Dossier

Gli insetti sulla scena del crimine: a Torino indagini alla Kay Scarpetta

Il contributo della biologia molecolare all'entomologia forense

dna analisi 1 Nell'ultimo ventennio l'avvento delle nuove tecniche della biologia molecolare ha rivoluzionato il mondo della medicina, della microbiologia, delle biotecnologie e, ovviamente, del settore forense, aumentando esponenzialmente il volume di conoscenze in nostro possesso. Molte delle informazioni riguardanti il patrimonio genetico, che rappresenta al tempo stesso l'origine della biodiversità e il deposito dei caratteri ereditari, sono state acquisite grazie a un rapido ed progressivo avanzamento delle frontiere della biologia molecolare moderna. Se da un lato ciò ha contribuito a inasprire la polemica sull'uso indiscriminato di tali strumenti a fini eticamente sensibili (es. clonazione, fecondazione artificiale, OGM, etc.), dall'altro lato ha apportato innovazioni straordinarie in molti campi delle scienze applicate tra cui quello della biologia forense. In particolar modo l'analisi del Dna per scopi identificativi ha subito una eccezionale propulsione, soddisfacendo la richiesta di metodi affidabili, sensibili e altamente discriminanti.

La soglia minima necessaria all’analisi del materiale genetico si è abbassata notevolmente, passando in pochi anni da un valore di 100 nanogrammi (cioè miliardesimi di grammo) di Dna al limite attuale di poche decine di picogrammi (cioè kilomiliardesimi di grammo). La scoperta di nuovi "marcatori" molecolari, infine, sta incrementando enormemente l'arsenale di strumenti a disposizione dei biologi forensi, non solo elevando il potere di discriminazione nei casi controversi (Di Luise et al., 2008), ma anche aumentando la percentuale di successo nell'analisi di reperti antichi e di campioni altamente degradati (Romano et al., 2006) e nel discernimento dei contributi maschili da quelli femminili in una miscela biologica come nei casi di violenze sessuali (marcatori dei cromosomi X e Y).

La biologia molecolare può contribuire attivamente alle analisi dell'entomologia forense. In particolare si distinguono due linee di applicazione specifica:

1) Identificazione mediante analisi molecolare delle specie rinvenute sul luogo del reato. L'utilizzo delle tecniche di biologia molecolare è in questo caso finalizzato alla precisa identificazione di una specie di insetto. L'approccio classico è basato sull'individuazione di caratteri morfologici che possono essere riscontrati attraverso le cosiddette «chiavi dicotomiche»: il limite di questo metodo è che per alcune specie non è sempre agevole o possibile distinguere morfologicamente le uova, le pupe e gli stadi larvali dagli stadi analoghi di specie diverse (Amendt, et al., 2004). Inoltre tale approccio può diventare molto laborioso e lungo, dal momento che può richiedere anche l'allevamento (per diverse settimane e non sempre con esito positivo) degli esemplari campionati al fine di esaminarne gli stadi di sviluppo più avanzati. Peraltro una conoscenza analitica, sistematica e completa di grandi ordini di insetti è ottenibile solo dopo numerosi anni di studio e applicazione pratica ed è appannaggio solo di poche nicchie di ricercatori. Infine la valutazione che si ottiene dall'applicazione di tali valutazioni è in ogni caso ombreggiata da un velo di soggettività che potrebbe in alcuni casi pregiudicare una piena "efficacia dibattimentale". Con l'avvento delle tecniche basate sull'utilizzo del Dna sono state identificate alcune regioni del genoma comuni agli appartenenti a una stessa specie e/o a specie affini; si è così scoperto che alcune di queste potevano essere considerate veri e propri "contrassegni" molecolari o "marcatori", cioè sequenze in grado di identificare e classificare univocamente una specie.

