Dossier

Ulcere cutanee: Torino all'avanguardia nazionale

Francesco Petrella, l’anima degli «Ulcer days»

Petrella Francesco Francesco Petrella, responsabile del Centro territoriale di riferimento per il trattamento delle ulcere cutanee presso l’Asl 5 di Napoli, è coordinatore degli «Ulcer days», giornate di sensibilizzazione sul problema delle ulcere croniche, celebrate per la prima volta il 10 e 11 ottobre scorsi.

Dottor Petrella, qual è l’obiettivo degli «Ulcer days»?

Far comprendere ai malati e all’opinione pubblica in generale che oggi il progresso scientifico e tecnologico consente di guarire ulcere cutanee un tempo non trattabili. Purtroppo non sempre queste tecniche e questi presidi medici sono disponibili presso le strutture sanitarie, inoltre molte Regioni (con la sola eccezione del Piemonte) non prevedono la rimborsabilità delle cure. Ma quando parliamo di lesioni croniche, ci riferiamo a pazienti che possono avere un’attesa di vita molto lunga (es. malati di Alzheimer o con il morbo di Parkinson), la cui assistenza richiede un grande dispendio di denaro e risorse e coinvolge, quindi, tutta la famiglia. L’obiettivo degli «Ulcer days» è far capire che l’ulcera cutanea è una patologia sociale che, in questo momento, è quasi del tutto trascurata dallo Stato. È una situazione che non fa onore a un Paese civile, che peraltro ha deciso di trasferire sempre più pazienti dagli ospedali alle case. Ovviamente ci rendiamo conto che viviamo un periodo di carenza economica, ma proprio per questo riteniamo indispensabile ottimizzare le risorse pubbliche e creare centri di riferimento dove indirizzare questi pazienti: l’inappropriatezza delle procedure fa spendere molto di più.

Voi cercate l’appoggio dell’opinione pubblica per ottenere qualcosa sul piano politico...

Chiaro: è una questione esclusivamente politica. Sono le istituzioni a decidere chi assistere, cosa garantire, come intervenire, quante risorse destinare... Lo Stato può anche decidere di non fare nulla, però noi abbiamo il dovere di dire come stanno le cose e, soprattutto, far comprendere che in questo momento in Italia ci sono milioni di ammalati e milioni di familiari che attendono una risposta. Uno studio condotto nel 2006 ha rivelato che il 56 per cento delle famiglie toccate da questo problema si è impoverito. Noi non pretendiamo che il problema sia risolto entro “domani”, ma è indispensabile avviare una discussione seria.

Quali iniziative prevedevano, in concreto, gli Ulcer days?

In pratica abbiamo coinvolto 110 strutture sanitarie distribuite su tutto il territorio nazionale: universitarie e ospedaliere, pubbliche e private. Nei due giorni di incontri abbiamo visitato i pazienti e spiegato loro che ci sono nuove possibilità per guarire il loro problema e che, se non riusciamo a farlo, è perché questi presidi non sono disponibili. Per essere alla prima edizione, abbiamo ottenuto grandi risultati: basti pensare che lo Skin cancer day (la Giornata di lotta al cancro della pelle), celebrata ormai da parecchio tempo, è arrivata a coinvolgere al massimo 100 strutture. L’anno prossimo vorremmo fare ancora meglio, non confinandoci più negli ospedali, ma recandoci nei centri commerciali e nei luoghi frequentati dalla gente. Come dice qualcuno, anche il viaggio più lungo inizia con un passo e questo è il nostro primo passo.

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