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Le vie della scienza

La storia di Alessandro Cruto, inventore italiano della lampadina e Giambattista Beccaria raccontata a partire dalla toponomastica torinese

C’è in Torino una specie di “science center” diffuso. O almeno potrebbe esserci. Con un piccolo investimento in denaro. E un po’ di fiducia nella curiosità della gente. Questo potenziale “science center” è rappresentato dalle vie, dai corsi e dalle piazze che portano nomi di scienziati. Basterebbe non accontentarsi di mettere sulle targhe stradali, sotto il nome del personaggio a cui la via è dedicata, una laconica qualifica come “botanico”, “ingegnere”, “astronomo” (quando pure c’è). A integrazione, e ad altezza di passante, occorrerebbe una segnaletica che raccontasse in breve che cosa questi scienziati hanno fatto. Una operazione del genere, molto opportunamente, è già avvenuta per chiese e palazzi di interesse artistico. C’è chi si ferma e legge. Un seme gettato. Qualcuno, così stuzzicato, entra nella chiesa o nel palazzo, e forse poi andrà anche a documentarsi meglio.

Le storie scientifiche che si potrebbero accennare nelle strade di Torino sono molte, e spesso curiose. Ecco un paio di esempi.

Nella periferia verso l’autostrada per Milano c’è via Alessandro Cruto, una parallela di corso Giulio Cesare che parte da piazza Rostagni, attraversa via Sempione e via Gottardo e termina in corso Taranto. Alessandro Cruto è un inventore della lampadina elettrica. Oggi non riusciamo neppure più a immaginare una città completamente buia: per riscoprire con sgomento che cosa sia l’oscurità c’è voluto il recente blackout. Ma fino a poco più di un secolo fa l’uomo lottava ancora contro le tenebre con scarso successo. Tracce di torce e di lampade ad olio si trovano già nelle caverne dell’età della pietra. Egiziani e Fenici inventano candele costituite di sostanze fibrose impregnate di sego o di cera, che i Romani riescono a perfezionare introducendo il lucignolo. Il lume a petrolio, che si diffonde a partire dal 1860, segna un passo avanti in luminosità e durata. Anche il gas porta un progresso. Tuttavia la svolta decisiva arriva soltanto con l’elettricità e con la lampadina, abitualmente da tutti collegata al nome dell’americano Thomas Alva Edison. Ma a contendergli l’invenzione c’è un italiano, appunto Alessandro Cruto, nato Piossasco, vicino a Torino, il 18 marzo 1847, trentacinque giorni dopo Edison. Purtroppo non gli basterà tutta la vita per recuperare quel piccolo ritardo anagrafico.

Edison accende la sua lampadina il 21 ottobre 1879, Cruto cinque mesi dopo, il 4 marzo 1880.

La lampadina di Cruto però aveva un filamento migliore: faceva luce per 500 ore contro le 40 ore della lampadina di Edison. Eppure, nonostante la maggiore efficienza della sua lampadina, il merito di Cruto non venne riconosciuto e una sua fabbrica di lampadine sorta nella cintura di Torino fu assorbita dalla Philips. Nel 1903 il filamento di tungsteno, realizzato dall’americano William T. Coolidge, risolverà definitivamente il problema della durata delle lampadine a incandescenza. Cruto morirà dimenticato da tutti nel 1908. L’Enciclopedia Treccani oggi gli dedica 9 righe e un errore di 27 anni nella sua data di nascita.

Vennero poi i tubi a fluorescenza, ideati dal francese Georges Claude nel 1909 ma affermatisi solo trent’anni dopo, che usano neon, vapori di sodio o vapori di mercurio. Le lampade alogene sono un recente perfezionamento delle lampadine classiche: il loro filamento di tungsteno si conserva molto più a lungo grazie a un gas come lo iodio. Il futuro sarà degli OLED, diodi organici a emissione luminosa. A Torino la prima strada ad essere illuminata fu via Garibaldi: le luci si accesero il 7 aprile 1887, lo stesso anno in cui entrò in funzione la prima centrale idroelettrica d’Italia, a Tivoli.

