Dossier

Comau e la sua Divisione Body Welding & Assembly

Curiosando tra le attività…

La standardizzazione delle linee di montaggio

Una linea di montaggio è costituita generalmente da una sequenza di stazioni, ciascuna delle quali è dedicata alla saldatura o all’assemblaggio dei componenti di base dell’autovettura.

Le stazioni robotizzate sono progettate usando strumenti informatici come il CAD 3D, che consente di provare con simulazioni tridimensionali l’interazione tra tutti i sistemi (così da garantire, per esempio, che i diversi robot non entrino in contatto tra loro mentre si muovono).

Una stazione di una linea di montaggio automobilistica Ogni parte di una stazione è poi disseminata di sensori, così che in ogni istante il sistema di gestione computerizzato possa sapere dove si trovano i vari componenti su cui agire.

Nella fase di progettazione ci si sforza di produrre macchinari standard, che possano cioè adattarsi alle esigenze di ogni cliente, dalla Fiat alla Ford, dalla Mercedes alla General Motors.

Il risultato è una piramide produttiva che ha alla base i prodotti più elementari, quelli utilizzati per tutte le linee di montaggio: per esempio i gripper o bloccaggi, cioè le pinze con cui i robot bloccano le lamiere per poterle poi lavorare.

Questi componenti sono poi installati su linee flessibili come l’Open Robogate di Comau, che con la medesima attrezzatura può produrre modelli diversi di auto, per esempio una Fiat Stilo a 3 oppure a 5 porte.

Un robot usato nella produzione industriale di auto Al vertice della piramide produttiva c’è poi il NIBS, New Ideal Body Shop, che è una catena di montaggio calzata sui bisogni specifici del singolo cliente.

La standardizzazione è fondamentale perché il mercato è molto competitivo e aggressivo: gli impianti devono essere molto efficienti, vale a dire rompersi raramente, e se si rompono devono essere riparabili con facilità, sostituendo soltanto singoli moduli.

Per ridurre al minimo i costi per il cliente è necessario progettare in modo integrato l’impianto nel suo complesso, anziché escogitare soluzioni ad hoc per ogni singolo modulo.

Oltre alla flessibilità poi è importante l’innovatività: almeno in alcuni settori bisogna poter offrire soluzioni migliori rispetto a quelle dei concorrenti. È ciò che Comau cerca di fare, per esempio, nel campo della saldatura.

La saldatura a laser

Un robot con pinza di saldatura ad arco Nelle carrozze dell’Ottocento si usava la chiodatura per congiungere le parti metalliche. Poi all’inizio del Novecento sono state introdotte le pinze per la saldatura ad arco elettrico, che restano ancora di uso comune. Oggi esistono inoltre tecniche di giunzione a freddo, con rivettatura autoperforante oppure termiche, cioè a caldo.

Lo sviluppo più recente nell’evoluzione di queste tecnologie è l’utilizzo del laser, iniziato una ventina di anni fa.

Il termine laser è acronimo di Light Amplification by Stimulation Emission of Radiation (amplificazione della luce attraverso un’emissione stimolata di radiazione).

L’effetto di amplificazione si ottiene pompando energia in un mezzo posto in una cavità risonante ottica da cui emerge un fascio di luce monocromatico e coerente, cioè formato da fotoni che hanno tutti la medesima lunghezza d’onda e sono in fase tra loro.

L’uso di un laser per saldare Il fascio laser può poi essere focalizzato tramite lenti, concentrando così parecchi kW di potenza in una superficie di dimensioni molto ridotte (negli impianti industriali le densità di potenza in gioco possono superare il MW per centimetro quadrato).

Il materiale illuminato può raggiungere allora in breve tempo una temperatura molto elevata, tale da farlo fondere e vaporizzare.

Con un opportuno controllo della densità della potenza focalizzata si possono eseguire in questo modo saldature molto strette e profonde oppure operazioni di taglio di metalli.

La saldatura a laser esiste in diverse varianti, a seconda del mezzo attivo utilizzato per produrre la luce coerente.

Le due sorgenti più diffuse per l’uso industriale sono quella gassosa del laser ad anidride carbonica (CO2, con una lunghezza d’onda di 10.6 micrometri) e quella a stato solido basata su cristalli di ittrio-alluminio-garnet (YAG) drogati con il neodimio, che è una terra rara (la lunghezza d’onda in questo caso è di 1.06 µm).

Una stazione robotizzata con saldatura a laser L’uso del laser per le saldature presenta numerosi vantaggi importanti: alta velocità di processo (fino a 20 metri al minuto), alta accuratezza e ripetibilità (se prima si poteva “svergolare” di 2–3 mm, ora la precisione è al decimo di mm), basse deformazioni dei pezzi in lavorazione dovute all’input termico, proprio perché l’energia è molto concentrata (nel complesso il pezzo saldato riceve meno di un decimo del calore, rispetto alla saldatura tradizionale a filo).

La saldatura a laser inoltre è autogena, cioè non richiede l’uso di materiali diversi da quello dei pezzi saldati, non produce scorie né spruzzi e infine, non essendo una saldatura a contatto, non presenta i problemi degli elettrodi tradizionali che con il tempo si deformano e si usurano.

Per tutte queste ragioni oggi in Europa, su circa 15 milioni di autovetture prodotte ogni anno, più della metà hanno la scocca saldata con il laser.

Rispetto alla saldatura tradizionale “a punti”, il laser ha consentito anche di passare a saldature continue lungo tratti di parecchi centimetri, che rendono molto più robusti i pezzi rispetto alle direzioni dello stress prevalente a cui saranno sottoposti.