L'entomologia classica e la zoologia in generale hanno visto rivoluzionare il proprio campo di studio dall'avvento di tale metodologia di classificazione, ma al tempo stesso hanno potuto testarne le potenzialità e apprezzarne i vantaggi. Nei primi anni di applicazione dei marcatori molecolari ai fini tassonomici molte specie animali che prima erano state classificate, tramite l'approccio delle chiavi dicotomiche, a un particolare taxon, vennero in seguito attribuite a gruppi filogeneticamente molto distanti, contribuendo a incastrare i tasselli mancanti nello studio dell'evoluzione: si passò così da chiavi "fenotipiche" a chiavi "genotipiche". Numerosi studi sono stati pubblicati sull'identificazione per via biomolecolare degli invertebrati di interesse medico-legale. Non solo le larve e gli adulti campionati sul luogo del reato ma anche i "pupario" (gli involucri protettivi dalla larva in metamorfosi) si sono dimostrati utili ai fini identificativi (Mazzanti et al., 2006).

pidocchio umano2) Applicazione al fine di accertare la correlazione esistente tra insetto, luogo del reato e vittima. Alcuni rappresentanti dell'entomofauna necrobionte si nutrono dei tessuti del corpo (necrofagi) oltre che dei colonizzatori primari (predatori). Gli insetti ematofagi, in particolare, succhiano il sangue dai corpi in quanto essenziale per una completa maturazione delle uova prima della deposizione. Il materiale biologico della carcassa può quindi permanere indigesto all'interno di tali esemplari per un tempo variabile, costituendo una fonte di Dna utilizzabile ai fini investigativi (Introna, 1999; Clery, 2001). Nel caso di spostamento/occultamento del cadavere, il ritrovamento e la localizzazione di particolari insetti, o meglio del loro contenuto di Dna umano, può rappresentare la prova del "passaggio" della vittima in un determinato luogo. Similmente tale approccio può chiarire, in base allo studio delle successioni, dove e/o su cosa si siano sviluppate le larve nel caso in cui la "fonte alimentare" delle stesse sia dubbia. Anche i detriti e le feci prodotti da tali insetti possono contenere quantità di Dna umano sufficienti all'identificazione del cadavere a scapito del quale essi si sono nutriti (Reploghe, 1994). Nel 2002 un gruppo di ricercatori guidati da J. Di Zinno del Laboratory Division del F.B.I. riuscì a sequenziare il Dna mitocondriale contenuto nel tratto intestinale di scarafaggi (coleotteri) che si erano sviluppati su ossa umane.

Alcuni autori (Campobasso et al. 2005) hanno valutato i parametri fondamentali per utilizzare il Dna umano contenuto nel "gozzo" (crop), un'appendice esofagea dei ditteri con funzioni d'immagazzinamento del cibo. Recentemente un gruppo di studiosi ha dimostrato la possibilità di rilevare l'antigene prostatico specifico (PSA) e di tipizzare i marcatori del cromosoma Y partendo dall'estratto del "gozzo" di ditteri allevati parecchie ore prima (fino a 145 ore) su tessuti ricoperti di sperma umano (Clery, 2001). Tale esperimento apre la strada all'applicazione ai casi di violenza sessuale-omicidio in cui i cadaveri vengono rinvenuti molti giorni dopo l'evento delittuoso. In considerazione del fatto che le vittime sono a volte ritrovate in condizioni tali da non permettere l'isolamento delle tradizionali tracce biologiche dell'aggressore (sul corpo e sui vestiti) e che gli orifizi del cadavere sono i punti più velocemente occupati dall'entomofauna, tale strategia potrebbe essere decisiva nell'identificazione del colpevole. In casi di violenza sessuale è anche possibile il trasferimento occasionale di pidocchi o piattole, parassiti comuni dell'uomo, dall'assalitore alla vittima; giacché tali artropodi assumono sangue umano e, considerato che è stata verificata la rilevabilità del Dna umano nei loro resti, essi potrebbero essere utilizzati per accertare la correlazione fisica dell'"ospite originario" con la vittima (Mumcuoglu et al., 2004). Data la peculiare composizione cellulare dell'invertebrato e dell'esigua (e/o degradata) quantità di Dna, è auspicabile comunque l'applicazione di metodiche estrattive modificate e di laboratori attrezzati per l'analisi in alta sensibilità (Spitaleri et al., 2006; Campobasso et al., 2005).

Nei casi di correlazione tra insetto, luogo del reato e vittima, i marcatori molecolari sono gli stessi utilizzati nella routine dai laboratori delle Forze dell'Ordine per l'attribuzione di tracce biologiche repertate sulla scena criminis a un soggetto sospettato o indagato. I dati ottenuti sono quindi direttamente comparabili con quelli presenti negli archivi dei laboratori delle Forze dell'Ordine o con quelli eventualmente acquisiti nell'ambito delle attività di Polizia giudiziaria.

Suggerimenti