Figlio di un capomastro, fin da ragazzo Cruto si appassionò alla fisica e alla chimica. Nel 1872 aprì a Piossasco un laboratorio per la produzione di diamanti artificiali e filamenti di carbone. I diamanti si fecero sospirare ma otto anni dopo dai filamenti di carbone nacque la lampadina. L’idea gli era venuta nel 1879 ascoltando una lezione di Galileo Ferraris nella quale l’illustre inventore del motore elettrico asincrono aveva sostenuto che gli studi sulle lampade a incandescenza erano destinati a un totale fallimento. “Tute bale”, avrebbe commentato Cruto. E infatti pochi anni dopo, nel 1884, lo stesso Galileo Ferraris illuminava i padiglioni dell’Esposizione Industriale di Torino con le lampadine di Cruto.

Un’altra storia interessante ce la può raccontare corso Giambattista Beccaria, quel breve tratto alberato e fiancheggiato da portici che conduce da piazza Statuto a corso Principe Eugenio. In questo caso c’è anche un monumento a fornire ulteriore documentazione: la stretta piramide con in cima una specie di astrolabio che si trova al centro di una rotonda disegnata da piante di tiglio nella parte di piazza Statuto verso il sottopassaggio della ferrovia. Una leggenda metropolitana afferma che quel monumento segnala il quarantacinquesimo parallelo, cioè la linea esattamente intermedia tra l’equatore e il polo Nord. La credenza fu rafforzata da un romanzo di Marina Jarre che si intitolava appunto “Monumento al parallelo”, poi ripubblicato presso Einaudi sotto altro titolo, “Un leggero accento straniero”.

In realtà piazza Statuto si trova alla latitudine di 45° e 4 primi. Il quarantacinquesimo parallelo passa esattamente lungo la Strada vicinale Castello di Mirafiori, proprio dove termina il Giardino Gustavo Colonnetti nel quale è prevista la realizzazione del nostro Science Center con annessa sede permanente di Experimenta: un dato topografico che forse può anche offrire lo spunto per battezzare questa struttura dedicata alla diffusione della scienza.

Il modesto monumento di piazza Statuto, rovinato da sparatorie di cecchini nei giorni della Liberazione, ricorda invece uno dei lavori scientifici più importanti di Giambattista Beccaria: la misura del grado di meridiano ordinata da re Carlo Emanuele III nel 1759 su suggerimento dell’astronomo Ruggero Boscovich dell’Osservatorio di Brera, come conferma anche l’epigrafe latina che si chiude con le parole “centrum circuli aerei in marmore defixi marmor sub terra latens”.

Con l’aiuto di Domenico Canonica (1739-1781), prima Beccaria rilevò direttamente con la miglior precisione possibile la distanza tra quel punto di piazza Statuto e un altro punto geodetico a Rivoli. Partendo da questa base, triangolò poi la distanza tra Andrate di Ivrea e Belvedere di Mondovì. Il risultato che pubblicò nel 1774 in “Gradus Taurinensis” diede una lunghezza del grado di meridiano di 112,06 chilometri, un po’ in eccesso rispetto al valore medio oggi adottato, che è di circa 111,137. La circonferenza della Terra lungo il meridiano gli risultò quindi di 40.322 chilometri anziché di 40.009,152. Tutto sommato, una buona approssimazione. Ma un malevolo discendente di Gian Domenico Cassini, astronomo all’Osservatorio di Parigi, non si lasciò sfuggire l’opportunità di denigrare il valore della misura compiuta dallo scienziato piemontese.

Nato a Mondovì nel 1716 e morto nel 1781, Beccaria aveva completato i suoi studi a Roma presso la Congregazione dei Chierici Regolari. Ottimo letterato, aveva però più interesse per la scienza e coronò le sue aspettative quando nel 1748 Carlo Emanuele III gli assegnò la cattedra di fisica all’Università di Torino. Fu Beccaria a decretare l’affermazione definitiva in Piemonte del metodo sperimentale galileiano. I suoi studi prediletti riguardavano l’elettricità: sulla sua casa impiantò un parafulmine nell’anno stesso in cui Benjamin Franklin l’aveva inventato. Tra le sue opere spiccano “Dell’elettricismo naturale” (1753) e “L’elettricismo artifiziale” (1771), tradotto in inglese dallo stesso Franklin.

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