Dossier

Design, architettura & innovazione: Torino "capitale mondiale"

De Ferrari: nuove tecnologie al servizio della creatività

studio de ferrari - associati A Torino lo «Studio De Ferrari Architetti» (Giorgio De Ferrari, Vittorio Iacomussi, Claudio Germak, Agostino De Ferrari) è attivo dal 1983 nella progettazione architettonica, nel design industriale, nella pianificazione del paesaggio e dell'arredo urbano, nella progettazione di eventi pubblici. Lo Studio, fondato da Giorgio De Ferrari, professore di Disegno industriale presso la facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, con Claudio Germak e Claudia De Giorgi, entrambi docenti alla stessa facoltà, ha realizzato una fortunata mostra sul design, nata nel 1995 con il titolo «Torino Design, dall'automobile al cucchiaio» e poi divenuta «Piemonte Torino Design». Dall’edizione del 2006 a Torino, per le Olimpiadi della Cultura, oltre centomila persone hanno visitato la rassegna in undici città (tra cui Hong Kong, Belo Horizonte, Istanbul e Wroclaw) di otto diversi Paesi.

Abbiamo approfittato di questa esperienza per fare il punto sul design piemontese e analizzarne i rapporti con la realtà scientifica e industriale in Italia e all’estero.

La mostra «Piemonte Torino Design» si è contraddistinta per il grande afflusso di pubblico a ogni latitudine. Perché il design desta tanto interesse tra la gente comune?

Giorgio De Ferrari: Sicuramente il design «made in Italy» gode di un grande appeal all’estero. Specialmente se è inteso come frutto della nostra creatività: lo stile, l’eleganza e il buon gusto italiani sono molto apprezzati in tutto il mondo. Ciò che suscita più ammirazione è la nostra capacità di realizzare prodotti originali, pensati ex novo, che non riprendono nulla di già esistente. Un discorso tanto più valido in Oriente, dove hanno capacità produttive anche di elevata qualità, ma partono sempre da qualcosa che hanno già visto. Direi che anche il pubblico italiano apprezza soprattutto le novità.

Vittorio Iacomussi: Il visitatore italiano gradisce anche il fatto che siano esposti oggetti che ritrova a casa sua e dunque ne riconosce il valore “espressivo-culturale”, quando pensava di avere solo un valore funzionale o di moda. Fin dalle origini la mostra fa colpo anche per la quantità di oggetti raccolti (200 prodotti seriali progettati e/o realizzati nel territorio da oltre 150 progettisti e 170 aziende) e per l’allestimento semplice, diretto, che non trasforma l’oggetto in un’opera d’arte, truccata o posizionata in modo “anomalo”...

G. De Ferrari: La mostra, d’altronde, è fatta di oggetti che si trovano comunemente nei negozi, quindi non di élite (salvo poche eccezioni). La possibilità di acquisire ciò che è in mostra è certamente un elemento che ne decreta il successo in termini di interesse: è come se, in qualche modo, attestasse che la persona che acquista quegli oggetti ha buon gusto. Quando mi mescolo tra il pubblico vedo che l’attenzione è massima davanti ai prodotti nuovi. E l’innovazione nel design non è solo espressiva, ma anche funzionale e tecnologica.

vas-one SerralungaChe ruolo ha il design nella competitività di un’impresa?

G. De Ferrari: È un elemento strategico e ogni oggetto della mostra ne è testimone eloquente. Il design è una risorsa su cui l’industria deve puntare e investire per avere successo sul mercato. Ci sono casi di aziende che devono tutto al design. In mostra, ad esempio, c’è una sezione dedicata alla «riconversione industriale»: alcune produzioni che non erano di design, dove cioè il prodotto aveva una certa funzione e basta, si sono rinnovate realizzando oggetti che puntano all’espressività. È il caso della Serralunga a Biella, oggi sotto la direzione di Luisa Bocchietto (presidente dell’ADI): in origine produceva forniture e componenti per l’industria tessile (coni e cilindri per la roccatura, contenitori, tubi, manicotti, vasche per il lavaggio dei tessuti...), realizzati dapprima in pergamena e cuoio pressato, e poi sostituiti negli anni Cinquanta dalle materie plastiche stampate. Negli anni Novanta il settore entrò in crisi, anche per la concorrenza asiatica, poi la svolta nel 2000, quando la Bocchietto intuì la potenzialità del sistema di «stampaggio rotazionale» e convinse alcuni designer a misurarsi con il tema del vaso di arredo per definire nuove collezioni design-oriented. Una riconversione emblematica, che ha trasformato una criticità congiunturale in una risposta vincente e ha puntato consapevolmente sul design quale strumento di ricerca e caratterizzazione. Un modello di riferimento per tante produzioni attualmente in difficoltà.

Qual è la figura centrale nella realizzazione di un prodotto di design?

