Dossier

Thales Alenia Space Italy

Curiosando tra le attività…

Come si prepara un satellite

Rispetto ad altre industrie che sviluppano tecnologie avanzate, le industrie aerospaziali hanno un importante vincolo in più: i loro prodotti devono funzionare al primo colpo, senza che sia possibile fare vere e proprie prove sul campo.

Diversamente da quanto avviene per le automobili, i sistemi operativi per computer o gli organismi geneticamente modificati, in altre parole, qui non ci si può permettere di produrre prototipi imperfetti, confidando sulla possibilità di migliorarli in seguito, riportandoli in azienda dopo una fase di “beta testing”.

La cupola della Stazione spaziale internazionale Un satellite può essere lanciato una volta sola, e quando arriva in orbita deve entrare subito in funzione, comportandosi come previsto dalle sue specifiche tecniche.

Per queste ragioni un’azienda come l’Alenia di Torino deve avere un reparto di prove funzionali estremamente sviluppato, che consenta di simulare accuratamente le sollecitazioni che il satellite potrà incontrare durante tutta la sua vita operativa.

Quando un satellite è stato commissionato, per esempio dall’Agenzia spaziale europea (ESA), il flusso delle attività ingegneristiche prevede in primo luogo una lunga fase di progettazione.

La realizzazione dei singoli componenti, sulla base delle specifiche di progetto, è poi generalmente affidata ad aziende sottocontraenti.

Quindi i componenti arrivano in corso Marche, dove vengono assemblati e si procede a provare i vari sottosistemi, che comprendono:

– lo scheletro, cioè la struttura che consentirà al satellite di sostenere il proprio peso durante il lancio, e poi di mantenere le propria forma in condizioni di assenza di gravità;

– la fonte centrale di potenza, che dovrà fornire energia a tutte le parti del satellite;

– i sistemi elettronici che faranno comunicare tra loro le diverse parti del satellite;

– i sistemi a radiofrequenze per lo scambio dei segnali con la base a Terra;

– i sensori, per esempio i giroscopi che permetteranno di controllare l’assetto del satellite durante il volo orbitale;

– gli attuatori, come i razzetti e le ruote d’inerzia che consentiranno di effettuare variazioni di assetto o di piano orbitale durante la missione.

Gli ingegneri mettono a punto un modello meccanico del satellite e un suo modello elettrico, quindi li integrano nella cosiddetta unità di volo.

La camera pulita

Agli albori delle missioni aerospaziali, quando gli Stati Uniti iniziarono a lanciare i primi satelliti Explorer, questi erano assemblati in normali hangar senza particolari requisiti di pulizia.

Dopo una serie di lanci falliti si capì che è indispensabile lavorare in un ambiente privo di polvere, per evitare falsi contatti elettrici e problemi meccanici.

Il satellite Herschel L’assemblaggio dei satelliti all’Alenia di corso Marche avviene perciò in una grande sala di circa 2700 metri quadrati, alta una quindicina di metri, che è mantenuta in condizioni di clean room di classe 100.000 (o ISO 7).

Si tratta cioè di una camera pulita in cui l’aria è filtrata per evitare contaminazioni ambientali, così da avere sempre un numero limitato e controllato di particelle di dimensioni micrometriche per metro cubo.

Per le prove più delicate, all’interno della camera pulita c’è una camera di 100 metri quadrati che è di classe 100 (uno standard ancora più restrittivo di quello usato in microelettronica per produrre i circuiti integrati su wafer di silicio) ed è costruita su un blocco antisismico.

Il satellite Planck Durante la nostra visita era in corso l’assemblaggio di due satelliti gemelli dell’ESA, Herschel e Planck, destinati a missioni scientifiche con lancio previsto nel 2007.

Herschel è dotato di un telescopio di 3.5 metri di diametro che osserverà nell’infrarosso, per studiare la nascita di stelle e galassie, che quando si formano non emettono ancora luce visibile o sono circondate da nubi di gas e polveri che soltanto la radiazione infrarossa riesce ad attraversare.

Planck invece serve per studiare le origini dell’universo. Ha un telescopio da 1.5 metri e due rivelatori progettati per misurare, con precisione mai raggiunta finora, la radiazione cosmica di fondo che riempie l’universo ed è considerata un “fossile” delle prime fasi della sua evoluzione.

Le prove ambientali

Ogni satellite è sottoposto a un’intensa campagna di prove ambientali, che simulano le condizioni a cui sarà sottoposto durante il lancio e poi in orbita.

