Dossier

Piatti "irritanti"

Giovanna Monti: il punto di vista della pediatria

Giovanna Monti Giovanna Monti è pediatra, responsabile dell’Ambulatorio Allergie alimentari dell’Ospedale infantile «Regina Margherita» a Torino.

Dottoressa Monti, perché i bambini sono allergici soprattutto a latte, uova, grano e soia?

Presumibilmente perché sono i primi alimenti in assoluto con cui entra a contatto la nostra mucosa intestinale. Inoltre sono i costituenti fondamentali della dieta mediterranea e, in generale, delle diete in tutto il mondo. Ma se è vero che l’allergia alle proteine del latte vaccino è la più frequente dell’età pediatrica (interessa circa il 3% dei bimbi da 0 a 3 anni), è anche vero che tra i bambini americani più grandicelli il primo allergene è l'arachide (negli Usa è infatti molto diffuso l'uso di burro di arachidi) mentre nei Paesi scandinavi la top ten degli allergeni alimentari include pesci e crostacei. Insomma: Paese che vai, allergene che trovi. In ogni caso latte, grano, soia e uova sono tra i più diffusi in assoluto. La soia, in particolare, diventa allergene in età pediatrica per due motivi: anzitutto perché può essere usata come sostitutivo del latte; in secondo luogo perché è diffusa come ingrediente "nascosto" in vari preparati (come addensante e, in generale, come additivo).

Un caso molto diffuso è quello del bambino (o dell'adulto) che digerisca poco il latte: si tratta di allergia o semplice intolleranza?

Quando c'è di mezzo la mancanza di un enzima, si ha a che fare con una intolleranza. Nel latte di mucca, in particolare, c'è uno zucchero (il lattosio) che deve essere digerito nell'intestino da un enzima specifico (la lattasi). Se ciò non accade, il lattosio arriva tale e quale nel colon dove i batteri lo fermentano. Così, chi è intollerante enzimatico al lattosio ha dissenteria e il mal di pancia, perché non riesce a digerirlo. La lattasi in genere funziona bene nelle prime fasi della vita, poi è abbastanza normale che un po' si "arrugginisca", per cui l'intolleranza al lattosio diventa sempre più presente man mano che si cresce. Esistono anche casi di mancanza genetica di questo enzima, ma sono davvero rari. Ciò, in ogni caso, non c'entra nulla con l'allergia che, invece, si sviluppa nei confronti delle proteine del latte.

bimbo beve latteCome si può distinguere se si tratta di intolleranza al lattosio o di allergia alle proteine del latte?

Si può stabilire in modo molto semplice, dando da bere al bambino un latte a basso contenuto di lattosio: se è intollerante, dopo averlo bevuto starà benissimo; se è allergico, continuerà a stare male, perché i prodotti a basso contenuto di lattosio hanno pur sempre le proteine del latte. Esiste poi un test diagnostico non invasivo per l’intolleranza enzimatica al lattosio, che si chiama «H2 breath test»: consiste nella misurazione della concentrazione di idrogeno nell’aria espirata dal paziente; tale concentrazione è più elevata negli intolleranti enzimatici, in quanto la fermentazione del lattosio nel colon produce idrogeno.

Perché le allergie nei bambini spesso regrediscono (l’allergia alle proteine del latte, ad esempio, scompare nell’85% dei casi entro 3 anni dalla diagnosi)?

Perché il sistema immunitario dei bambini allergici, benché geneticamente predisposto a dare una risposta anomala, con il tempo matura e, in particolare, si affina la sua capacità di risposta. Peraltro, anche a livello dell'intestino, aumenta il cosiddetto «effetto barriera» contro gli allergeni alimentari e quindi, nel corso del tempo, la situazione migliora. A patto, comunque, che il soggetto stia a dieta. L'eliminazione dell'alimento allergenico dalla dieta, infatti, dà all'organismo il tempo necessario a riorganizzare la risposta immunitaria. Chiaramente la situazione va rivalutata di anni in anno: non avrebbe alcun senso mantenere la dieta per tutta la vita.

Questo miglioramento nel corso del tempo è più spiccato nei bambini, ma in qualche misura c’è anche negli adulti...

Posso dare testimonianza di quanto osservo tra i bambini più grandi. Un soggetto allergico di 5-7 anni, per quanto sia già grandino, nel tempo può diventare tollerante. E credo lo stesso valga per l'adulto, ovviamente purché stia a dieta per un certo periodo. Tuttavia, più è tardiva la diagnosi e più è difficile tornare indietro. Inoltre molto dipende dall'allergene. Perché se il soggetto è allergico, ad esempio, all'arachide, in linea di massima lo resterà per tutta la vita, e così pure nel caso della frutta secca a guscio, dei molluschi, dei crostacei e dei pesci. Dagli ultimi dati della letteratura risulta che solo il 5% dei bambini allergici all'arachide acquisirà la tolleranza in età adulta.

dermatite atopicaLei sostiene che occorre fare molta attenzione, perché nei bambini non tutto è allergia. Cosa intende?