G. De Ferrari: Da circa dodici anni sono presenti in Italia scuole per la formazione specialistica in design (tra le più note presenti a Torino ci sono l’Istituto europeo di design – Ied e l’Istituto d’arte applicata e design – Iaad), che affiancano i corsi di laurea in Disegno industriale e i vari master post-universitari. In precedenza i designer erano sovente architetti, ovvero autodidatti che provenivano dal mondo del lavoro. Ancora oggi, d’altronde, non c’è un ordine professionale specifico, ma due associazioni di categoria: l’Associazione per il disegno industriale (ADI), a cui fanno capo i designer industriali, e l’Associazione italiana progettazione per la comunicazione visiva (Aiap), a cui fanno riferimento i designer della comunicazione. Dal punto di vista pratico, nel settore dell’arredamento e della progettazione d’interni, dove il design è tradizionalmente molto presente, c’è una maggiore predisposizione e preparazione tra gli architetti. Nel settore automobilistico, invece, le competenze sono più ambigue: il prodotto di design, infatti, passa attraverso la competenza ingegneristica, ma non parte da essa, bensì dalla creatività dell’autore. Spesso gli oggetti di design sono applicazioni di invenzioni dell’ingegneria o della chimica (es. un nuovo materiale o una nuova tecnologia), il cui impiego innovativo si deve però alla fantasia del designer.

Agostino De Ferrari: È il caso della plastica e dei materiali espansi, che hanno permesso ai designer di formulare nuovi discorsi espressivi. Il materiale, in alcuni casi, è impiegato nelle sue massime potenzialità tecnologiche e l’oggetto prodotto risulta espressivo proprio per questo. Il designer, insomma, può basare la propria creatività sul materiale anziché sulla forma, puntando al minimalismo assoluto.

Iacomussi: Un esempio per tutti: il filo di ferro nelle clips.

Ci sono settori più sensibili al valore aggiunto apportato dal design? Perché questi sì e altri no?

G. De Ferrari: Ho dedicato la mia carriera di insegnamento all’applicazione del design in settori dove era poco presente. Con un’avvertenza: dire design significa progettare con maggiore impegno le cose. Il design infatti è un equilibrio tra quattro aspetti: funzionale, economico, produttivo, espressivo. Ci sono poi settori dove ha prevalso l’aspetto espressivo (es. arredamento), altri dove risulta predominante il fattore meccanico-funzionale (es. utensili), ma tutti quanti potrebbero sviluppare meglio ciascuno dei quattro elementi. Il design è perfetto quando i quattro componenti sono in equilibrio e raggiungono ruoli significativi. Il buon prodotto di design, in ogni caso, è un bene diffuso, non di nicchia; il design infatti è attività rivolta anzitutto all’industria e deve essere il più possibile seriale. C’è un caso in mostra che intendo candidare al Compasso d’Oro ed è la carrozzella per handicappati progettata da un designer che la usa. Di primo acchito si potrebbe pensare che a tale tipo di attrezzatura si debba chiedere solo il massimo della funzionalità, ma questa è particolarmente convincente perché la sua funzionalità la arricchisce di una grande espressività. Il design, di fatto, non è un concetto nuovo, nato di recente: c’è sempre stato, solo non lo chiamavamo con questo nome. C’è un settore della mostra dedicato alle «Grandi storie di piccoli oggetti» che illustra bene questa dimensione storica: si tratta di prodotti (la penna «Optima» di Aurora, la «Moka express» di Bialetti, lo zaino «Jolly» dell’Invicta, la scarpa «2750» della Superga, il cappello in feltro di Borsalino) che oggi rappresentano esempi di grande design, ma vent’anni fa quando sono arrivati sul mercato non erano considerati in questi termini.

chocaviar VenchiIacomussi: Un settore in cui il design sta esplodendo è quello del cibo (food design), non solo in risposta a nuove esigenze, ma anche in quanto valore aggiunto strategico dal punto di vista commerciale. La scatola di cioccolatini di una determinata azienda artigianale che proponga una confezione dal design originale ha per l’acquirente un appeal nettamente superiore rispetto a qualunque prodotto commerciale venduto nei supermercati.

G. De Ferrari: Un tempo formaggi e cioccolatini avevano un numero limitato di forme e confezioni, oggi ne hanno decisamente di più e originali. Significa che l’applicazione del design a settori in cui si davano per scontate certe caratteristiche di prodotto offre grandi vantaggi in termini di competitività. Si pensi, tra gli altri, al caso delle bottiglie e delle etichette di acqua e vino. Sicuramente far rivisitare i propri prodotti da un designer è per le aziende una scelta strategica che ha risvolti consistenti sulle vendite.

Tra le altre iniziative, il vostro studio ha anche seguito, su incarico della Camera di commercio, il progetto di fattibilità del Design center di Torino. Di cosa si tratta?