In una grande camera a vuoto si verificano i funzionamenti in condizioni di assenza di atmosfera, poi si espone il satellite a temperature molto elevate (illuminandolo con lampade molto potenti) e a temperature molto basse (usando schermi di azoto liquido).

Nello spazio infatti l’escursione termica tra la parte del satellite esposta al Sole e quella rivolta verso lo spazio profondo è di centinaia di gradi, e ciò determina forti sollecitazioni meccaniche.

Il lancio del satellite Integral Il satellite poi è sollecitato in vari modi di vibrazione con l’obiettivo di identificare le sue frequenze proprie di oscillazione, che potrebbero danneggiarlo se entrasse in risonanza con le vibrazioni e le onde acustiche che si producono durante il lancio.

Infine, quando le prove sono terminate con successo, il satellite è inviato con cargo aereo alla base di lancio, che a seconda dei casi può trovarsi in diverse parti del mondo: a Cape Kennedy in Florida, nel cosmodromo russo di Baikonur in Kazakistan oppure nella Guyana francese dove vengono lanciati i razzi Ariane.

Un gruppo di tecnici e ingegneri viaggia con il satellite per seguirlo fino al lancio. Nonostante la cura posta nella preparazione, infatti, fino all’ultimo momento possono verificarsi problemi.

Nell’autunno 2005, per esempio, è stato necessario rinviare il lancio della sonda Venus Express dell’ESA a causa di un problema con le coperte termiche che si è verificato nel “naso” del lanciatore russo.

A seguito di una modifica della direzione del flusso d’aria di raffreddamento, una delle coperte isolanti multistrato, che ricoprono il satellite per mantenerlo a temperatura costante durante il lancio, ha iniziato a sventolare ed è andata in brandelli.

Il problema è stato scoperto soltanto quando i tecnici sono andati a montare le batterie del satellite, l’ultima operazione che si effettua sulla rampa di lancio prima del conto alla rovescia.

Risolto il problema, dopo due settimane la sonda è poi partita e qualche mese più tardi è entrata felicemente in orbita intorno al pianeta Venere.

Il “meccano” della Stazione spaziale

Una grande area della camera pulita dell’Alenia di Torino è dedicata all’assemblaggio dei componenti della Stazione spaziale internazionale (ISS).

Assemblaggio del modulo Columbus della Stazione spaziale internazionale Si tratta di enormi cilindri che anno dopo anno, come i pezzi di un gigantesco meccano, vengono lanciati e aggiunti alla stazione orbitante.

I moduli in cui gli astronauti abitano e lavorano sono collegati da “nodi” che consentono di orientarli nelle tre direzioni spaziali: la struttura finale della Stazione sarà simile a un grande cruciverba tridimensionale.

La forma cilindrica dei moduli e dei nodi è determinata dalla forma della stiva dello space shuttle, l’unico vettore in grado di trasportare in orbita questi pezzi.

La tragica disintegrazione dello shuttle Columbia nel febbraio 2003, con il conseguente blocco dei voli, ha rallentato la costruzione della ISS. Ora i moduli assemblati vengono trasferiti via cargo aereo in Florida, dove rimangono negli hangar della Nasa in attesa del lancio.

Nel lavoro per la ISS si deve usare tecnologia ancora più collaudata e assestata rispetto a quanto accade con i satelliti automatici, perché la Stazione spaziale avrà a bordo persone.

Per esempio ogni apertura nella scocca richiede guarnizioni a tenuta perfetta, per evitare perdite d’aria dall’interno dei moduli.

Assemblaggio di uno dei nodi della Stazione spaziale internazionale Tra i problemi-chiave c’è la necessità di dotare i moduli di rivestimenti esterni che proteggano gli astronauti in caso di urto con micrometeoriti o con i “rifiuti spaziali”, cioè pezzi di vecchi razzi o satelliti che sono rimasti in orbita intorno alla Terra.

Nel 1983 è bastata una sottile scaglia di vernice di 3 mm di diametro per fare un foro di circa 1 cm in un vetro della cabina di pilotaggio dello shuttle (che orbitava intorno alla Terra in verso opposto, e quindi con una velocità relativa altissima, rispetto alla scaglia).

In generale la ricerca per la ISS è volta a ottenere la massima sicurezza, anche quando ciò significa fare ricorso a tecnologie poco innovative.

