Dossier

Gli insetti sulla scena del crimine: a Torino indagini alla Kay Scarpetta

Al lavoro tra cadaveri, larve e microscopi

cartello ingresso obitorio È una gelida mattina d’inverno. Il termometro segna –2°C. L’appuntamento è all’Obitorio civico. Primo cancello grande, dopo quello d’ingresso al cimitero, quindi seguire il cartello «camere mortuarie». Nel piazzale un carro funebre è in attesa del suo passeggero. Due vigorose scampanellate e finalmente una ragazza sorridente, con indosso un grembiulone azzurro e guanti in lattice, apre il portoncino: «Abbia pazienza, ma sono sola. Si accomodi intanto. Finisco di là e sono da lei. A breve arriva anche Paola». Paola Magni è l’entomologa forense che dobbiamo incontrare ed è la responsabile del Forensic Entomology Laboratory (F.E.Lab) dell’ASL1 di Torino, che ha sede all’Obitorio civico.

La porta che dà sul retro della sala riunioni è spalancata su un cortile dove un coniglio bianco, raggomitolato in un angolino, sgranocchia una carota. «L’abbiamo adottato da qualche mese», mi dice Fanny, che nel frattempo si è tolta il grembiulone e si è procurata anche un po’ di fieno, «devono averlo abbandonato. Ce lo siamo trovato qui una mattina e l’abbiamo adottato. Non si fa avvicinare volentieri. Evidentemente degli uomini ne ha già avuto abbastanza...». Dal cortile spunta anche Paola. Dopo essersi sincerata della salute di “Bianchetto”, mi fa accomodare in laboratorio e immediatamente mi presenta i suoi due «figli», i microscopi ottici: «Tutto il resto può mancare: l’essenziale è che ci siano loro».

Il F.E.Lab, ci spiega, «è nato nel 2006, grazie alla lungimiranza del dottor Stefano Jourdan, direttore della Struttura complessa di Medicina Legale dell’ASL1, mancato prematuramente lo scorso anno. È l’unico laboratorio di entomologia forense a far parte del Sistema Sanitario Nazionale e si trova all’interno dell’unica struttura obitoriale italiana che ha ricevuto la certificazione di qualità».

larve e microscopio Paola Magni è un tipo entusiasta e racconta col cuore la storia e le attività del laboratorio. Appoggiati sopra i banconi, una decina di contenitori impilati con dentro larve un po’ di tutti i colori. «Questi sono i miei esperimenti», spiega. «Sto studiando quale sia il metodo migliore per conservare le larve recuperate nei sopralluoghi». E ce le mostra, sollevando i barattoli uno per uno: larve messe in alcol subito dopo il prelievo, congelate a –20°C e poi immerse in alcool, raffreddate a –20°C e poi in formalina... «Le più belle sono queste, non c’è dubbio: dritte, formose, perfette. Dopo il prelievo, le ho bollite e poi sprofondate nell’alcool a 70%. È sicuramente la tecnica migliore: permette di fare campioni buoni su cui chiunque può poi fare indagini, sicuro di non aver perso informazioni preziose. Il problema è convincere chi fa il prelievo a procedere alla bollitura... Un carabiniere del Nucleo Investigativo di Ravenna l’ha fatto prima di spedirmi i campioni che ho di là, ma non è da tutti».

Anche recuperare le larve sulla scena del reato non è semplice, spiega l’entomologa. «I libri dicono di usare un pennellino per non rovinare le strutture più delicate, come le uova, che però paiono attaccate con il cemento. Io perciò uso la pinzetta e consiglio sempre, quando possibile, di tagliare lembi interi di carne o tessuto, in modo da evitare ogni inconveniente». Dirimpetto al bancone ci sono alcuni vasconi di plastica trasparente dove Magni coltiva i mosconi blu. «In questa stagione all’aperto fa freddo, dunque per le mie sperimentazioni devo usare cavie allevate in laboratorio». In genere compra larve e vermi nei negozi di caccia e pesca, «vere miniere a prezzi contenuti». Adesso i soggetti sperimentali sono ancora allo stadio larvale, «ma si schiuderanno tra una decina di giorni», sentenzia dopo aver controllato il termometro che segna +17°C. Subito dopo verifica se hanno cibo a sufficienza: apre la calza di nylon che avviluppa il contenitore privo di coperchio, infila il braccio e recupera uno scatolotto con dentro un pezzo di ovatta: «È miele. Serve per quando si schiudono e hanno fame».

