Apicoltura o l'arte dell'allevamento delle api e della produzione del miele
La prima traccia dell’utilizzo del miele da parte dell’uomo risale all’epoca preistorica ed è fermata nella pittura rupestre della cueva de la Araña (grotta del ragno) che si trova presso Valencia, in Spagna: poche linee tratteggiano l’immagine di una persona che infila la mano in un tronco alla ricerca del favo, mentre intorno volano api di dimensione e aspetto non proprio rassicuranti. Successivamente la pratica dell’apicoltura intesa come allevamento delle api per la produzione di miele è accertata nell’Antico Egitto, dove già 2400 anni prima di Cristo erano sperimentate attività di raccolta e conservazione del miele, come testimoniano dipinti murali portati alla luce nel tempio del re della V Dinastia Niuserra ad Abusir. Greci e Romani apportano numerose modifiche migliorative alla pratica dell’apicoltura, introducendo il concetto di arnia come unità abitativa costruita dall’apicoltore per accogliere una colonia di api, ma bisogna aspettare la fine del Medio Evo e la successiva rinascita delle scienze e delle arti per ritrovare tracce di questa particolare tipologia di allevamento. Il XIX secolo è il momento della svolta: nel 1851 infatti, dopo una serie di tentativi falliti volti al miglioramento dell’arnia in paglia di origine greca, l’apicoltore statunitense Lorenzo Lorraine Langstroth inventa il favo mobile, che rappresenta il passaggio definitivo verso l’apicoltura moderna garantendo il vantaggio non indifferente di intervenire nell’alveare senza distruggerlo. Il favo mobile si basa sul principio del passo d’ape o spazio d’ape, definito come la distanza fissa (pari a 9,5 millimetri) che è necessario lasciare tra coprifavo e portafavo e tra i montanti dei telai perché le api non fissino alle pareti e al tetto dell’arnia i favi stessi. L’invenzione del favo mobile determina la nascita e la diffusione di differenti tipologie di arnie, classificate in base allo sviluppo orizzontale o verticale degli alveari in esse contenuti. In definitiva, gli elementi tipici dell’apicoltura moderna sono:
· il favo, inteso come un raggruppamento di celle di cera di forma esagonale costruito dalle api per contenere le larve della covata e per immagazzinare miele e polline
· l’arnia, o l’unità abitativa costruita dall’agricoltore per accogliere una colonia di api
· l’alveare, identificato da una famiglia di api “inarniata”
· il coprifavo e il portafavo, cioè elementi mobili realizzati dall’uomo per “indirizzare” l’attività delle api durante la costruzione del favo in modo da poter utilizzare i prodotti della colonia senza danneggiare o distruggere il suo nido
Di pari passo alle innovazioni cosiddette tecniche e nel solco di antiche tradizioni di comprovata funzionalità, gli studi per il miglioramento della pratica dell’apicoltura giungono a individuare due tipologie di allevamento delle api in base al mantenimento delle arnie sempre sullo stesso territorio o allo spostamento delle stesse in zone differenti, definendo così l’apicoltura stanziale e l’apicoltura nomade. Quest’ultima si basa sul principio dello spostamento in funzione delle variazioni di altitudine e del procedere della stagione: le arnie inizialmente sono collocate in pianura e nelle basse vallate, dove tra aprile e giugno ci sono le fioriture precoci, e in seguito sono spostate verso quote via via maggiori per seguire le fioriture tardive di luglio e agosto che culminano con la melata degli abeti. Al termine di questa raccolta gli alveari sono riportati in pianura a svernare. Tale tipologia di allevamento permette di raccogliere il nettare sempre nel momento di migliore qualità e di maggiore quantità e, conseguentemente, di ottenere un prodotto finale eccellente, soprattutto nel caso dei mieli uniflorali.