Dossier

Buchi neri nel cortile di casa

Alla ricerca dei buchi neri

Molti sono i motivi per cui i ricercatori si sono affannati nella ricerca dei buchi neri, il primo fra tutti è certamente il fatto che questi corpi rappresentano il luogo in cui la forza di gravità ha avuto la meglio su tutte le altre forze, ma non solo i buchi neri di taglia stellare rappresentano i “resti” di stelle morte. Studiando questi oggetti quindi è possibile approfondire le nostre conoscenze sull’evoluzione stellare e in particolare su gli ultimi stadi della vita di una stella. Ma dove e in che modo si può andare alla ricerca di un buco nero nella nostra Galassia? Una volta che si sono formati, i buchi neri sono essenzialmente oggetti passivi: la sola possibilità di localizzarli sta nel riconoscere gli effetti gravitazionali che inducono sulle stelle o i gas circostanti. Nel 1966 il teorico russo Jakov Zel’dovic e l’allora studente Igor Novikov proposero che il metodo migliore per andare a caccia di buchi neri fosse l’osservazione di sistemi binari stretti in cui il buco nero avrebbero dovuto accrescere materia a spese di una stella compagna. A causa delle viscosità il materiale in caduta sul buco nero si sarebbe scaldato fino a temperature dell’ordine di centinaia di milioni di gradi, alle quali il gas emetterebbe radiazione soprattutto nella banda dei raggi X. La proposta di Zel’dovich e Novikov fu lungimirante, ma non scaturiva certo dal nulla, infatti, in quegli anni in ambito astrofisico e non solo, si parlava di alcune scoperte scaturite grazie alla messa in orbita di nuovi strumenti che osservavano l’Universo con occhi diversi, ossia attraverso “l’occhio dei raggi X”. La proposta di Zel’dovich fu sicuramente stimolata dalla scoperta della prima “stella a raggi X”, Scorpius X-1.

Quando dirigiamo il telescopio su una sorgente celeste di raggi X, oggi sappiamo che stiamo osservando regioni dell’Universo in cui avvengono i fenomeni più violenti ed energetici. Ma osservare il cielo in raggi X è tutt’altro che semplice. A differenza della luce visibile, essi non possono penetrare in profondità nell’atmosfera terrestre e quindi per rilevarli è necessario mandare in orbita oltre l’atmosfera rivelatori di radiazione X, alloggiandoli per esempio su razzi e satelliti.

Sco X-1 Nel 1962 un razzo lanciato da un gruppo dell’American Science and Engineering (AS&E), diretto dal premio Nobel Riccardo Giacconi, riuscì a rivelare la prima sorgente X posta ben al di fuori del Sistema Solare nella direzione della costellazione dello Scorpione e per questo fu chiamata Scorpius X-1. Oggi sappiamo che Sco X-1 è una stella di neutroni che orbita intorno a una stella normale e i raggi X vengono prodotti nella regione vicino alla stella di neutroni.

Ma bisognerà aspettare il 1970, anno del lancio del primo telescopio X, Uhuru (che in lingua swahili significa “libertà”) per la scoperta del primo candidato al rango di buco nero Cygnus X-1.

Suggerimenti