collezione entomologica 1 Vicino al davanzale della finestra ci sono alcune collezioni entomologiche: vetrinette piatte e trasparenti con gli insetti infilzati dagli spilli e minuscole etichette che riportano i nomi scientifici della specie di appartenenza. Due raccolte, confessa, le ha comprate perché le servono per fare raffronti; una, invece, l’ha creata lei: «Questi sono esemplari di un caso famoso in Piemonte, quello della donna trovata avvolta in un tappeto». Poco più in là c’è un carrellino con provette vuote di varie dimensioni: «Sono quelle che si usano durante i sopralluoghi per riporre i campioni da analizzare», spiega, «ma in pratica mi porto dietro solo le più grandi: vanno bene sempre». In effetti, in certe situazioni, la praticità è un requisito essenziale. Appoggiato nell’angolo, un retino per la cattura degli insetti: «Più che altro serve per fare scena», confessa. «Le informazioni importanti, infatti, non si deducono dagli animali adulti (che, deposte le uova, volano via), ma dalle larve».

Raggiungiamo l’ufficio. Sulla scrivania ci sono un computer da tavolo, un notebook portatile in cui sono archiviate le slides dei vari corsi e seminari, qualche contenitore con le larve, libri, fogli a perdita d’occhio e una serie di fermagli coloratissimi e, naturalmente, a forma di insetto. Accanto, il bancone con i due microscopi, altre larve sotto alcool e tre mosche infilzate su una tavoletta di polistirolo. Di fianco uno schema con i particolari anatomici della specie, su cui Magni annota a penna le proprie osservazioni. «In questo caso ciò che distingue una specie dall’altra», dice accendendo il microscopio e mettendo a fuoco una delle mosche, «è il colore della “barba”: una ce l’ha gialla e l’altra nera. Guardi anche lei: è facile». Talvolta, invece, i testi ufficiali suggeriscono controlli complessi: «Per stabilire a quale specie appartengono le larve dei ditteri, ad esempio, consigliano di valutare se la distanza tra gli spiracoli posteriori (due orifizi presenti nella “coda”) è inferiore o superiore al diametro degli stessi buchi. C’è di che diventare matti. Osservando attentamente le larve al microscopio si nota però che c’è una caratteristica più semplice da rilevare e che è differente nelle due specie: le pieghe di una certa parte corpo sono arrotondate in un caso, appuntite nell’altro».

larve e pinzette L’osservazione diretta, dunque, è fondamentale, ma è altrettanto importante la bibliografia. Per questo nell’ufficio di Magni c’è anche uno scaffale pieno di faldoni con articoli della letteratura scientifica archiviati in maniera magistrale, «perché bisogna saperli trovare al volo quando servono». E poi ci sono i dossier con i casi risolti e quelli oggetto di indagine. C’è anche una bustina rettangolare di plastica rossa con una vistosa scritta «RIS Carabinieri». Contiene i reperti di un caso di molti anni fa, uno di quelli chiamati “cold case” (delitti irrisolti). Paola Magni, nonostante la professione atipica e la confidenza disinvolta con cui maneggia larve, insetti e prove del delitto, è una ragazza sorprendentemente semplice e spontanea. Ventotto anni, capelli biondi raccolti, indossa jeans, maglioncino e scarpe da ginnastica. Dietro agli occhiali firmati, due occhi ridenti e vivaci, su cui ha passato un velo di trucco. Mentre cerchiamo sul suo notebook una fotografia da pubblicare, racconta della volta che su un quotidiano nazionale è uscita una sua foto «orrenda», nella quale indossava una maglia nera che la faceva sembrare «enorme e goffa»: persino il suo fidanzato fece del sarcasmo su quella sua “brutta copia”. Per non parlare del titolo dell’articolo: «”Mi spaventava Biancaneve, ora studio gli insetti necrofili”: una boutade tremenda», ricorda tra il divertito e l’indispettito: «A causa di quella frase amici e colleghi mi hanno chiamata Biancaneve per una vita».

L’incontro termina dopo un paio di ore. Per raggiungere l’uscita passiamo dinanzi a una lunga teoria di camere mortuarie: per non inciampare in visioni spiacevoli, che peraltro violerebbero la privacy degli “ospiti”, teniamo lo sguardo fisso sul corridoio, ampio e deserto, dipinto in due diverse tonalità di azzurro. «Siamo fortunati a lavorare qui», commenta l’entomologa. «È tutto nuovo e moderno. Altri obitori sono autentici musei degli orrori». Stiamo sulla fiducia e ci congediamo.

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