Intendo dire che non è corretto pensare che determinati sintomi (ad esempio l’orticaria, la dermatite atopica, alcune manifestazioni gastrointestinali persistenti) siano sempre causati da una allergia alimentare. Si rischia da un lato di sottoporre i bambini a iter diagnostici faticosi e a diete tanto restrittive quanto inutili, dall'altro di non tutelare i soggetti davvero allergici, perché il sistema sanitario disperde le poche risorse a disposizione in diagnosi e analisi ingiustificati.

Quali sono i sintomi più indicativi della vera allergia, a cui occorre prestare attenzione?

Intanto i sintomi devono essere ricorrenti, non sporadici, e magari correlabili all'assunzione di un certo alimento. Nel caso si verifichi una dermatite atopica, si deve valutare l’età del bambino: un soggetto grandicello, con lesioni molto limitate, non può far pensare a un'allergia alimentare; viceversa, un lattante, che presenti un eczema molto serio, potrebbe avere un'allergia alimentare. Insomma occorre valutare la gravità delle manifestazioni cliniche e correlarla all'età. Una certa difficoltà interpretativa riguarda i sintomi gastrointestinali, ma solo nel caso siano cronici. E cioè solo nel caso si abbia a che fare con un bimbo che non cresce, ha sempre la dissenteria, ha spesso il reflusso o episodi frequenti di gastrite: in questa situazione è corretto chiedersi se sia allergico a qualche alimento. Ma, ripeto, devono esserci sintomi cronici importanti e ricorrenti. Bisogna poi fare le cosiddette “diagnosi differenziali”, cioè capire se tali manifestazioni sottendano altri tipi di patologie e non una allergia ad alimenti. Anche perché imporre una dieta diagnostica in età pediatrica, quando la varietà di cibi alla base dell’alimentazione è di per sé limitata, richiede un impegno molto serio per scongiurare ripercussioni sulla salute del bimbo.

asinaCome si può compensare l’eliminazione del latte vaccino dalla dieta di un bambino allergico?

È un problema serio, dal momento che nella prima infanzia il latte e i suoi derivati soddisfano almeno la metà del fabbisogno energetico e nutrizionale. In caso di allergia, se il latte materno non è disponibile, occorre passare a un alimento sostitutivo che idealmente sia ipo-allergenico, adeguato dal punto di vista nutrizionale, gradevole al gusto ed economico. In commercio ci sono vari prodotti (nessuno di essi comunque possiede tutte queste caratteristiche): latti formulati di soia, abbastanza economici e gradevoli, ma non tollerati da tutti gli allergici al latte di mucca; latti formulati «idrolisati» e a base di aminoacidi, ben tollerati, ma molto costosi e poco gradevoli al palato. Sono in corso varie sperimentazioni con latte di altri mammiferi: bufala, capra, pecora, cammella, cavalla e asina. I primi tre in realtà non sono utilizzabili, in quanto le proteine in essi contenute sono molto simili a quelle del latte di mucca; i latti di capra e di pecora, inoltre, sono squilibrati dal punto di vista nutrizionale per i bambini. I latti di cavalla e di cammella, infine, hanno prodotto risultati interessanti, ma in Italia sussistono oggettive difficoltà di approvvigionamento.

«Tra il 2003 e il 2004 al Regina Margherita abbiamo testato il latte d’asina, che vanta ottime caratteristiche nutrizionali: elevato contenuto in proteine e ceneri, basso carico renale di soluti, tenore in caseine e sieroproteine simile al latte materno, elevata concentrazione di amminoacidi essenziali, alto contenuto di lattosio, basso contenuto lipidico e buon livello di calcio. Somministrato a 46 bambini (età media 36 mesi) con diagnosi accertata di allergia al latte vaccino (spesso associata ad altre allergie a grano, uovo, riso e pesci), è risultato ben tollerato in 38 casi (pari all’82,6% del totale). Un risultato incoraggiante, che però richiede conferme su casistiche più ampie, con studi approfonditi anche sulle caratteristiche nutrizionali. Inoltre sono indispensabili una più facile reperibilità sul mercato e prezzi più contenuti.

I pediatri sono sufficientemente preparati a riconoscere e affrontare le allergie alimentari?

I colleghi piemontesi lo sono sicuramente. Seguo personalmente l’organizzazione di corsi di aggiornamento e posso garantire che a Torino e Provincia c'è un'ottima preparazione. La Rete allergologica regionale, d’altronde, sta finendo di stilare un documento molto preciso per la diagnostica delle allergie alimentari, a cui tutti i medici curanti (pediatri inclusi) dovranno attenersi.

Suggerimenti