G. De Ferrari: Nel 1998 abbiamo fatto una ricerca approfondita sui Design center presenti nel mondo (ce ne sono molti, salvo paradossalmente in Italia). In genere comprendono una scuola, un centro ricerca, sale di presentazione prodotti, aule per convegni, pubblicazioni... L’idea è di ricalcare quei modelli a Torino. In particolare riteniamo che il Centro di design sarebbe l’ideale destinazione finale per tutti i prodotti esposti nella mostra «Piemonte Torino design».

Oltre alla creatività cos’altro ha permesso lo straordinario sviluppo del design nella nostra regione?

G. De Ferrari: Il nostro territorio è sempre stato ed è tuttora un centro importante per i servizi collegati alla realizzazione di prodotti di design. Mi spiego: in genere tra il progetto e la realizzazione del prodotto c’è una fase intermedia di messa a punto del processo produttivo, che passa attraverso vari test, prove, modellazione, costruzione di prototipi. L’area piemontese è particolarmente attrezzata per seguire tutte queste fasi: il settore dei servizi si è sviluppato di pari passo con quello del design. Nei Comuni alle porte di Torino, ad esempio, è possibile imbattersi in laboratori artigianali che realizzano prototipi degli ultimi modelli Fiat o Kawasaki. Si tratta di una filiera fondamentale per lo sviluppo di un settore tanto specialistico. Particolarmente significativo il caso della «modellazione rapida», una soluzione sempre più utilizzata dalle aziende, perché consente di accorciare enormemente i tempi di realizzazione di modelli e prototipi e, in definitiva, dei tempi di immissione dei prodotti sul mercato [per approfondimenti, si legga il saggio di G. De Ferrari su «Disegnare il Design» ed. Hoepli, Milano 2001, ndr]. Questa “nuova” tecnica permette di passare direttamente dal modello matematico al prototipo/prodotto finale senza (o riducendo drasticamente) prove e messe a punto intermedie. La modellazione rapida si basa sulla deposizione successiva di strati sottilissimi di materiale (es. polveri, carta...): ogni strato, definito dal raggio laser, è lievemente diverso dal precedente e a questo è sovrapposto sino al raggiungimento della forma tridimensionale programmata. Queste attrezzature consentono, tra l’altro, la realizzazione di modelli e prototipi in un luogo anche remoto rispetto al luogo della loro programmazione e la creazione di forme complesse altrimenti impossibili e con un livello di precisione ineguagliabile. Si pensi, a titolo di esempio, agli scacciapensieri orientali basati sulla concatenazione di anelli privi di saldature, ottenuti da blocchi scavati con pazienza certosina. vaso Studio De Ferrari Adesso la modellazione rapida ne consente la realizzazione con la stessa facilità di qualsiasi altra forma. La tecnologia, insomma, offre al design nuove possibilità di sviluppo. Ma se i tempi di realizzazione sono decisamente contenuti per prototipi e piccole serie, risultano oggi insostenibili per la produzione seriale. Tuttavia è facilmente prevedibile che in un prossimo futuro (sul mercato ci sono già convincenti esempi), con la riduzione dei tempi tecnici (oggi occorre circa un’ora per due centimetri di altezza) e la disponibilità di attrezzature che consentano maggiori dimensioni, anche la produzione seriale, almeno di certe categorie di prodotti, farà ampio uso di tali tecniche, specie quelle che realizzano il passaggio di materia dallo stato di polveri a quello solido («sinterizzazione»).

Oltre al laser, ci sono altre tecnologie per potere disporre di modelli in tempi brevi?

G. De Ferrari: Sì. C’è anche la fresatura che si basa sul taglio accurato di materiali monoblocco, a partire dal modello matematico: si tratta di scultori meccanici che lavorano “a togliere”, mentre il laser lavora “ad aggiungere. Come per la modellazione rapida, grande merito della filiera piemontese è stato ed è il costante aggiornarnamento della dotazione di apparecchiature all’avanguardia, presenti con una frequenza unica in Italia.

Ci sono ulteriori novità tecnologiche?

Iacomussi: In effetti c’è ancora un elemento che ha cambiato notevolmente la vita di noi progettisti ed è legato ai programmi informatici. Una volta avevano prezzi proibitivi, ora sono gratuiti e dunque accessibili a chiunque. In Rete si possono scaricare prodotti di elevata qualità con l’unico vincolo di mettere in linea ciò che si fa, in modo da arricchire la banca dati comune. Scuole di design e università (es. Politecnico di Torino) organizzano corsi che consentono di imparare a usare questi software sfruttandone appieno tutte le potenzialità.

G. De Ferrari: Tutti questi, ovviamente, sono grandi ausili e hanno un’importanza enorme. Ma la creatività è un valore aggiunto unico, che si ha o no nella testa.

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