Dal tradizionale al biologico
Tra i coltivatori che hanno deciso di convertire la propria azienda dall’agricoltura convenzionale a quella biologica il giudizio su quest’ultima, basato su un riscontro reale in campo e a livello amministrativo e commerciale, è generalmente positivo. Tuttavia la consapevolezza di alcuni punti oscuri nel controllo di processo, che permettono a chi vuole produrre non in conformità al regolamento di farlo, induce a una riflessione su alcuni provvedimenti migliorativi che sarebbe necessario intraprendere.
A vantaggio dell’agricoltura biologica depone un regolamento, il Reg. CEE 2092/91, che ha valore europeo. Questo significa che tutti gli stati della Comunità adottano lo stesso disciplinare per la produzione biologica, garantendo uniformità nelle materie prime impiegate e nel processo produttivo: un prodotto “bio” italiano è dunque genuino e di qualità come un prodotto “bio” spagnolo. Lo stesso non si può dire per l’agricoltura tradizionale. In questo caso infatti non esiste un disciplinare unico europeo e ciò dà luogo a paradossi lapalissiani: se infatti in Italia è vietato l’impiego di determinati fungicidi e insetticidi per tutelare la salute dei consumatori, quegli stessi consumatori possono poi ritrovarsi nel piatto frutta e verdura che invece sono state trattate con dette sostanze, perché provenienti magari da paesi dove l’uso non è proibito.
Sul piano aziendale l’adesione al protocollo biologico garantisce tutta una serie di vantaggi. La Comunità Europea stanzia dei fondi che sono ridistribuiti a livello provinciale come contributi/ettaro per le coltivazioni biologiche e i Piani di Sviluppo Rurale (PSR) prevedono che il biologico dia diritto a un punto in più nelle graduatorie per accedere alle sovvenzioni comunitarie. Senza contare che per chi vende nei mercati rionali l’adesione al protocollo significa avere la precedenza per l’assegnazione del posto.
Per contro, l’agricoltura biologica prevede costi gravosi per quanto riguarda la certificazione. Se nel Nord Europa gli organismi di controllo sono statali e la loro consulenza si paga una cifra modesta o, addirittura, è gratuita, in Italia detti organismi sono privati e prevedono tariffe onerose. Inoltre i controlli sono effettuati più a livello documentale, “sulla carta”, che in campo, permettendo a chi vuole ingannare il sistema di farlo, manipolando i registri aziendali e i programmi annuali di produzione.
Su un piano pratico, la conversione al biologico si traduce per l’azienda in un massiccio aumento della burocrazia e in una maggiore richiesta di manodopera. L’effetto immediato è un allungamento dei tempi, amministrativi e produttivi, e nel secondo caso si accompagna a un consistente aumento dei costi.
Tuttavia, come afferma chi ha intrapreso questa strada, il principale ostacolo da affrontare quando si decide di passare all’agricoltura biologica è il cambio di mentalità. Non si tratta infatti semplicemente di usare un prodotto al posto di un altro o di smettere di utilizzarne alcuni, bensì è necessario una filosofia di produzione che consideri non tanto l’immediato, e dunque la coltivazione e il prodotto agricolo, ma primariamente l’ecosistema nel quale si va a inserire e i benefici che può apportare all’ambiente e ai consumatori.