Dossier

Buchi neri. Da Mitchell alla teoria delle stringhe, l'evoluzione di un'idea

I buchi neri di Kerr e di Newmann

Gli anni a cavallo del '60 furono particolarmente interessanti per le ricerche nel settore della fisica gravitazionale, tanto da poter parlare di una sorta di rinascita della relatività generale.

Insieme al gruppo di Wheeler, altri grandi ricercatori si lanciarono in questo campo, fornendo contributi fondamentali. In Russia, dove come detto il collasso gravitazionale veniva riportato nei libri di testo universitari, si formò il gruppo di Yakov Zel'dovich e di Vitaly Ginzburg per i quali non si parlava ancora di buchi neri ma di "stelle congelate", mentre a Cambridge si formò un connubio che avrebbe garantito enormi contributi nel campo della fisica dei buchi neri, Stephen Hawking e Roger Penrose. Intorno a questi due mostri sacri avrebbero ruotato le nuove giovani menti della fisica.

Ma vi furono anche altri due fatti che stimolarono le ricerche in relatività generale.

Il primo riguardava un punto di vista più specificatamente astrofisico, quando si cominciò a ottenere importanti risultati nell'osservazione di oggetti stellari particolari, come i quasar e le radiogalassie, che suggerirono agli astrofisici di associare le enormi energie in gioco in questi sistemi alla presenza di buchi neri.

Oramai, infatti, non era più impensabile parlare di oggetti collassati milioni di volte più massicci del sole. Anzi, i progressi compiuti nelle osservazioni incentivarono il puro studio teorico della gravitazione. Si prese in considerazione l'idea delle onde gravitazionali e si cercò di combinare insieme la teoria della relatività generale, la cui splendida verifica sperimentale non lasciava ombra sulla sua fondatezza, con l'altra grande primadonna della ricerca scientifica in fisica, la meccanica quantistica.

Il secondo fatto importante era strettamente legato alle equazioni di Einstein che, fino ad allora contavano solo su soluzioni esatte, quella di Schwarzschild e quella data nel lontano 1918 da Reissner e Nordstrom che descriveva un caso molto particolare di buco nero elettricamente carico; caso peraltro di scarso interesse pratico, poiché si ritiene impossibile l'esistenza di un simile buco nero.

Nel 1963, il neozelandese Roy Kerr ampliò la famiglia delle soluzioni esatte delle equazioni di Einstein descrivendo il campo gravitazionale generato da una massa rotante.

Fino a ora ci siamo molto concentrati sulla soluzione di Schwarzschild, la quale, sebbene assai utile e funzionale in un gran numero di casi, descrive una situazione poco realistica, visto che non considera l'eventuale e assai probabile fatto che la materia collassante possa ruotare.

Il lavoro di Kerr colmò questa lacuna e aprì una nuova finestra sul sempre più vasto orizzonte della relatività.

Poco dopo, nel 1968, Ezra Newman con alcuni suoi studenti portarono a quattro le soluzioni esatte con una metrica che descriveva un buco nero rotante e carico.

La soluzione di Kerr-Newmann è assai intrigante sotto molti punti di vista perché, oltre ad avere un orizzonte degli eventi come la soluzione di Schwarzschild, presenta una struttura interna assai differente rispetto a quest'ultima; tanto differente da poter permettere, in linea puramente teorica, non solo di viaggiare nel tempo ma anche di osservare la singolarità al centro del buco nero, quella di massa e densità infinita che distrugge tutti gli incauti astronauti che ci finiscono contro.

"... Attraversi questo anello magico e i ritrovi in un universo completamente differente, dove raggi e masse sono negativi! "

diceva Kerr a Werner Israel parlando della soluzione da lui trovata.

E Kerr aveva ragione.

Al di fuori dell'orizzonte degli eventi, che possiede anche la soluzione di Kerr, la soluzione trovata dal neozelandese non era molto diversa da quella di Schwarzschild, ma le cose cambiavano drasticamente se si andava ad analizzare l'interno di questa soluzione.

Mentre, come si sapeva, una particella che cadeva dentro a un buco nero di Schwarzschild era condannata a raggiungere la singolarità di densità infinità e volume nullo, nel caso di Kerr la particella in questione poteva evitare completamente la singolarità e dirigersi in altri universi del tutto simili al nostro. Non solo ma era anche prevista la possibilità di curve temporali chiuse.

Insomma, con Kerr si poteva viaggiare nel tempo e su altri mondi, per la gioia di tutti i temponauti in circolazione.

Anche la metrica di Schwarzschild può essere espressa in termini di coordinate che ricoprono l'intero spazio, come Kruskal e Szekeres avevano dimostrato. Questo ha permesso di mettere in evidenza l'esistenza di un mondo speculare al nostro, nel quale il tempo scorre all'indietro, ma che non è comunque raggiungibile per via della presenza della singolarità iniziale a r=0, ove tutto ha fine.

Il fatto che non sia eliminabile con nessuna scelta di coordinate, impedisce in ogni modo di poter ricevere informazioni dal quel nuovo universo. I due mondi, insomma, non possono comunicare tra di loro.

Con la soluzione di Kerr, la cosa era differente. I mondi erano infiniti e teoricamente percorribili!

A questo punto ogni buon viaggiatore nel tempo o impazzirebbe di gioia o si chiederebbe dove sta l'inghippo. Bene, il problema sta nel fatto che i passaggi attraverso questi universi si rivelano particolarmente instabili, rendendo il viaggio una pura chimera. Non solo.

La singolarità al centro del buco nero di Kerr è una singolarità naked (nuda), ossia può essere vista.

Ma questa evenienza è scongiurata da una serie di congetture, che rendono impossibile un simile, catastrofico, evento. Almeno secondo quello che andava proponendo Roger Penrose alla fine degli anni sessanta.

Il vaso di pandora era stato aperto, e inquietanti scenari si stavano aprendo nella mente degli scienziati.

Un decennio ricco di straordinarie intuizioni sulla fisica che governa i buchi neri stava per aprirsi

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