Dossier

Ulcere cutanee: Torino all'avanguardia nazionale

Corrado Durante: un problema che interessa anche i militari

Durante Corrado Corrado Durante è direttore dell’unità operativa di Vulnologia al Policlinico militare «Celio» di Roma.

Quali applicazioni ha la vulnologia in ambito militare?

I medici militari sono stati storicamente i primi interpreti della cura delle ferite. Da sempre siamo specializzati in traumatologia, ortopedia, chirurgia d’urgenza e, di conseguenza, vulnologia. Le lesioni più complesse sono quelle conseguenti a scontri sul campo sia da arma bianca sia da proiettili o bombe. Purtroppo le ferite complesse (che interessano cioè tessuti diversi: pelle, ossa, muscoli, tendini, muscolatura...) sono all’ordine del giorno, perché gli ordigni sono sempre più spesso improvvisati e mirano a mietere il maggior numero di vittime anche tra civili.

È il caso delle mine anti-uomo?

In realtà queste sono già armi che si producono industrialmente e si vendono “ufficialmente”, dunque sono, per così dire, controllate. Gli Improvised explosed devices (Ied) sono, invece, ordigni creati artigianalmente per colpire uno specifico obiettivo, quindi sono tarati e preparati per abbattere un determinato target (es. carro armato...) oppure per colpire il maggior numero di persone possibile in un piccolo plotone o una pattuglia. Se si applicasse la stessa inventiva ad altro, saremmo un pezzo più avanti. Anche le mine anti-uomo, comunque, dovrebbero essere di produzione vietata: sono ordigni infami, dai quali non ci si può proteggere; sono lasciati nel terreno per danneggiare e colpire le fasce più inermi della popolazione, perché il vero obiettivo è minare il senso di sicurezza generale.

Ci sono altre categorie di ferite di cui vi occupate?

Sì, per esempio le ustioni gravi, che talvolta interessano i militari in pattuglia nelle zone di guerra. In genere si spostano all’interno di mezzi blindati chiusi e percorrono strade zeppe di esplosivi. Se saltano su un ordigno, all’interno del mezzo può divampare il fuoco: se gli occupanti non riescono a liberarsi, possono riportare ustioni gravissime. Le nostre unità operative sul campo prestano i primi soccorsi, poi in genere i feriti vengono trasferiti attraverso ponti aerei nei policlinici militari più attrezzati.

Questo per ciò che concerne le ferite acute. Il “salto” alle ferite croniche come avviene?

È legato alla naturale evoluzione delle ferite acute: si pensi ancora agli ustionati gravi o, più in generale, a tutte le ferite che a distanza di tempo danno invalidità permanente (es. amputazioni o tetraplegia), così come gli allettamenti prolungati. Occuparci delle lesioni croniche è, per così dire, una tappa obbligata per poter seguire i nostri feriti. Abbiamo inoltre a che fare con ulcere arteriose e diabetiche sia per la loro presenza tra il personale militare sia perché il nostro ospedale (sede di uno dei pochi centri italiani specializzati in vulnoterapia) è aperto anche ai civili.

A livello generale la sensibilità nei confronti delle ulcere croniche è sempre stata bassa ed è iniziata a crescere negli ultimi anni. In ambito militare è accaduto lo stesso?

No, direi che l’attenzione per le lesioni che intervengono a corollario delle altre c’è sempre stata. Siamo un po’ in ritardo, piuttosto, sui protocolli di cura. Al momento ne abbiamo uno solo, elaborato di concerto tra le forze armate internazionali, per le ferite da ustione. Da 3-5 anni a questa parte la nostra scuola per infermieri sottufficiali, realizzata in collaborazione con l’università di Tor Vergata, punta molto alla cura e prevenzione delle ulcere cutanee perché, in generale, l’età media dei nostri assistiti (es. parenti dei militari e personale della Difesa) si è alzata e i problemi di questo tipo sono sempre più frequenti. Anche la formazione sul campo è più attenta, soprattutto riguardo alle fasi di sgombero dei feriti, e pone particolare cura ai tipi di bendaggio, alle fasciature, alle strategie di protezione sia delle zone colpite sia di quelle risparmiate, in un’ottica preventiva.

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