Dossier

Dalla stalla alla tavola, prevenire è meglio che curare: visita all'Istituto Zooprofilattico

Capre e pecore da tenere sott'occhio...

pecora La scrapie (o TSE degli ovicaprini) è la più diffusa encefalopatia spongiforme animale. È nota da quasi tre secoli: la descrizione della prima pecora con un comportamento che poteva far pensare alla scrapie risale al 1730, ma molte sono le testimonianze che indicano la presenza di diversi focolai in Europa anche prima di quella data. Da allora l’epidemia ha continuato ad aumentare e la scrapie è ormai endemica in molti Paesi. La malattia, che prende il nome da un prurito intenso che porta gli animali a prodursi ferite anche profonde strofinandosi contro qualunque superficie (in inglese to scrape significa «grattare»), colpisce soggetti adulti di età compresa tra i 2,5 e i 4,5 anni, solo raramente si riscontra al di sotto dei 18 mesi di età. Il periodo di incubazione varia generalmente da 2 a 5 anni. Il prione che causa la scrapie è stato isolato in organi e tessuti diversi: encefalo, placenta, linfonodi, intestino, milza, ghiandole surrenali, mucosa nasale. L’infezione avviene da animale ad animale per via orale e, in particolare, è dovuta alle placente dei capi che hanno appena partorito e vengono lasciate sul terreno. L’insorgenza della malattia, oltre che dal ceppo infettivo coinvolto, è influenzata dalla suscettibilità dell’individuo, che dipende a sua volta da una predisposizione genetica degli ovicaprini.

Maria Cristina Bona lavora presso il Servizio di epidemiologia del CEA, all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta. Si occupa in particolare della scrapie.

Dottoressa Bona, nel 2006 il rischio di scrapie tra gli ovicaprini italiani era maggiore rispetto a quasi tutti gli altri Paesi europei: è ancora vero?

I dati relativi alla "sorveglianza attiva" (condotta cioè sugli animali regolarmente macellati e quelli trovati morti) indicano che il nostro Paese si colloca tra quelli della Ue con livelli di rischio della malattia medio-basso per quel che riguarda i caprini e alto per la specie ovina. Bisogna comunque tenere conto di un elemento importante: i controlli sono stati condotti con criteri e frequenza diversi negli Stati membri dell'Unione Europea. Francia, Spagna, Regno Unito e Olanda, ad esempio, hanno eseguito un grande numero di test; altri Paesi ne hanno fatti pochi. Dunque, prima di procedere a un raffronto diretto dei dati sul rischio in ogni Stato, occorrerebbe valutare anche questi elementi. Detto questo, è vero che l’Italia, per la categoria degli ovini trovati morti, si colloca solamente al di sotto di Cipro e della Grecia, dunque ai primi posti nella classifica Ue del rischio; ma per quel che riguarda gli animali macellati sono parecchi i Paesi con un rischio maggiore del nostro.

Perché in alcuni Stati c'è una prevalenza maggiore? Dipende, ad esempio, dal tipo di razza più diffusa?

In Italia, in realtà, dipende da una Nota ministeriale che, alla fine del 2005, ha imposto di testare tutti gli animali morti e regolarmente macellati sopra i 18 mesi. La decisione di aumentare l’attività di sorveglianza per la TSE negli ovicaprini nasceva da un nuovo stato di allerta comunitario, innescato dall’individuazione di un caso di BSE in una capra francese. Ovviamente se aumenta il numero di test, aumenta anche il numero di casi positivi alla TSE. Così nel 2006 il numero dei focolai tra gli ovicaprini italiani risultava più che raddoppiato rispetto al 2002, anno di avvio del sistema di sorveglianza attiva. A luglio 2007 è uscito però un nuovo regolamento che impone di testare un minor numero di animali: il tetto fissato è di 10.000 test tra i trovati morti e i regolarmente macellati in entrambe le specie. Nel 2007 i focolai confermati sono stati 80: sono molti, ma occorre considerare che si era partiti testando tutti i capi giunti al macello e che i servizi veterinari di fatto non si sono fermati a quota 10.000 test. Anche perché lo stesso regolamento ministeriale impone di “spalmare” i 10.000 test sui diversi mesi dell’anno e differenziarli sia per razza sia per collocazione geografica (devono essere distribuiti tra le varie Regioni), in modo da avere un quadro attendibile della situazione nazionale.

capraLa decisione di aumentare la sorveglianza per la TSE negli ovicaprini nasceva come lei ha ricordato, in seguito all'individuazione in Europa di alcuni casi di TSE che presentavano un quadro molecolare simile alla BSE bovina. Oggi cosa ne sappiamo?

Per ora continua a esserci un unico caso accertato di BSE in una capra ed è quello francese a cui accennavo sopra. Oltre al caso d’Oltralpe, nel 2006 erano ancora in dubbio un ovino a Cipro e due in Francia: fortunatamente pare che l’esito finale sia negativo. Ma la procedura di verifica è molto lunga: bisogna eseguire studi specifici sui topi, che richiedono almeno due anni. Al momento comunque pare esclusa la possibilità che vi siano altri casi.

Nel report del 2006 definivate «allarmante» la situazione dei controlli sugli ovicaprini morti: nonostante l'obbligo di testare tutti i capi adulti morti, risultava che il numero dei test effettuati (sia per gli ovini che per i caprini) era molto al di sotto del numero atteso in base alla mortalità annua. Addirittura una quota vicina al 90% di tutti i capi venuti a morte sfuggiva alla sorveglianza. Nel 2007 come è andata?

Il grande problema, non solo italiano, è che l'anagrafe zootecnica bovina è a buon punto, mentre quella ovicaprina è partita da poco e dunque non è ancora efficiente. D'altronde è strettamente legata alle dimensioni degli allevamenti. In alcune Regioni (es. Sardegna e Toscana) ci sono realtà piuttosto grandi e all’avanguardia, dove l’adeguamento agli obblighi di legge è più semplice. In altre zone, tuttavia, ci sono mandrie ridotte, transumanti, dove è più difficile fare controlli.

Sempre secondo il vostro report del 2006 gli allevatori dimostravano minore attenzione al problema della salvaguardia delle greggi nei confronti della scrapie attraverso la selezione di animali geneticamente resistenti alla malattia. A distanza di un anno è ancora così?

Credo che il problema sia legato al tipo di allevamento: se è di piccole dimensioni e marginale, anche l’allevatore è scarsamente ricettivo per certi discorsi. Alla base di alcuni focolai tenuti sotto osservazione lo scorso anno, ad esempio, c’erano situazioni ai limiti del credibile: si stenta a pensare che ci sia ancora gente che vive in quel modo, tagliata fuori dal mondo. Per queste persone è quasi impossibile capire quali siano le opportunità offerte dalla selezione genetica. Ma anche per gli allevatori più all’avanguardia può essere difficile accettare questa soluzione: in alcune razze in particolare gli animali con genotipo resistente alla TSE si sono rivelati “meno efficienti” in base ai parametri produttivi (carne e latte). E se l'allevatore non ha un riscontro economico in tempi brevi, è poco interessato al piano di selezione genetica.

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