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La felicità è un virus contagioso

Un gruppo di ricercatori americani ha studiato per vent’anni 5.000 persone dimostrando che i sentimenti positivi passano da un individuo all’altro attraverso il contatto fisico, proprio come le malattie infettive.

smiles Sorridi e la vita ti sorriderà. Non è una massima dei Peanuts, ma il risultato di uno studio ventennale. Qualche “sentore”, per la verità, l'avevamo già avuto nella vita di tutti i giorni, sperimentando ad esempio la differenza tra l'avere a che fare con una persona solare e allegra piuttosto che con una scontrosa e depressa. Ma mancavano prove scientifiche, dati e calcoli di laboratorio.

Lo studio, coordinato da James Fowler, docente di Scienze politiche all’Università della California, e Nicholas Christakis, sociologo dell’Università di Harvard, ha seguito circa cinquemila persone tra il 1983 e il 2003 con l’obiettivo di verificare statisticamente se la felicità può passare da una persona all’altra. «È un sentimento tanto fondamentale che l’Organizzazione mondiale della sanità gli attribuisce un ruolo primario nel determinare lo stato di salute individuale», spiegano i due ricercatori. «La felicità è legata a una serie complessa di fattori volontari e involontari. Medici, economisti, psicologi, neuroscienziati e biologi evolutivi hanno identificato un vasto elenco di stimoli propedeutici o inibenti, tra cui le vincite alla lotteria e alle elezioni, il reddito elevato, la disoccupazione, le diseguaglianze socio-economiche, il divorzio, le malattie e il patrimonio genetico. Questi studi, tuttavia, non hanno mai preso in considerazione una determinante cruciale: la felicità degli altri».

amici gruppo Nell’ultimo decennio, d’altronde, le ricerche sui neuroni specchio, avviate a Parma dal gruppo di Giacomo Rizzolatti, hanno aiutato a capire come avviene la condivisione delle emozioni e come individui diversi possano entrare “in sintonia”: quando osserviamo una persona manifestare un sentimento, nel nostro cervello si attivano le stesse aree che sono “accese” in quel momento nell’interlocutore. «Gli stati emotivi», spiegano ancora Fowler e Christakis, «si possono trasferire da un individuo all’altro attraverso la mimesi delle azioni corporee rilevanti in termini emozionali, in particolare le espressioni facciali (es. sorriso o smorfia)». E aggiungono: «Le persone possono catturare gli stati emotivi che osservano negli altri in lassi di tempo che spaziano da pochi secondi a intere settimane. Per esempio, gli studenti assegnati a una classe mediamente triste diventano depressi nell’arco di tre mesi, mentre la possibilità di un contagio emotivo immediato tra estranei, in occasioni fortuite e temporanee, è stata documentata dagli effetti del “servizio con un sorriso” sulla soddisfazione dei clienti». A dispetto dell’evidenza di certi risultati nel breve periodo, «si sa ancora poco su come la felicità si può diffondere, attraverso meccanismi diversi, in periodi più lunghi o in contesti più allargati come le reti sociali».

L’indagine, come accennato, è stata condotta su 4.739 cittadini statunitensi, metà maschi e metà femmine; età media 38 anni (il campione spaziava dai 21 ai 70 anni); livello medio di scolarizzazione 1,6 anni di scuola superiore. «Per misurare la felicità», spiegano i ricercatori, «abbiamo usato quattro parametri della “scala sulla depressione” messa a punto dal Centro per gli studi epidemiologici; in pratica abbiamo chiesto ai soggetti del campione quanto spesso avevano provato i seguenti stati d’animo durante la settimana precedente: “Mi sono sentito fiducioso nel futuro”, “Sono stato felice”, “Ho tratto piacere dalla vita”, “Mi sono sentito a posto come le altre persone”. Abbiamo definito la felicità come la corrispondenza esatta con tutte e quattro le affermazioni».

minnie e topolino L’assunto di base, aggiungono gli studiosi, è che «l’individuo è influenzato dalla propria appartenenza a una rete sociale e da ciò che accade alle persone che gli sono vicine». Il risultato è che le persone felici tendono a essere connesse l’una all’altra. Fowler e Chistakis hanno anche dato un riscontro numerico. Un amico con cui si è in sintonia, se abita nel raggio di un chilometro e mezzo, può innalzare le nostre chance di gioia del 25%. Un po’ meno efficace, ma pur sempre notevole, è il contributo del partner con cui si convive (+8%), mentre fratelli e sorelle (purché abbastanza vicini da poter scambiare un abbraccio o quattro chiacchiere vis a vis) contribuiscono con il 14%. Il contagio non funziona invece tra colleghi: «Il luogo di lavoro», spiegano i ricercatori, «è come un cuscinetto che blocca il flusso di felicità da un individuo all’altro». E funziona poco anche con le emozioni negative: stare accanto a un individuo depresso fa aumentare l’umore grigio “solo” del 7%.

«I dati in nostro possesso non ci permettono di identificare tutti i meccanismi attraverso cui la felicità si estende al prossimo, ma è possibile ipotizzarne alcuni. Le persone contente, ad esempio, possono decidere di condividere la propria fortuna (aiutando concretamente o finanziariamente altri individui) o cambiare atteggiamento nei rapporti interpersonali (mostrandosi più gentili e meno ostili) o semplicemente “trasudando” un’emozione che è genuinamente epidemica». La legge del contagio, aggiungono gli scienziati, non si limita al contatto diretto, ma riesce a penetrare fino a tre gradi di separazione, cioè agli amici degli amici. L’effetto perde di intensità col passare del tempo e con la distanza geografica.

malato con famigliari «I nostri studi», concludono Fowler e Chistakis, «hanno grande rilevanza per le politiche di tutela della salute pubblica. Infatti assicurare cure migliori ai malati non solo aumenta il loro benessere, ma anche la felicità dei loro parenti e amici. Per noi è stato importante soprattutto dimostrare che la salute e il benessere di un individuo influenzano quelli delle persone appartenenti alla sua rete sociale».

Alla ricerca, per quanto interessante, sono state immediatamente mosse diverse critiche, a partire dalla definizione di felicità che, secondo alcuni, sarebbe arbitraria perché ogni individuo è legato al contesto, al tempo, alla geografia e alle motivazioni generali del gruppo in cui vive o a cui anche solo idealmente appartiene. Pertanto i risultati ottenuti sui cinquemila statunitensi probabilmente sarebbero differenti tra gli europei o gli africani. Altrettanto discutibile appare l’assunto che l’infelicità non sia ugualmente contagiosa. Puntualizzazioni che appaiono, tutto sommato, sensate e fondate sul comune sentire. Ma resta il fatto che un sorriso non costa nulla e fa una grande differenza: migliora la nostra vita e quella di chi ci è vicino.

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