Dossier

Istituto Nazionale di Neuroscienze: la guida a Torino

Cambiare l'Università in sei mosse

Qui di seguito le proposte del VI Congresso dell`associazione «Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica» (Salerno 15-17 febbraio 2008), sottoscritte tra gli altri da Piergiorgio Strata (Università di Torino), Giacomo Rizzolatti (Parma) e Giovanni Berlucchi (Verona).

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aula universitaria In un mondo basato sulla conoscenza, la competizione globale si lega allo sviluppo delle persone migliori. L'università, che dovrebbe essere il centro creativo della formazione, non ha mai goduto della necessaria attenzione. Negli ultimi due anni, poi, abbiamo assistito alla paralisi e al de-finanziamento, ma ora l'agonia non può protrarsi ulteriormente. Dato che la campagna elettorale ignora l'argomento, indirizziamo ai candidati premier sei punti urgenti, alcuni a costo zero.

Primo punto. La «madre di tutte le battaglie» per combattere l'inefficienza, gli sprechi e le pecche dei concorsi nell'università: una seria valutazione, quella che il ministro Moratti aveva introdotto con il Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca (CIVR) e che il ministro Mussi aveva bloccato in attesa di varare un'Agenzia Nazionale per la Valutazione della Ricerca e dell'Università (ANVUR). Proponiamo il potenziamento dell'attività del CIVR e l'incremento del premio per le Università in funzione della qualità della ricerca. Sarebbe opportuno che il premio andasse in parte direttamente ai Dipartimenti che hanno una percentuale di docenti altamente qualificati, sul modello del Research Assessment Exercise (RAE) inglese. Nelle scienze sperimentali si dovrà tenere conto anche della capacità di aggregazione delle strutture per raggiungere masse critiche significative.

Secondo punto. I finanziamenti pubblici per la ricerca debbono essere sottoposti al metodo della «peer review» (la valutazione da parte di «pari» e quindi di altri scienziati che non siano nemmeno potenzialmente in conflitto di interesse), metodo adottato in tutto il mondo.

Terzo punto. L'emanazione dei decreti attuativi per la ripresa dei concorsi nazionali di professore di prima e seconda fascia. Questo può esser fatto in tre mesi. I concorsi locali si sono dimostrati una ope legis mascherata, che va soppressa. Dalla qualità dei decreti attuativi dipenderà il miglioramento del sistema dei concorsi, che verrà sanato quando avremo una valutazione efficiente.

Quarto punto. Blocco dei concorsi di ricercatore. Il reclutamento è il punto più debole. Rappresenta la via d’ingresso alla carriera universitaria per la quasi totalità del corpo docente e avviene, di fatto, premiando chi è stato vicino a chi lo promuove. Una logica che peserà sulla qualità e sui bilanci per decenni, sbarrando la strada ai più meritevoli. Questo primo gradino è in tutti i Paesi una posizione di contratto a termine, che in genere fornisce garanzie per otto anni dalla laurea. Ed è in questo periodo che il ricercatore precario deve poter accedere per merito a un posto di professore, se dimostra autonomia di ricerca. Oggi, oltre i 15 mila ricercatori di ruolo, esistono 50-60 mila ricercatori precari, che svolgono spesso le stesse mansioni dei primi. La proposta è di reclutare in maniera meritocratica, da questa massa, 10 mila nuovi posti di professore.

Quinto punto. Abolire le discriminazioni degli automatismi sulla base dell’età. A partire da 65 anni ogni professore può rimanere in ruolo, senza limiti, a seguito della valutazione della sua produzione degli ultimi tre anni e della capacità di ottenere finanziamenti. Se la sua produzione è carente, va collocato a riposo. Il provvedimento darebbe spazio ai giovani e assicurerebbe il contributo di chi è ancora produttivo: questo sarebbe in linea con quanto avviene in altri Paesi, dove la discriminazione dell’età, ma non del merito, è considerata illegale.

Sesto punto. Riordino del sistema universitario su due livelli. Uno di «college», in cui la trasmissione del sapere rappresenta il 90% dell’attività e il 10% è ricerca, e un secondo livello: questo obbedisce all’idea secondo cui almeno il 50% dell’attività è creazione di sapere. È una logica in linea con le «Teaching Universities» e le «Research Universities» inglesi o i «Colleges» e le Università Usa. Il provvedimento farebbe pesare meno la componente didattica, aggravatasi con le lauree triennali, che ostacola i giovani studiosi, i quali dovrebbero dedicarsi soprattutto alla ricerca.

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