Con il termine medicina di genere ci si riferisce alla possibilità di distingure le ricerche in campo medico e le relative terapie e cure secondo il genere a cui l’individuo appartiene, maschile o femminile. Non si tratta però di differenziare da un punto di vista prettamente anatomico, ma piuttosto di considerare nel suo insieme il complesso che comprende sia le differenze biologiche e funzionali che i comportamenti psicologici e culturali, che traggono le loro origini dalle tradizioni etniche, religiose, educative, sociali. Fin dal suo nascere, la medicina nel senso più tradizionale del termine ha pensato quasi esclusivamente al maschile: trial clinici, ovvero gli studi di nuovi farmaci o terapie per validarne l’efficacia e la sicurezza, così come metodi e analisi sono stati condotti considerando i beneficiari maschi, senza tenere conto delle differenze biologico-ormonali e anatomiche che caratterizzano l’organismo femminile. Nelle ricerche farmacologiche, l’argomento dosaggio è stato lungamente trattato considerando le donne come uomini di piccola taglia, adattando la posologia ai kilogrammi piuttosto che al sesso. Solo dal 2002 la Columbia University di New York ha dato vita ad un settore specializzato nella medicina di genere, nonostante che le donne oggi siano consumatrici di farmaci decisamente più “accanite” degli uomini.
Nel corso del convegno l’attenzione è stata portata sul problema della messa a punto di modelli sperimentali differenti per lo studio delle problematiche di genere. Gli esempi delle carenze al momento riscontrabili sull’argomento non mancano. Le malattie cardio-vascolari, che in entrambi i sessi sono la prima causa di morte nei paesi occidentali, hanno oggi tendenza a ridursi negli uomini e ad aumentare nelle donne: diventa perciò indispensabile predisporre modelli di prevenzione, cura ed approccio terapeutico al problema il più specifico possibile, tenendo conto delle differenze che si evidenziano non solo a livello anatomico e fisiologico, ma anche nella sintomatologia e prognosi della malattia. Anche la comparsa delle placche aterosclerotiche nelle arterie ha iter diversi: negli uomini inizia prima, nelle donne è più tardiva ma viene accelerata con l’ingresso in menopausa. Le donne sviluppano, nel 4% delle gravidanze, il cosiddetto diabete mellito gestazionale, e diventano quindi più degli uomini ad alto rischio nel contrarre successivamente il diabete di tipo 2. Le tendenze future in quest’area sono dunque indirizzate verso una medicina sempre più personalizzata, che potrà dare i migliori risultati solo se associata ad una educazione ed informazione della popolazione sulle differenze nei bisogni di salute dei due generi.
Nel convegno riminese, a margine, si è parlato anche del rapporto tra donne ed alimentazione a livello globale. Dai dati presentati, è emerso che la donna ha ancora un ruolo d’individuo sottoalimentato, nonostante dedichi alla preparazione dei cibi una grossa parte della sua giornata, e che solo il 5 % delle risorse alimentari sono destinate alle donne, anche se con il loro lavoro contribuiscono a produrne circa il 60%. Problemi che in questo caso, pur coinvolgendo l’aspetto sanitario, possono trovare soluzioni di tipo prettamente sociale e politico adottando adeguati programmi di sviluppo.
Per approfondimenti http://www.lasperanza.net/medicina_di_genere.htm