Si stima che, nel nostro Paese, ogni 167 bambini che vengono al mondo, uno potrebbe rientrare nello “spettro autistico” e cioè in una delle tante forme in cui si manifesta l’autismo. Dinanzi a questa drammatica realtà e a una malattia orfana di terapie e dati clinici, l’Italia risponde con un importante progetto di ricerca della Fondazione Smith Kline che vede protagonisti 18 Centri in tutta la Penisola. Lo studio, presentato il 24 ottobre nella sede del Ministero della Salute, offre una prima concreta speranza ai malati e alle famiglie. Cuore del programma la «Banca dati biologici e clinici», con sede a Verona, che raccoglierà il dna dei pazienti e dei loro familiari, mettendoli a disposizione di tutto il mondo scientifico. Obiettivo del progetto è definire le cause della malattia e individuare possibili cure. Già nei prossimi mesi potrebbero partire i primi studi genetici della malattia.
«C’è un’evidenza di genetica clinica che fa pensare a una corresponsabilità dei geni nel determinare l’autismo. Ma qui comincia il difficile», spiega Bernardo Dalla Bernardina, presidente del Comitato area ricerca sull’autismo della Fondazione Smith Kline e direttore della Cattedra di Neuropsichiatria infantile all’Università di Verona. «L’autismo, infatti, si presenta in modo molto variegato e quindi non è chiamato in causa un solo gene». Il programma di ricerca sarà dunque molto vasto e coinvolgerà 18 Centri in tutta Italia: a Verona, Milano, Pisa, Rimini, Cagliari, Napoli, Siena, Padova, Brescia, Bosisio Parini (Lecco), Bologna (due), Roma (due), L’Aquila, Bari, Troina (Enna) e Fano. «In pratica», prosegue Dalla Bernardina, «ogni Centro arruolerà il soggetto autistico raccogliendo tutte le informazioni cliniche, neuroradiologiche, neurofisiologiche e i risultati delle valutazioni dei test utilizzati per la diagnosi e per la definizione del quadro clinico. I dati verranno inseriti in una cartella computerizzata; una volta accertato che la cartella è stata redatta in modo corretto, si passerà al prelievo del sangue del paziente. A questo punto tutte le informazioni verranno inviate telematicamente alla Banca dati situata presso i servizi informatici dell’azienda ospedaliera di Verona e gestite dal Servizio di Neuropsichiatria infantile dell’Università locale. Il prelievo ematico sarà contestualmente inviato alla Banca biologica situata presso la Sezione di biologia e genetica del Dipartimento materno-infantile e di biologia genetica dell’Università di Verona. Ovviamente la privacy sarà ampiamente tutelata. Entro i prossimi tre mesi calcoliamo di poter raccogliere nella banca biologica i campioni di almeno un centinaio di soggetti autistici. Potremo condurre studi di genetica quando arriveremo a cento soggetti e passeremo a indagini ancora più complesse quando avremo i dati di almeno mille pazienti».
«Da tempo c’era la necessità di elaborare un quadro chiaro sulle politiche sanitarie rivolte ai soggetti autistici e alle loro famiglie. Ecco perché il Ministero della Salute si è posto l’obiettivo di elaborare un progetto nazionale sull’autismo di concerto con le Regioni. Stileremo un documento conclusivo entro la fine dell’anno», commenta Marco D’Alema, consigliere del Ministro della Salute per la salute mentale, responsabile del progetto ministeriale «Percorsi di ricerca, promozione e tutela della salute mentale in Italia oggi» e coordinatore del Tavolo nazionale di lavoro sull’autismo, insieme a Franco Nardocci, presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza.
«L’autismo è una patologia a esordio precoce, legata a una disfunzione neurobiologica del cervello», spiega Franco Nardocci, neuropsichiatra infantile e responsabile del Centro per l’autismo dell’azienda Usl di Rimini. «Coinvolge tutti i sistemi cognitivi, relazionali e sociali della crescita del bambino. Nei bimbi autistici manca il “pacchetto” dei meccanismi che consentono la relazione con gli altri: non ci sono spiegazioni sul perché non si sono mai creati. Anche la diagnosi è difficile: non c’è una causa nota e quindi non si sa da dove partire. Non c’è un marker come in tante altre patologie mediche. La diagnosi di autismo si fa solo sui comportamenti e sugli atteggiamenti dei bambini nel loro contesto, nel momento in cui si trovano con i genitori, con altri coetanei e anche quando si relazionano con gli oggetti».
«Non si sa molto dell’autismo», aggiunge il neuropsichiatra, «e c’è anche qualche incertezza sul numero di persone che ne soffrono. Alcune ricerche sullo “spettro autistico” (cioè l’insieme delle manifestazioni di disturbi pervasivi dello sviluppo che comprendono anche l’autismo) indicano un’incidenza del 6 per mille. L’autismo d’altronde non è, come si crede, una malattia solo dell’infanzia o dell’adolescenza. L’equivoco nasce dal fatto che si fa diagnosi solo nei soggetti fino a 18 anni di età. Poi, quasi che qualcuno avesse tirato fuori una bacchetta magica, l’autismo scompare e diventa un “fantasma”. Questi soggetti, diventati adulti, diventano a loro volta “fantasmi”. E questo perché dopo i 18 anni un soggetto autistico viene definito non più autistico, ma handicappato mentale non autonomo e da questo momento in poi è trattato come tale. Se gli va bene, finisce in una comunità socio-assistenziale, ma ancora troppe volte per lui si aprono le porte di un Istituto e viene messo insieme a soggetti con altre patologie, che spesso aggravano la sua condizione».
«A cavallo tra gli Anni ’80 e ’90 la teoria più in voga in Italia era quella della “colpevolizzazione” della madre del bambino artistico, una madre “fredda e distaccata” verso il figlio: qualcuno la definiva “madre frigorifero”», ricorda Donata Vivanti, medico ematologo, presidente di Autismo Italia e di Autisme Europe, vicepresidente del Forum europeo della disabilità. «I bambini venivano interrogati per scoprire le “colpe” della madre, alla quale veniva proposta una psicoterapia. Tramontata (perché priva di fondamento) la teoria della “madre frigorifero”, e quindi abbandonata la psicoterapia alla madre, sono arrivati altri metodi di moda. Come il metodo della stimolazione sensoriale, che considera erroneamente l’autismo legato a disturbi sensoriali o iperacutivi o ipertattili o ipergustativi o ipervedenti o tutti insieme. Più recentemente è stata introdotta una tesi che unisce il protocollo di interventi comportamentali (che sono comunque utili perché l’approccio comportamentale è oggi giudicato valido) con diete. Si fanno diagnosi sulla base di costosi esami, ritenendo che l’autismo insorga per un’intolleranza alimentare o per un accumulo di metalli pesanti. E da qui, per esempio, viene consigliato ai genitori di adottare per i figli una dieta priva di glutine e caseina e ricca di integratori. Senza parlare poi di chi, e non sono pochi, dà la colpa dell’insorgenza dell’autismo alle vaccinazioni infantili».