In questo modo si riesce ad aumentare anche la produttività: la velocità della saldatura a laser può essere fino a un punto di saldatura al secondo, nel caso migliore, mentre con una programmazione intelligente dei movimenti dei robot si può arrivare fino a 3 tratti di saldatura al secondo.

La saldatura di padiglione e fiancata di un’autovettura Il laser può essere usato anche per la brasatura, un tipo di saldatura non autogeno in cui i componenti sono uniti fondendo un materiale di apporto (di solito un cordone di rame-silicio) che ha punto di fusione inferiore rispetto a quello dei due margini di acciaio da unire (circa 1250 °C).

Il metallo usato per la brasatura fa anche da sigillante e impermeabilizza, permettendo per esempio di fare a meno delle “bretelle” di plastica che normalmente si vedono ai lati del padiglione, cioè lungo il tetto delle autovetture.

Innovazioni nelle stazioni di saldatura

Una delle soluzioni più efficaci escogitate negli ultimi anni è l’uso di un sistema di specchi per ottimizzare lo sfruttamento del laser.

Il principio di funzionamento dell’Agilaser Invece di spostare e ri-orientare l’intera sorgente laser ogni volta che si deve saldare in una nuova posizione o con una nuova angolazione, il braccio del robot è dotato di una serie di specchi che riflettono il fascio così da focalizzarlo sulla superficie desiderata.

In questo modo la stazione di saldatura occupa meno spazio e inoltre la testa del laser, che è molto lontana dall’area saldata, rimane pulita anche nell’eventualità che si sviluppino spruzzi o fumi.

Dal 2003 è in commercio il sistema brevettato Agilaser per la saldatura delle portiere, realizzato da Comau insieme a Prima Industrie con un lavoro di sviluppo durato 18 mesi.

Questa stazione integra un laser a CO2 remoto con una robotica di tipo cartesiano, completamente tridimensionale, consentendo di saldare con minori vincoli fisici legati alla forma dei pezzi da saldare e su un volume utile (4.5 m x 2.5 m x1 m) che è molto maggiore rispetto alle stazioni tradizionali con pinze o torce di saldatura.

Nell’Agilaser il sistema di trasmissione ottica del fascio utilizza specchi di rame raffreddati ad acqua.

Il motore per la focalizzazione del fascio è capace di raggiungere accelerazioni pari a 5g durante i ri-posizionamenti, che sono perciò molto rapidi.

Tipicamente una stazione di questo tipo, che può sostituire anche otto robot di saldatura tradizionali, viene fornita chiavi-in-mano all’azienda che l’acquista.

Arriva smontata su un camion con due tecnici che in pochi giorni la assemblano; entro una settimana l’impianto è pronto a entrare in funzione, e in seguito l’acquirente potrà anche spostarlo da uno stabilimento a un altro.

Oggi sono saldate con questo sistema per esempio le porte dei modelli Fiat Idea, Lancia Musa, Grande Punto e Renault Clio.

Ciascuna linea, usata su tre turni, permette di saldare 15.000 porte al giorno, con un totale di oltre 500.000 tratti di saldatura laser.

Il principio di funzionamento dello Swinglaser Una caratteristica importante che differenzia i laser a neodimio da quelli a CO2 è il fatto che il fascio può essere trasmesso anche tramite fibre ottiche.

Ciò significa per esempio che si può avere anche un’unica sorgente laser con più uscite, che vanno a diversi robot.

Questa opportunità è sfruttata da Comau nel sistema Smartlaser, che è particolarmente adatto per la saldatura di strutture complesse.

La fibra ottica congiunge direttamente la sorgente all’estremità del braccio del robot, così da limitare le torsioni e le sollecitazioni durante i movimenti del robot, che ha un ri-posizionamento molto veloce, con accelerazioni fino a 80 m/s².

Un’ulteriore innovazione è stata introdotta con lo Swinglaser, un sistema che riduce anche di un terzo il tempo necessario per una saldatura a tratto.

Il segreto sta nel far oscillare l’estremità del braccio robotizzato, che contiene l’ultimo specchio, come se si trattasse di un pendolo, “anticipando” così il posizionamento del robot.

Telecomando per un robot usato per la saldatura a laser I robot oggi possono essere controllati a distanza, a beneficio della sicurezza degli operatori, grazie a telecomandi senza fili che hanno un raggio d’azione fino a 100 metri.

Per il futuro si sta pensando addirittura alla possibilità di trasferire con un sistema wireless anche la potenza elettrica necessaria per il funzionamento delle stazioni, così che la loro installazione non richieda cablaggi ad hoc nell’azienda del cliente.

Il paradosso cinese

Al momento della nostra visita a Borgaretto, nell’autunno del 2005, era in fase di prova una linea di montaggio nuova di zecca destinata a uno stabilimento della General Motors in Cina (un esempio classico di de-localizzazione nell’era dell’economia globalizzata).

Curiosamente l’impianto aveva un aspetto d’altri tempi: era costellato di pinze di saldatura manuale, e privo di tutti quei ritrovati ad alta tecnologia di cui abbiamo parlato finora.

Il fatto è che in Cina il costo del lavoro oggi è ancora così basso che non conviene automatizzare questi processi industriali: un investimento per l’acquisto e la manutenzione di robot non si ripagherebbe nell’arco della vita dell’impianto.

Di fronte a commesse come queste, perciò, i progettisti della Comau hanno dovuto re-imparare a gestire il lavoro manuale.

Dopo che per anni ci si è concentrati sulla programmazione di robot che sono in grado di fare qualsiasi movimento, ecco che il mercato si mette a richiedere linee di produzione manuali, dove l’ergonomia che conta è di nuovo quella del corpo umano.

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