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La svolta post alimentare: il progetto EPOBIO

La nuova rivista dell’Unione Europea «research eu» ha recentemente pubblicato un interessante articolo di Mikhail Stein dal titolo “ Le virage post alimentaire” che introduce alcuni importanti spunti di riflessione e di studio sul futuro degli sviluppi non alimentari dell’agricoltura.

Grazie alle acquisizioni dovute alla ricerca scientifica e al progresso tecnologico, si può affermare che oggi è possibile ottenere, almeno in via teorica, quasi tutti i derivati del petrolio a partire dalle colture estensive. Possono allora gli agricoltori riconvertirsi in produttori di materie prime? Una risposta a questa domanda la cerca il consorzio di dodici laboratori di ricerca euro americani EPOBIO, iniziativa nata nell’ambito Task-force europeo-americana per le biotecnologie.

Lo sviluppo delle colture cosiddette non alimentari è iniziato negli anni ’90, anche se già in precedenza ci sono esempi di uso di materie prime vegetali per usi alternativi. A tale proposito Stein ricorda come , tralasciando le piante come lino e canapa sfruttate per le loro fibre ad uso tessile già dall’antichità, nei lontani anni ’30 le auto Ford utilizzassero, per i propri equipaggiamenti, materiale plastico derivato dalla soia. I derivati del petrolio hanno poi preso il sopravvento sino ai giorni nostri, quando la chimica verde potrebbe diventare un ‘alternativa al “concorrente nero”.

Ma quali sono i presupposti e quali gli obiettivi concreti della sfida, bando ai facili entusiasmi “verdi” ed ai sogni pseudo ecologici? Il consorzio EPOBIO, con i suoi ricercatori ed i suoi laboratori sparsi nei due continenti, ha il compito di analizzare “le opportunità e i limiti di questa “riconversione””. Il lavoro del consorzio, che si svolge in un ottica di previsione al 2020, ha tre oggetti di studio: i biopolimeri destinati a produrre materiali plastici, gli oli vegetali e i prodotti che si possono ottenere da specifici trattamenti alle pareti delle cellule vegetali.

Campo di soia

Polimeri naturali

Tutte le materie plastiche sono formate da polimeri di sintesi, ma i polimeri esistono in forma naturale nel mondo vegetale. Sono utilizzabili allo scopo? Per adesso ci sono pochi esempi e poco concorrenziali dal punto di vista qualitativo. Si sono però già fatte delle considerazioni sull’impatto ecologico di questo tipo di produzione: anche se completamente biodegradabili, occorre considerare che per produrli occorrono antiparassitari, concimi e trasporti, a loro volta consumatori di energia e generatori d’inquinamento. I ricercatori di EPOBIO si interrogano, a questo proposito, se non sia meglio trovare nuove forme di riciclaggio delle materie plastiche esistenti e continuare ad utilizzare il petrolio per produrre materie plastiche, visto che questa “attività assorbe meno di un ventesimo della produzione mondiale e fornisce prodotti soddisfacenti”. Molto dipenderà dai risultati delle ricerche sul rendimento della filiera dei biopolimeri, che investono, tra l’altro, la “manipolazione del metabolismo vegetale per accrescere il contenuto in polimeri e il miglioramento delle tecniche d’estrazione”.

Gli sviluppi per gli oli vegetali

Anche le considerazioni sugli oli derivati da vegetali partono da un presupposto di base: la loro struttura chimica è simile a quella degli idrocarburi di derivazione fossile. Usi pratici ce ne sono già molti: il biodiesel prodotto dal colza, gli inchiostri per l’editoria a base di soia, l’olio di ricino come lubrificante industriale.Infiorescenza di ricino

Le ricerche in atto in questo settore sono indirizzate ad indagare prima di tutto quali siano le possibili applicazioni dei diversi acidi grassi prodotti all’interno dei vegetali e come vengono sintetizzati nel metabolismo verde. Ciò fatto, i ricercatori di EPOBIO intendono valutare se potranno esserci applicazioni di tipo transgenico in questo settore, per ottenere organismi geneticamente modificati in grado di fornire le quantità e la qualità di acidi grassi più adatte alla trasformazione. Sarà da valutare parallelamente la possibilità di introdurre nell’area europea colture ad alto contenuto in acidi grassi , come la soia o la palma da olio, già ampiamente coltivate nel resto del mondo. O di ridare valore a colture oleaginose a lungo trascurate , come il ricino e il lino, o ancora di testare le potenzialità di piante, come l’euphorbia o la calendula, sulle quali solo recentemente si è posata l’attenzione della ricerca.

La scommessa vegetale della biomassa

Una volta effettuata l’estrazione degli acidi grassi, una grossa parte della biomassa vegetale, costituita da polimeri proteici e glucidici, resta inutilizzata. Ecco la terza sfida del progetto EPOBIO: approfondire la conoscenza dei residui e valorizzarli, in una “logica integrata, che guarda a sfruttare pienamente tutti i componenti vegetali “. Per estremizzare, qualcuno pensa alle bioraffinerie, in cui produrre una serie di prodotti chimici a partire da questi residui vegetali, che sono per la maggior parte costituiti dalle pareti delle cellule vegetali.

Se da un lato potrebbe esserci un’ enorme quantità di biomassa disponibile – la parete che racchiude la cellula vegetale rappresenta circa l’ 85% della cellula stessa - bisogna fare i conti con i costi energetici per sfruttarla, perché sono necessari trattamenti chimici ed enzimatici complessi. A costi concorrenziali, i polimeri potrebbero essere scissi in molecole più piccole, e di qui riaggregate “secondo l’immaginazione dei chimici : biocarburanti a partire dal glucosio della cellulosa, resine o solventi a partire dallo xilosio delle emicellulose, emulsionanti e adesivi a partire dai fenoli della lignina”.

Se e quando le bioraffinerie potranno in futuro affiancare o sostituire le raffinerie petrochimiche è ancora presto per dirlo. Di sicuro il percorso è tracciato e la sua origine si trova nei laboratori di ricerca di base della biologia vegetale.

Per approfondimenti :

Articolo originale in http://ec.europa.eu/research/research-eu/52/article_5226_fr.html

Progetto EPOBIO in http://www.epobio.net/

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