Per fare un altro esempio, il microprocessore che sovrintende a tutte le attività e funzioni di base di ciascun nodo è un vecchio Intel 386, molto meno potente del chip che si trova in qualsiasi personal computer di oggi.

Tuttavia rispetto ai processori più moderni il 386, che risale alla fine degli anni 1980, ha il vantaggio di essere una tecnologia informatica molto ben consolidata, che non può riservare sorprese ed è più che sufficiente per le esigenze di elaborazione dati nei nodi della Stazione spaziale.

Progettare con la realtà virtuale

Il ciclo di sviluppo di un satellite può durare da 3 a 10 anni, prima che si passi alla fase di assemblaggio.

La progettazione, effettuata usando strumenti software come il CAD tridimensionale, può durare da 2 anni, per una sonda automatica, fino a 7 anni per un’unità abitata da astronauti.

Schermo per simulazione in realtà virtuale immersiva Tra le innovazioni che si stanno sperimentando in questo settore all’Alenia di Torino c’è un sistema di realtà virtuale immersiva sviluppato nell’ambito del progetto europeo VIEW (Virtual and Interactive Environments for Workplaces) of the Future, in collaborazione con il Fraunhofer Institute di Stoccarda.

Su un grande schermo appare il modello CAD del satellite in corso di progettazione.

Il modello è proiettato in stereografia così che, usando gli occhialini a filtro rosso e blu tipici del cinema 3D, si possa percepire la profondità tridimensionale degli oggetti.

L’operatore che sta davanti allo schermo può non soltanto esplorare l’ambiente virtuale, muovendosi all’interno o all’esterno del satellite, ma anche spostare o manipolare gli oggetti.

Occhiali stereoscopici e puntatore per simulazione in realtà virtuale immersiva Per scegliere gli oggetti l’operatore usa una sorta di mouse senza fili, che consente anche di selezionare opzioni generali da una serie di menu; per esempio si può chiedere al software di realtà virtuale di variare il valore di g, passando dalla gravità della superficie terrestre all’assenza di gravità tipica del volo orbitale.

Per manipolare gli oggetti l’operatore usa un puntatore a forma di libellula, che per non affaticare la mano è leggerissimo (non contiene pulsanti né elettronica né batterie) e può essere afferrato in una varietà di modi ergonomici.

Sulla libellula ci sono sei sferette riflettenti, la cui posizione è misurata in ogni istante da due telecamere a raggi infrarossi che inquadrano l’operatore.

Grazie a questi dati il software può far cambiare in tempo reale, nell’ambiente virtuale mostrato sullo schermo, la posizione e l’orientamento spaziale dell’oggetto manipolato.

Altre sferette riflettenti poste sugli occhialini consentono al software di far variare la vista dell’ambiente virtuale, a seconda dei movimenti della testa dell’operatore.

Il prototipo di questo sistema ha già dimostrato di avere significativi vantaggi rispetto ai sistemi di realtà virtuale più convenzionali.

La proiezione su schermo è molto meno stancante rispetto all’uso di un casco con proiezione sul visore, e consente di effettuare sessioni di lavoro anche di parecchie ore.

Inoltre il nuovo sistema permette di avere un’intera platea che discute davanti allo schermo. Consente perciò di organizzare riunioni operative in cui gli specialisti delle diverse discipline, oltre a vedere “come verrà” l’oggetto finale, possono simulare le azioni di loro interesse e verificare in diretta il risultato di possibili modifiche.

Questo tipo di ricerca (nel quale l’Alenia di Torino mira a diventare centro di eccellenza, anche rispetto alle altre sedi Alcatel in Francia e in Belgio) può dare slancio anche alla collaborazione con le università, offrendo un promettente vantaggio competitivo alle aziende che dovessero nascere come spin-off.

Le possibili applicazioni infatti sono molteplici. Gli ingegneri dell’Alenia Spazio per esempio collaborano con Alenia Aeronautica per la progettazione di velivoli senza pilota, con il Centro Ricerche Fiat per la simulazione dei crash test per le automobili, con ospedali per esami diagnostici che combinano in un’unica immagine 3D i dati di strumenti come TAC e MRI, con la Protezione civile per la progettazione di robot controllati a distanza per ispezionare tunnel o terrapieni, e con l’Osservatorio di Pino Torinese per la costruzione di modelli divulgativi per la cosmologia nel nuovo museo interattivo ApritiCielo.

Citato in