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La ricerca vista da un giovane scienziato

Fantasia, senso di astrazione ma anche tanta buona volontà, studio e costanza. Questi gli ingredienti per fare una buona ricerca.

Paolo Forni, figlio d’arte, estroso, barba e capelli incolti, occhialini tondi da studioso. Soprannome di laboratorio: ”il Sorcio”. Creativo per vocazione, progetta siti internet, copertine per cd musicali, creatore e curatore della rassegna cinematografica “Fattizze film festival”. Laureato in biologia, lavora presso il laboratorio di Biologia molecolare dell'Università di Torino diretto dalla professoressa Carola Ponzetto.

Attualmente sta continuando il periodo di dottorato a Washington presso l’NIH (National Institute of Health).

Paolo Forni

Domanda di rito: perché si fa ricerca?

In genere chi intraprende questo tipo di carriera è spinto dalle ragioni più diverse: indomabile curiosità, slancio umanitario, ma anche per puro caso. Indubbiamente in Italia, nessuno lo fa per soldi.

Quanto contano fantasia e creatività?

La fantasia, il senso di astrazione , così come il “fanciullesco” bisogno di provare per capire sono elementi necessari per affrontare questo tipo di lavoro. Necessari ma non unici: oltre al lavoro “poetico” sono infatti indispensabili la costanza, lo studio, e la capacità di far fronte alle continue frustrazioni. Qualcuno ha detto: “Fare scienza è passare da un fallimento all’altro con rinnovato entusiasmo”…

Entusiasmo ma con molte difficoltà di ordine pratico…

Ricerca chimica Si. Fare gli scienziati in Italia è davvero un lusso. Chi può permettersi di vivere con i bassi stipendi, che in media i giovani ricercatori percepiscono, deve avere le spalle coperte o un innato spirito Francescano. Non ho idea se questo sia frutto dell’incapacità italiana di investire nel nuovo o se faccia parte di un ardito progetto di selezione darwiniana volto a premiare la volontà… o gli agganci.

La ricerca italiana è competitiva?

E’ ad un livello discreto. Ma se facessimo un rapporto tra investimenti, strumenti a disposizione personale e pubblicazioni, l’Italia uscirebbe molto meglio di altri paesi formalmente “in vantaggio”. Non è un caso che molti group leader nel mondo siano italiani. Chi continua a fare scienza in Italia (e a farla davvero) lo fa perché ci crede. E questo atteggiamento andrebbe premiato, anziché svilito e scoraggiato.

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