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Sembrava rigida e rinsecchita

Un uomo al volante di un'auto. Sta guidando, penserete. E' vero. Qualcuno guida qualcosa. Ma se siete proprio sicuri che sia l'uomo a guidare l'auto e non, piuttosto, il contrario....? Date un'occhiata a questo ambiguissimo racconto di Roberto Vanzetto.

Dopo aver guidato tutta la notte, percorrendo centinaia e centinaia di chilometri, ero finalmente arrivato nella mia vecchia casa: i primi chiarori dell’alba già popolavano l’orizzonte quando mi infilai sotto le lenzuola. Mi alzai di pomeriggio inoltrato e scesi in garage per recarmi in città. Fatta la solita retromarcia per portare l’auto in cortile, scesi per richiudere il portone, ma quando mi volsi per risalire in auto mi fermai stupito. Quello che vedevo davanti a me non aveva senso. Ci misi alcuni secondi per afferrare la situazione, ma ancora non riuscivo a credere ai miei occhi: un’esile signora di mezza età, coi capelli rossi, se ne stava spiaccicata fra il fanale sinistro e il fanale destro della mia automobile, con un braccio conficcato fra le fenditure della mascherina del radiatore e le gambe quasi penzoloni fin sotto la coppa dell’olio. Sembrava rigida e rinsecchita: attorno a lei non c’era quasi traccia di sangue. Ma si vedeva chiaramente che era morta.

Quando l’avevo investita? La notte prima, sicuramente. Tutta quella strada, con la scarsa visibilità, con la stanchezza... Ma qual era il punto preciso in cui l’avevo raccolta? Com’era possibile che non me ne fossi reso conto? Doveva essere stata una signora molto soffice e leggera, quasi incorporea, per non farsi neanche sentire. Forse erano stati i finestrini chiusi, il ronzio dell’aria condizionata, la musica che ascoltavo… e la grande stabilità dell’auto. Tutto era concorso ad attutire, anzi a coprire completamente il fragore di quell’urto mortale. E io ero andato a dormire senza neanche farci caso! Del resto dal posto di guida non avevo visto assolutamente nulla. Risalii in auto per accertarmene: era proprio così, dal sedile anteriore non si scorgeva nemmeno in piccola parte la sagoma della magrissima signora coi capelli rossi. Cosa potevo fare? Seppellirla da qualche parte mi sembrò l’unica soluzione possibile. Chi avrebbe mai potuto incolparmi? Chissà di quanti chilometri l’avevo condotta lontano da casa. A quell’ora tutti i suoi familiari probabilmente la stavano cercando disperatamente; ma era impossibile che mi trovassero: centinaia di chilometri di strada con decine e decine di bivi e una quantità di paesi mi separavano da loro. No, la possibilità che qualcuno mi ritenesse responsabile della scomparsa di questa povera signora era veramente nulla. Inoltre nei miei confronti non esisteva alcun possibile movente o sospetto per incolparmi di questo omicidio. Solo la mia coscienza mi poteva accusare. La mia coscienza, però, un po’ mi discolpava: non essendomi accorto di nulla, come potevo essere responsabile della cosa? Come poteva trattarsi veramente di una mia responsabilità? E poi, non sapendo come si erano realmente svolti i fatti, non poteva darsi che la colpa fosse tutta della signora coi capelli rossi? Magari si era suicidata.

Ero ancora imbambolato in mezzo al cortile, col motore della macchina acceso. Lo spensi e andai a procurarmi un bastone per staccare la signora dal muso dell’auto. Fu un operazione difficile, ma potevo fare tutto con calma, grazie al fatto che vivevo in aperta campagna, lontano da occhi indiscreti. Con pazienza e metodo riuscii a ripulire completamente l’automobile: l’ammaccatura della carrozzeria quasi non si vedeva. Frugai nelle tasche della signora, ormai distesa al suolo: magari avrei scoperto in che posto abitava. Niente. Probabilmente i documenti li teneva in una borsetta che nell’urto se n’era volata chissà dove. Peccato. Scoprire da dove veniva mi avrebbe tranquillizzato un po’. Non sapevo ancora quanti fossero con precisione i chilometri che mi dividevano dai suoi parenti. La seppellii in meno di mezz’ora, sotto un grande ciliegio. Poi rientrai in casa e mi feci una doccia.

Ero di nuovo pronto per recarmi in città. “Ma guarda che strana storia,” pensai camminando verso la mia auto, “se non mi fosse rimasta attaccata alla carrozzeria a quest’ora non ne saprei nulla. Avrei ucciso una donna e non me ne sarei mai reso conto.” Subito dopo questo pensiero, un dubbio si impadronì di me: un dubbio atroce. Se di questa signora mi ero accorto soltanto per caso, per un puro caso, quante persone potevo aver ammazzato durante gli ultimi mesi coi miei frequenti e lunghissimi viaggi notturni? Come facevo a sapere se lei era davvero la mia prima e unica vittima? Non era invece molto più probabile che avessi ammazzato decine di persone? O magari anche centinaia?

Ero turbato. Così turbato che in un primo momento non mi accorsi che all’orizzonte, sul limitare della mia proprietà, una folla indistinta e compatta avanzava verso la mia casa. Sentivo le loro voci, le loro minacce, la loro rabbia. Ma sì, certo! Erano loro, i parenti. I parenti di tutte le mie vittime che stavano venendo a vendicarsi. Ormai li aspettavo... e li avrei affrontati come si deve. Accesi il motore della mia auto e il suo rombo mi trasformò, facendomi quasi ruggire di gioia.

Selezione a cura di Stefano Sandrelli.

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