Articoli

La scommessa del futuro: gli anticorpi monoclonali.

Attirati dalla stesse cellule del tumore gli anticorpi monoclonali le trovano in tutto il nostro organismo, le combattono e le sconfiggono. Terapia dei tumori e impiego degli anticorpi monoclonali www.accessexcellence.org Attuali applicazioni di questi farmaci e prospettive future

Anticorpi monoclonali: sono veri e propri proiettili capaci di arrivare direttamente al bersaglio guidati dal loro stesso obiettivo.

Il bersaglio è la cellula tumorale che da lui viene colpita a morte mentre gli altri tessuti adiacenti e sani restano intatti.

Anticorpo Gli anticorpi monoclonali stanno rivoluzionando la cura di un numero sempre crescente di forme di tumore e non solo.

Molti sono in fase di sperimentazione o di studio, ma una trentina di loro ha già lasciato il laboratorio per diventare farmaci a tutti gli effetti.

Puntano a sconfiggere il tumore alla mammella, al polmone, al rene, al colon, al retto, all'ovaio e le leucemie.

In più vengono utilizzati anche contro alcune infezioni virali, per evitare il rigetto da trapianto, come strumento di diagnosi nei test di gravidanza, o per individuare malattie infettive come l'epatite C.

Insomma, più di un quarto dei farmaci su base biotecnologica su cui si sta lavorando nel mondo fanno parte della grande famiglia degli anticorpi monoclonali.

Gli anticorpi monoclonali sono in grado di riconoscere la cellula del tumore che pur essendo diversa da quelle sane, normalmente non viene riconosciuta dagli anticorpi prodotti dal nostro organismo.

L'anticorpo monoclonale al contrario viene prodotto in laboratorio a partire proprio da una caratteristica specifica della singola cellula tumorale: ovvero dall'antigene, una proteina presente esclusivamente ed in grande quantità nella cellula malata.

L'attacco degli anticorpi monoclonali si dirige quindi in modo selettivo proprio contro quelle cellule che possiedono un determinato antigene.

Il primo anticorpo monoclonale venne creato nel 1975 dal biochimico americano Cesar Milstein.

Questo scienziato voleva riuscire a ottenere un grande quantitativo di anticorpi tutti appartenenti ad un unico tipo.

A produrre gli anticorpi nel sangue sono i linfociti che però oltre a vivere solo per poche settimane non possono venir coltivati in laboratorio. Al contrario le cellule tumorali sono immortali o quasi.

Per cui Milstein pensò di "fondere" insieme due cellule diverse, un linfocita (capace di produrre gli anticorpi) e una cellula tumorale derivata da un mieloma umano.

La nuova cellula risultante da lui creata e chiamata ibridoma era sia capace di produrre anticorpi come il linfocita, sia immortale come la cellula di mieloma e quindi facilmente coltivabile in laboratorio.

Da questa cellula in continua riproduzione si originano poi cellule figlie tutte uguali, quindi dei cloni.

Una volta aperta la strada alla creazione di cellule immortali e capaci di creare anticorpi il problema restava quello di riuscire ad indirizzare queste armi verso un particolare tipo di tumore.

La via per ora seguita è quella di iniettare nel topo alcune cellule prelevate dal tumore o, nel caso siano noti, direttamente i suoi antigeni in modo da favorire il riconoscimento della malattia da parte dei linfociti del topo che quindi si attivano per produrre anticorpi contro di questa.

Il problema è soprattutto legato alla ricerca degli antigeni tumorali e dipende anche dal fatto che la realizzazione di ibridomi efficaci può richiedere anche alcuni anni.

Ormai in laboratorio si lavora con tecniche di bioingegneria per "umanizzare" gli anticorpi in modo da evitare la loro eliminazione da parte dell'organismo umano che li riconosce come estranei.

I nuovi anticorpi sono per il 95% di origine umana e solo il piccolissimo tratto specifico per il riconoscimento del bersaglio proviene dall'animale.

Solo la sperimentazione, però, potrà rivelare se il farmaco funzionerà davvero e in quali casi.

I tumori del sangue come i linfomi e le leucemie sono stati i primi contro cui sono stati realizzati e utilizzati gli anticorpi monoclonali, questo soprattutto perché è più facile ottenere le cellule dal sangue che dai tumori solidi per i quali occorre una biopsia.

Il primo anticorpo monoclonale ad essere utilizzato negli ospedali è stato il rituximab, nato una decina di anni fa e capace di reagire contro il CD20 un antigene presente sulla superficie delle cellule in oltre il 95% dei linfomi del tipo non-Hodgkin.

Questo anticorpo agisce direttamente legandosi alla cellula ammalata e causandone la distruzione.

La capacità degli anticorpi monoclonali di riconoscere una cellula tumorale ha suggerito anche la possibilità di associarli a terapie già note in modo da farli diventare una sorta di veicolo capace di trasportare i farmaci o sostanze radioattive sulla cellula malata in modo che i loro effetti collaterali su altre cellule sane siano quasi azzerati.

Per esempio nel caso della leucemia mieloide cronica è in fase di studio un anticorpo monoclonale diretto contro l'antigene CD33 presente sulla superficie delle cellule leucemiche.

Questo anticorpo è legato alla callicheamicina, un antibiotico che danneggia irreversibilmente i cromosomi in questo caso uccidendo le cellule tumorali.

Per i tumori che non colpiscono le cellule del sangue, ma i tessuti interni, al momento l'unico anticorpo disponibile è il Trastuzmab impiegato nella terapia dei tumori alla mammella.

L'ostacolo maggiore sulla strada degli anticorpi monoclonali deriva dal fatto che non tutti i pazienti affetti dallo stesso tipo di tumore risultano ugualmente sensibili allo stesso tipo di cura.

Ad esempio, nel caso del Transtuzmab, solo il 30% delle donne malate di tumore alla mammella esprime effettivamente l'antigene sulle cellule cancerogene.

Inoltre, anche quando l'antigene è presente e la cura funziona può accadere che non tutte le cellule tumorali vengano poi uccise.

In più, esistono nel nostro organismo delle zone definite santuari che sono rappresentate dal cervello e dai testicoli che non possono venir raggiunte dagli anticorpi perché sono irrorate da vasi sanguigni particolari caratterizzati da una spessa barriera di cellule che non permette al farmaco di penetrare il tessuto stesso.

Suggerimenti