Articoli

Studio italiano scopre una tecnica che permette al cuore infartuato di ripararsi da solo

La ricerca, condotta da un gruppo di esperti de «La Sapienza» di Roma e del Laboratorio europeo di biologia molecolare (Embl), è stata presentata in occasione del 69° congresso della Società italiana di cardiologia (Sic). Ampio spazio è stato dato anche alla questione del testamento biologico.

cuore infartuato - simbolica Le cellule staminali, tra le altre funzioni, svolgono anche quella di riparare il muscolo cardiaco. Tuttavia, dopo un infarto, non riescono più ad assicurare questa preziosa attività. Studiosi italiani dell’Università «La Sapienza» di Roma e del Laboratorio europeo di biologia molecolare (Embl) di Monterotondo hanno scoperto perché le staminali smettono di funzionare correttamente ma, soprattutto, hanno capito come rimetterle nelle condizioni di riparare il danno. L’annuncio è stato dato durante i lavori del 69° Congresso della Società italiana di cardiologia da uno degli studiosi impegnati nella ricerca, Antonio Musarò, professore associato di Medicina e biotecnologie alla Sapienza.

«Assieme al gruppo della dottoressa Nadia Rosenthal dell’Embl», dice Musarò, «abbiamo capito perché le staminali presenti nel cuore dopo un danno, come un infarto o un trauma, non svolgono più correttamente il loro compito. Invece di produrre tessuto funzionale contrattile, che permette di “riparare” il danno, smettono di funzionare o addirittura producono tessuto fibrotico non funzionale. Questo succede perché il danno cardiaco provoca un ambiente ostile alla normale attività cellulare. Abbiamo dunque compreso che le cellule possono riprendere la loro corretta funzione modificando l’ambiente subito dopo l’evento che ha provocato il danno. Questo spiega anche perché, molto spesso, il semplice trapianto di staminali non dà i risultati sperati. Il fallimento potrebbe essere dovuto proprio all’ambiente non idoneo».

Una volta scoperto che è il contesto a rendere le staminali residenti incapaci di funzionare correttamente, si è reso necessario trovare il sistema per ripristinare un ambiente ideale. A questo punto si è ricorsi a fattori di crescita da introdurre nel muscolo cardiaco danneggiato. «Le nostre ricerche», aggiunge Musarò, «ci hanno consentito di individuare uno specifico fattore di crescita, il mIGF-1, particolarmente idoneo a modificare l’ambiente, attivare le cellule staminali e recuperare il danno. L’mIGF-1 è normalmente presente nei diversi tessuti dell’organismo, ma la sua funzione viene a mancare in diverse condizioni patologiche. Ecco perché è necessario introdurlo dall’esterno. Al momento queste scoperte hanno dato risultati molto incoraggianti su modelli animali».

«È una scoperta veramente molto importante», commenta Francesco Fedele, direttore del Dipartimento di cardiologia dell’Università «La Sapienza» di Roma e presidente della Società italiana di cardiologia, «perché apre una via nuova per un utilizzo “intelligente” delle cellule staminali. Da questa ricerca emerge anche un altro dato: il ruolo fondamentale delle nuove tecnologie, come la risonanza magnetica, per caratterizzare il tessuto dopo l’infarto o per mettere in evidenza eventuali condizioni ambientali favorevoli o non favorevoli. Il nostro augurio è che presto le ricerche possano passare dal laboratorio al letto del paziente».

testamento biologico Altrettanto interessanti i risultati di un sondaggio sul testamento biologico, realizzato dalla Sic con il supporto di Datanalysis tra i partecipanti al Congresso. Otto cardiologi su dieci risultano favorevoli al testamento biologico e uno su due, se ci fosse una legge sull’eutanasia, sarebbe disposto a interrompere le terapie cardiologiche a un malato senza più speranze.

Secondo la maggioranza degli intervistati le figure di riferimento alle quali affidare l’eventuale testamento biologico sono un familiare (37,2%) o un notaio (32,6%), mentre il medico di fiducia raccoglie minori consensi (16,3%). Chi si è dichiarato non favorevole al testamento biologico (il 10,4% del campione) motiva tale affermazione sostenendo che si tratta di un problema che non riguarda il cardiologo (80%).

Come s’è accennato, la metà dei rispondenti (50%) si dichiara disposta a interrompere le cure a un malato senza più speranze, qualora ci fosse una legge sull’eutanasia, mentre una quota inferiore riferisce di non essere assolutamente disponibile (22,8%), altri ancora (14,7%) non sanno rispondere e alcuni (8,5%) sottolineano che non è un problema del cardiologo.

Tornando alle questioni d’interesse strettamente cardiologico, più di un terzo degli specialisti (35%) ritiene che oggi, rispetto al passato, si muoia meno per l’infarto, ma di più per il secondo infarto e che ciò sia dovuto a una generale sottovalutazione della gravità dei problemi, mentre per altri rispondenti questa situazione è dovuta a trascuratezza da parte del paziente (29,8%) oppure a un’insufficienza dei servizi cardiologici (12,4%) o, comunque, a una scorretta valutazione del problema in ambito non cardiologico (10,5%).

Oggi, d’altronde, le patologie cardiache rappresentano un ambito di interesse e di coinvolgimento per molti altri specialisti, tra cui radiologi, anestesisti, medici di medicina d’urgenza. Due terzi circa dei partecipanti all’indagine conoscitiva Sic (64,6%) considerano scorretto l’approccio terapeutico da parte di non cardiologi. Per risolvere questa spiacevole situazione ritengono fondamentale, prima di tutto, un intervento delle Società scientifiche competenti (44,5%) e, in subordine, una norma degli Ordini dei medici (25%) oppure un’opera di persuasione nei confronti degli specialisti (22,2%). La centralità del cardiologo è ancor più evidenziata da coloro che sono d’accordo alla presenza di uno specialista nel Pronto Soccorso (75%): secondo il 56,4% degli intervistati la mancanza di questa figura deve essere rintracciata soprattutto in motivi economici e poi in quelli organizzativi (23%).

Traffico cittadino Infine un quesito sullo stress eccessivo quale nemico del cuore: per i cardiologi gli uomini si stressano maggiormente al lavoro (43,6%) e nel traffico (22,3%), mentre le donne hanno forme di stress legate soprattutto alla famiglia (40%) e ai rapporti sentimentali (23,7%).

«I risultati emersi dal questionario meritano una riflessione», commenta Francesco Fedele. «La metà dei cardiologi si è dichiarata disposta a interrompere le cure a un malato senza più speranze, ma attenzione: nessuno ha parlato di “staccare la spina” e cioè di compiere un intervento attivo, bensì di accompagnare il paziente fino al termine della vita, senza alcun accanimento terapeutico. Per quanto riguarda il testamento biologico, sorprende soprattutto che i cardiologi identifichino nella famiglia e nel notaio le figure di riferimento, mentre riservano al medico di fiducia un ruolo secondario. Per quanto concerne, ancora, il quesito sul post infarto, probabilmente c’è un conflitto di interessi: non a caso viene attribuita maggiore responsabilità al paziente rispetto al medico. È interessante, infine, che 64 cardiologi su 100 denuncino “l’invasione di campo” da parte di specialisti non cardiologi e che alle Società scientifiche sia attribuita una grande responsabilità in tal senso».

Suggerimenti