Con l’innalzamento della temperatura cresce il rischio di alluvioni nelle aree montane e pedemontane del Piemonte e della Valle d’Aosta. Ad indicarlo sono i risultati di uno studio del Dipartimento di Idraulica, Trasporti ed Infrastrutture Civili del Politecnico di Torino condotto da Paola Allamano, Francesco Laio e Pierluigi Claps.
Alla base dell’aumento della probabilità di alluvioni è il riscaldamento globale. Secondo il modello previsionale predisposto dal gruppo di ricerca, la frequenza delle piene può aumentare fino a cinque volte per i bacini di alta quota, a fronte di un incremento di temperatura di 2 gradi.
“I risultati – spiega il prof. Pierluigi Claps, docente di Idrologia agli studenti di Ingegneria Civile ed Ambientale - sono ottenuti attraverso un modello matematico che riproduce l’effetto di mitigazione delle piene dovuto al carattere nevoso delle precipitazioni in montagna, ed è in grado di rappresentare le conseguenze di un innalzamento del limite delle nevi sui fenomeni alluvionali”. In altri termini, il modello si basa sulla constatazione che più nevica e più si contiene il rischio di eventi alluvionali. Se però la temperatura cresce, aumenta la possibilità di avere pioggia – e non più neve – anche a quote elevate, con la conseguenza di incrementare la frequenza delle alluvioni.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters, ha preso in considerazione il territorio svizzero, ma la preoccupazione per gli effetti descritti si estende a tutti i territori montani e pedemontani del mondo, specie dove risulta elevato il valore degli elementi a rischio.
Sulla base delle stesse ipotesi utilizzate per analizzare la situazione svizzera è stata condotta una analisi preliminare sui territori del Nord-Ovest italiano producendo scenari di analoga rilevanza. Ad esempio, ad Aosta una piena di gravità eccezionale, che oggi si verifica mediamente ogni 100 anni, in uno scenario di incremento delle temperature sarebbe almeno tre volte più frequente, ossia ricorrerebbe in media una volta ogni 30 anni, ferma restando la sua intensità, e quindi la sua capacità di provocare danni. La stessa analisi ha consentito di riscontrare situazioni simili in alcune aree del Piemonte, come quelle relative alle aste dei principali affluenti del Po a monte di Torino. Ulteriori approfondimenti consentirebbero di arrivare a indicazioni di rischio ancora più precise e su aree più circoscritte.
I risultati della ricerca del Politecnico di Torino, richiamano la necessità che le politiche di intervento per il controllo del dissesto idrogeologico del nostro Paese tengano in dovuto conto anche il concorso dei possibili effetti dovuti al cambiamento climatico, specie nelle aree montane e pedemontane. “È necessario – sottolinea ancora Claps – mantenere elevata l’attenzione alla ricerca scientifica e alle ricadute dei suoi risultati. Approfondire e sviluppare questi studi consentirebbe di evidenziare con maggiore chiarezza situazioni a rischio ed indicare priorità di intervento per garantire la sicurezza dei centri urbani e delle aree produttive”.