Un terzo della popolazione europea è contraria, un terzo è favorevole, la rimanente parte è indifferente: questo risulta da una inchiesta condotta a livello comunitario sull’atteggiamento pubblico nei confronti degli organismi geneticamente modificati. L’Unione Europea, consapevole del suo ruolo primario nella tutela dei suoi cittadini-consumatori, attua la sua politica di controllo sulla presenza degli organismi geneticamente modificati innanzi tutto attraverso la rintracciabilità, che permette di ricostruire in modo documentato la storia di un alimento o di un ingrediente.
Oggi, una rapida lettura dell’etichetta di una semplice pizza margherita che si trova nello scomparto dei surgelati al supermercato, permette di scoprire quali e quanti sono gli ingredienti e qual’ è la loro origine: questo è infatti stabilito dal Reg. CE 1830/2003 , entrato in vigore il 1 gennaio 2005. Se nell’impasto c’è dell’amido, che deriva dal mais, è obbligatorio indicare se il mais da cui deriva è geneticamente modificato. Senza ricorrere alla cosiddetta “rintracciabilità” questo non risulterebbe possibile e documentabile. La tracciabilità, ovvero il percorso fisico inverso alla rintracciabilità, comincia dal campo. E proprio al campo deve essere possibile poter tornare seguendo, per ciascun alimento o suo ingrediente, le tappe che formano la filiera agricola e alimentare attraverso le quali l’alimento si è formato. Per gli organismi geneticamente modificati e la loro origine è già dal campo che scaturisce un primo problema di coesistenza. Per poterli distinguere dalle colture “normali” si dovrebbe poter contare su di un confine biologico che permetta alle une e alle altre colture di mantenere la propria identità. Ma i pollini trasportati da vento, insetti e uccelli si mischiano e può avvenire una contaminazione da parte dei geni modificati nei confronti di quelli “originali”.
Già a partire da questa fase di possibile incrocio parte il lavoro di uno dei numerosi studi europei, affidati a diversi gruppi di lavoro internazionali, per cercare di definire al meglio i mezzi utili a comporre la rintracciabilità di un prodotto OGM. Un gruppo ad esempio è destinato a individuare i modelli di dispersione dei pollini delle specie coltivate e ad osservare come tali modelli funzionino nei diversi ambienti dove le colture GM e non GM coesistono.Altri ricercatori si occupano invece di verificare lungo la filiera di produzione e commercializzazione delle materie prime vegetali, dove possono insorgere dei punti critici, nei quali può verificarsi miscelazione e perciò perdita di rintracciabilità. Tornando al mais, il cui amido va a comporre la pizza, è noto come venga stoccato in grandi silos, per esempio nei porti di arrivo. Se tali attrezzature vengono saltuariamente o ciclicamente utilizzate per la conservazione di mais proveniente da colture GM, dagli Stati Uniti per esempio, è inevitabile un certo livello di miscelazione con il mais proveniente da Paesi dove per ora gli OGM sono meno coltivati, come il Brasile. Anche a questo livello la tracciabilità o rintracciabilità dei prodotti risulta un requisito indispensabile per differenziare le materie prime ed è oggetto di studio di altri ricercatori. Quando l’amido di mais arriva all’utilizzatore – la fabbrica industriale di pizze – spetta a quest’ultimo garantire che nella propria pizza margherita il mais GM non c’è, o, in caso contrario, dichiarare che c’è.
Oggi la legislazione europea detta regole precise in questo ambito e per migliorarne l’applicazione, vista la delicatezza del tipo d’indagini, gruppi di lavoro si dedicano ad indagini di laboratorio per scovare OGM non autorizzati presenti negli alimenti o per identificare sequenze di acidi nucleici sospetti, riconducibili a probabili OGM. Ancora nell’ambito delle problematiche derivanti dalla coesistenza OGM e non GM, altri ricercatori si occupano invece di gestire la relativa informazione. Si tratta di un lavoro che non si limita a mettere a disposizione informazioni utili e chiare, ma che raccoglie le opinioni e le esperienze di tutti i soggetti, dal coltivatore al consumatore finale, che sono coinvolti in questo tipo di problematica. Non mancano inoltre studi in materia di valutazione del rischio ambientale, che prendono in considerazione i possibili effetti a lungo termine, diretti, indiretti, differiti e cumulativi, dell’emissione e dell’uso di OGM sull’ambiente e sulla flora e fauna selvatiche.
I lavori hanno complessivamente l’obiettivo di fornire ai consumatori gli strumenti idonei per fare scelte consapevoli sugli alimenti che consumano – OGM si, OGM no – e ai legislatori le conoscenze adatte per migliorare la coerenza e l’efficacia del quadro legislativo tuttora esistente.
Per approfondimenti: