Alcune settimane orsono l’Accademia delle Scienze di Stoccolma ha conferito il premio Nobel per la Medicina a due ricercatori americani per la scoperta del meccanismo di silenziamento genico tramite Rna. I primi studi concernenti queste ricerche, che si prefiggevano di modificare il colore dei fiori delle petunie, avevano condotto a risultati del tutto differenti da quelli che i ricercatori avevano anticipato. Negli stessi anni G. Macino e C. Cogoni, insieme a un gruppo di ricercatori di un laboratorio di ricerca dell’Università «La Sapienza» di Roma, avevano osservato un fenomeno analogo sperimentando sulla muffa neurospora crassa. Studi successivi, in questi e in molti altri laboratori, dimostrarono che questo effetto era dovuto a un meccanismo insito in ogni cellula che serviva a modulare l’espressione di numerosi geni.
I due ricercatori americani insigniti del Nobel, partendo da tali conoscenze delinearono le possibili applicazioni in numerosissimi altri fenomeni nel settore della ricerca biologica di base e in quello diretto al controllo di numerose patologie umane quali, ad esempio, l’Aids e l’epatite B e C. È obbligo a questo punto fare una riflessione sullo stato della ricerca scientifica e tecnologica in Italia, particolarmente nel settore delle scienze biologiche, che non soffre per carenza di ricercatori di alto livello ma per molteplici altri motivi. Gli studi ai quali si è accennato costituiscono un esempio tipico di ricerca di base che si sta rapidamente concretizzando in applicazioni biotecnologiche e cliniche e che ha sempre sofferto di una cronica carenza di finanziamenti. Così è stato nel passato remoto e così è stato nel passato prossimo italiano.
La ricerca di base e la ricerca applicata si complementano essendo la prima destinata alla generazione di nuove conoscenze e la seconda all’attuazione concreta delle stesse. Vi è, tuttavia, una specie di linea divisoria operativa fra i due tipi di attacchi sperimentali: la ricerca di base non può con certezza anticipare i risultati che potrebbero essere oggetto futuro di applicazioni. In altri termini, le scoperte non possono essere programmate in anticipo, altrimenti non sarebbero vere e proprie scoperte. Vi è un margine spesso consistente di incertezza sui risultati che si otterranno e su quelli che potranno passare al loro impiego concreto. Questa considerazione, purtroppo, ha indotto spesso i governi nazionali, fra i quali gli enti che hanno governato in passato il nostro Paese, a diminuire progressivamente i finanziamenti in questo settore di studi ignorando spesso totalmente l’equazione che la conoscenza - da qualunque disciplina essa provenga - è anche fonte di ricchezza economica.
Vi è, inoltre, una seconda riflessione che nasce dalla pratica della ricerca di base: essa è profondamente, intrinsecamente formativa. Condurre questo tipo di studi aiuta a strutturare la logica del pensiero e quindi risulta in seguito utile per qualsiasi professione futura un giovane intenda operare. Oggi l’Italia deve prendere atto che la propria produttività, se paragonata a quella di altri Paesi ad alto livello socio-culturale, è ancora lontana da quella auspicata e, in questo ambito, soffre in modo particolare di incentivi alla ricerca di base.
Si pone quindi il problema di decidere in quale modo impiegare le risorse disponibili allo scopo di acquisire il livello di competitività necessario. Due sono i modi per pervenire a questo scopo: un incremento nel piano di investimenti e un’attenta valutazione dei progetti di ricerca come avviene in altri Paesi avanzati. L’uno e l’altro sono a tutt’oggi carenti, nello scenario scientifico e tecnologico della ricerca italiana.
Rita Levi Montalcini, Pietro Calissano*
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