Dossier

Ulcere cutanee: Torino all'avanguardia nazionale

Gli impegni del nuovo presidente Aiuc, Alessandro Farris

Farris Alessandro Alessandro Farris, direttore dell’unità operativa in Dermatologia al «San Paolo» di Savona, è il nuovo presidente dell’Associazione italiana ulcere cutanee (Aiuc). In occasione del VII congresso Aiuc è subentrato a Elia Ricci, responsabile dell’u.o. di Vulnologia al «San Luca» di Pecetto Torinese.

Dottor Farris, quali saranno i suoi principali impegni alla guida dell’Aiuc?

L’obiettivo prioritario è ottenere la rimborsabilità delle medicazioni e dei farmaci da parte del ministero della Salute (che, peraltro, non esiste nemmeno più ed è oggi un sottosegretariato): un dramma nel dramma, che colpisce non solo i malati, ma anche le loro famiglie. Sarà una battaglia da condurre anzitutto sul piano politico, proseguendo sulla strada intrapresa da chi mi ha preceduto, purtroppo senza risultati. Anche perché i governi continuano a cambiare...

Il problema riguarda pure i rimborsi ospedalieri?

Ahimè, sì. Il cosiddetto «nomenclatore tariffario», cioè la tabella ministeriale che elenca tutti i presidi previsti per la cura delle malattie in ambito ospedaliero o ambulatoriale, contempla solo l’«elastocompressione» per chi ha un’ulcera vascolare (venosa, peraltro: quindi restano fuori le ulcere arteriopatiche, le piaghe da decubito e tutte le altre lesioni croniche) e l’«irrigazione delle ferite chirurgiche». Così, in pratica, ogni volta che medichiamo lesioni diverse da quelle vascolari e chirurgiche siamo costretti a compiere un falso in atto pubblico, perché dobbiamo dichiarare che rientrano in quelle due tipologie, anche se ciò non corrisponde al vero. Dunque, oltre alla rimborsabilità per i pazienti a domicilio, porteremo avanti anche la questione del nomenclatore tariffario, in modo da introdurre una voce relativa alle ulcere croniche in generale.

Come è stato possibile arrivare a una simile situazione?

Fino a pochi anni fa le lesioni cutanee croniche non erano curabili (non c’erano medicazioni avanzate o presidi medici specifici), perciò sono state ampiamente ignorate da chi si occupava di sanità pubblica. Ma oggi le cure e le medicazioni ci sono e tutta l’Europa ne garantisce l’erogazione gratuita sia in ospedale che a casa: l’Italia, da questo punto di vista, fa parte del continente africano...

C’entra in qualche misura anche il fatto che i medici sono poco preparati in materia?

Sì, certo. Le problematiche riguardanti le ulcere, soprattutto le piaghe da decubito, sono state tradizionalmente demandate dai medici al personale non medico (infermieri, farmacologi, assistenti sociali, fisioterapisti, podologi...). E non c’è dubbio che ciò sia, almeno in parte, alla base della scarsa attenzione istituzionale nei confronti della problematica. Ma da qualche anno le cose sono cambiate: il 65 per cento dei soci Aiuc, non a caso, è composto da operatori sanitari non medici, la cui esperienza è di fondamentale importanza. L’Aiuc, inoltre, organizza riunioni periodiche locali mirate a sensibilizzare i medici.

buon samaritano - quadroCome si può realizzare, in pratica, la presa in carico dei malati sul territorio?

In generale, se al paziente non è stata ufficialmente riconosciuta una malattia gravemente invalidante, non può essere seguito nell’ambito della cosiddetta «assistenza domiciliare integrata» (adi) e deve pagare di tasca propria le medicazioni. Tuttavia in alcuni casi, come in provincia di Savona e in alcune zone di Genova, il sistema pubblico offre comunque una buona assistenza: le tre componenti del Servizio sanitario nazionale (medico di medicina generale, ospedale e assistenza domiciliare) riescono a interagire in modo efficiente. Come sempre, il buon funzionamento sta alla volontà dei singoli.

La telemedicina può portare un miglioramento?

Certo. È un settore nuovo, sul quale anche l’Aiuc sta muovendo i primi passi. Potrebbe essere molto utile, soprattutto per le strutture (tipo gli ambulatori) lontane dalle grandi città. Tanti paesi di campagna e montagna hanno parecchi abitanti, ma sono isolati. Da circa un anno l’Aiuc ha avviato un programma specifico per la telemedicina, ma i costi sono abbastanza elevati e quindi procede lentamente.

Quali sono le terapie più promettenti?

A tutt’oggi ciò che funziona meglio è l’adeguata applicazione dei protocolli esistenti. Quindi, più che guardare alle tecniche innovative (che poi, per certi versi, non sono accessibili e, in taluni casi, sono difficili da applicare), occorrerebbe puntare a una buona preparazione degli operatori e a un buon coordinamento di tutte le figure coinvolte a seconda dell’eziologia dell’ulcera (es. piede diabetico, piaga da decubito, ulcera venosa...). La formazione è sicuramente l’elemento più importante, anche se a livello universitario non esiste ancora, perché la vulnologia non è una specialità.

E, secondo lei, la vulnologia diventerà mai una specialità?

In questo campo la multidisciplinarietà è tale che è difficile pensare a una vera e propria specializzazione universitaria. Credo possa collocarsi solo a livello di master post-laurea. Sarebbe, inoltre, utile garantire gruppi di lavoro locali composti da esperti che si dedichino a questi problemi nell’ambito delle diverse specialità e facciano da punto di riferimento (anche formativo) per gli altri.

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