa. Il limite da lui trovato era strettamente legato alla massa della stella in fin di vita che lui valutò appunto in 1.4 masse solari.

Una volta sbarcato in Inghilterra, mostrò i suoi risultati ad alcuni astrofisici britannici, Fowler prima e Edward Arthur Milne (1896-1950) poi, che tuttavia li accolsero con una certa freddezza giudicandoli di scarsa importanza. Il risultato di Chandrasekhar trovò pubblicazione nella rivista americana Astrophysical Journal nel 1931, alla quale lo scienziato aveva proposto un breve articolo sui suoi risultati.

Come avrebbe ricordato lo stesso Chandrasekhar più di quaranta anni dopo, a quel tempo egli non aveva ben chiaro cosa quel risultato significasse ma soprattutto non riuscì a capire come Fowler avesse potuto giudicarlo di scarsa importanza.

Quindi, fine (poco decorosa) della storia? Neanche per idea.

Altri scienziati giunsero alla conclusione dello studente indiano.

Uno di questi, uno dei mostri sacri del secolo, ricavò un risultato analogo a quello del giovane studente indiano che fu pubblicato nel 1931 con il titolo "Sulla teoria delle stelle". In questo lavoro, che portava la firma di Lev Davidovic Landau (1908-1968), si poteva leggere:

"Se realmente tali masse dovessero esistere…dobbiamo concludere che tutte le stelle più pesanti di 1.5 masse solari sicuramente posseggano regioni nelle quali le leggi della meccanica quantistica (e quindi della statistica quantistica) sono violate"

Landau concluse il proprio lavoro avanzando l'idea che potesse esistere un ulteriore stadio finale che avrebbe potuto raggiunto una stella di dimensioni molto più ridotte di una nana bianca. Il grande fisico russo aveva appena ipotizzato l'esistenza di corpi celesti che sarebbero stati osservati per la prima volta solo nel 1967: le stelle di neutroni.

Assieme a Landau e Chandrasekhar vi furono altri due scienziati che arrivarono a proporre l'esistenza di tali corpi celesti; nel 1934 due astronomi di Pasadena, Walter Baade (1893-1960) e Fritz Zwichy (1898-1974), conclusero i loro lavori con l'affermazione che in natura si sarebbero potuti trovare due "cadaveri stellari": le nane bianche e le stelle di neutroni. Purtroppo la comunità scientifica aveva una considerazione di Zwichy non proprio esemplare; lo scienziato di origine svizzera, anche se nato in Bulgaria, aveva la fama infatti di essere un tipo molto strano, e questo fu, in qualche modo, una scusa in più per non dare il giusto risalto al suo lavoro. In un futuro neanche troppo lontano, comunque, lo scienziato avrebbe avuto modo di riscattarsi ricoprendo incarichi molto importanti per il governo Usa, non ultimi quello di interrogare il personale della base segreta di Peenemunde dove i tedeschi costruivano le V-2 e quello di far parte di una commissione scientifica incaricata di valutare i danni prodotti dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki. Ma tutto questo venne poi, e al tempo risalente all'anno 1934 il lavoro di Baade e Zwichy cadde nel dimenticatoio.

Per quanto riguarda Chandrasekhar, continuò con testardaggine le sue ricerche e dopo tre anni di intensi studi sulla natura e gli equilibri delle nane bianche, confermò i suoi precedenti risultati:

"la storia di una stella di massa piccola deve essere essenzialmente differente da quella di una stella di grande massa. Per una stella di piccola massa lo stadio naturale di nana bianca rappresenta il primo passo verso la totale estinzione dell'astro. Una stella di grande massa non può attraversare questo stadio e siamo liberi di speculare su eventuali altre possibilità"

(Chandrasekhar, 1934)

Ma ancora una volta, l'ostracismo della comunità scientifica non tardò a manifestarsi.

Fin troppo impressionato da questi risultati che parevano sconvolgere tutte le certezze della fisica, lo stesso Eddington decise di intervenire una volta per tutte nella questione del collasso gravitazionale con una posizione che lasciava ben poco margine al dubbio sul suo modo di pensare

"Varie situazioni possono intervenire per salvare una stella…Penso che ci dovrebbe essere una legge in Natura che impedisca alle stelle di comportarsi in una maniera così!…Sono convinto che l'attuale formula sia basata su una teoria della relatività parziale e se la teoria fosse completa le correzioni relativistiche sarebbero compensate in modo da poter riottenere una formula ordinaria".

(Eddington, 1935)

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