Articoli

La centovettottesima tappa fra le stelle

La regata più appassionante del mondo, anzi dell'universo. La Coppa America? Macché! Molto più lunga e spettacolare, con qualche lacrima e parecchi sorrisi. Un allucinato racconto di Roberto Vanzetto.

L’illustre scienziato Daniele Gibin aveva passato la serata in casa di amici. Come al solito aveva chiacchierato in lungo e in largo, senza badare molto all’orologio, cosicché alle due di notte si trovava solo nella sua auto, diretto verso casa lungo una strada deserta. Era autunno inoltrato e la visibilità era scarsa a causa della fitta nebbia. Guidando, aveva l’impressione che il mondo consistesse della sola striscia bianca e grigia che si andava formando lungo l’imbuto dei suoi fanali. L’auto procedeva silenziosa, dandogli una sensazione strana. Un mondo lattiginoso e piatto, limitato da un cono di luce in continuo movimento.

Notò un tenue chiarore circolare, di poco sopra all’orizzonte. Un attimo prima gli pareva che non ci fosse, o comunque che non fosse così luminoso. Lo strano chiarore prese una forma sferica e iniziò a scendere lentamente, mentre Daniele, per niente impressionato dal fenomeno, continuava la sua andatura regolare. Il globo luminoso, poco dopo, cambiò direzione e venne direttamente verso la sua auto, procedendo a mezz’aria sopra l’asfalto.

“Se fossi uno sciocco direi subito che questo è un ufo,” pensò Daniele cominciando a frenare, “invece so benissimo che gli ufo non esistono. Sarà un frammento di pallone aerostatico, oppure una meteora o forse un fenomeno atmosferico...”

Il globo luminoso diventava sempre più grande, a mano a mano che s’avvicinava: Daniele parcheggiò a un lato della strada e scese dall’auto per osservarlo. L’oggetto si fermò a una trentina di metri da lui, sollevato di poco da terra.

“È incredibile!” rifletté Daniele, “Se non avessi studiato tanto e non fossi così intelligente, quasi quasi ci cascherei anch’io: sembra proprio un ufo vero.”

Intanto dallo strano oggetto fuoriuscì una scaletta a pioli, che si posò al suolo. Daniele ne rimase stupito: erano proprio le tipiche sequenze che i visionari testimoniavano. Con la coda dell’occhio sbirciò dietro di sé per vedere se giungevano altre auto. No, pareva proprio che lui e il ‘coso’ fossero completamente soli quella notte.

Il globo luminoso si aprì e dalla sua specie di pancia uscì un essere tondeggiante, alto poco più di mezzo metro, provvisto di tentacoli nella parte superiore del corpo e gambe a forma di spirale con cui compiva buffi balzi in avanti. Coi suoi buffi balzi lo strano essere si avvicinava sempre più allo scienziato terrestre. Quando gli fu davvero vicino, Daniele Gibin notò il suo colore rossastro e le sue lunghe protuberanze azzurre, con le quali sembrava voler sondare l’ambiente.

“Mio, Dio!” pensò compiaciuto Daniele, “Altro che fenomeno atmosferico, qui si tratta senz’altro di un’allucinazione, di un’immagine creata dalla mia fantasia. Bella. Però… come sono preciso, come sono dettagliato! Sapevo di possedere un cervello fuori del comune, ma non credevo, sinceramente, di arrivare a tanto...”

«Ciao terrestre, sono il primo?» chiese in perfetto italiano lo strano essere.

“Fantastico!” pensò lo scienziato, “L’allucinazione è anche auditiva. Sono grande. I miei colleghi moriranno d’invidia quando lo sapranno.”

«Terrestre, sto parlando con te,» insisté il nuovo sbarcato, «sono il primo?»

A questo punto Daniele Gibin si grattò la testa. C’era qualcosa che non lo convinceva: durante la cena aveva bevuto soltanto aranciata, nemmeno un bicchierino di vino. E poi aveva preso un caffè forte: da cosa poteva essere causata un’allucinazione del genere?

«Ma che diavolo! Non sarai mica riconoscibile anche al tatto, no?» gridò Daniele Gibin allungando le mani verso l’alieno e tastandone il corpo soffice e rugoso. «Oddio... Ti posso anche toccare!» disse. E svenne.

Si risvegliò cullato dai lunghi tentacoli dell’alieno, che nel frattempo pareva cresciuto di cinque volte e gli sussurrava all’orecchio: «Sei sorpreso perché sono arrivato per primo, eh? È per questo, vero? Dai, rispondimi…»

Gibin si ritrasse istintivamente. Poi chiese: «Per primo cosa? Non capisco.»

L’alieno spiegò: «Si tratta della nostra regata lungo trecento stelle gialle, provviste di pianeti, di questo settore della galassia. Il tuo sole è la tappa numero centoventotto. Per ogni stella che raggiungiamo dobbiamo toccare il suolo del suo terzo pianeta e farne una fotografia. E io visto che questo pianeta è abitato ne volevo approfittare. So che è contro il regolamento chiedertelo, ma non resisto: voglio sapere se è già passato qualche altro concorrente prima di me.»

«Io non saprei...» cominciò Gibin imbarazzato, «che creda io, nessuno, però ci sono altri umani che... sì, insomma, avvistano un’ottantina di ufo all’anno. E questo solo in Italia.»

L’alieno cambiò colore e poi svenne. Quando si risvegliò era poco più lungo di venti centimetri e singhiozzava disperatamente fra le braccia del terrestre, che tentava di consolarlo meglio che poteva.

«Via, non fare così! Gli avvistamenti degli ufologi sono tutte sciocchezze. È gente che vede ciò in cui vuole credere: le loro osservazioni non hanno alcun valore scientifico, non ci sono assolutamente prove concrete, si tratta solo di interpretazioni sbagliate e grossolane. A loro basta una meteorite, o un frammento di satellite artificiale, o meglio ancora la testimonianza di un idiota, e subito corrono in giro gridando d’aver visto stormi di ufo. Anzi, sai cosa ti dico? A loro basta un freesbee fosforescente o un piatto lanciato in aria!» E dicendo questo, Gibin cominciò a ridere fino ad avere le lacrime agli occhi.

«Lo pensi davvero?» chiese l’alieno tirando un sospiro di sollievo e aumentando nuovamente di dimensioni. «Allora sono davvero io il primo ad aver raggiunto questa tappa!»

«Certo. Li conosco bene quei tipi... gli ufologi…» confermò Daniele asciugandosi una lacrima.

«Bene, grazie infinite. Riparto subito, non voglio perdere altro tempo.»

Lo strano essere risalì nella sua sfera luminosa e dopo pochi istanti schizzò via, verso il buio interstellare, scomparendo nella nebbia e nella notte.

Daniele Gibin risalì in auto e riprese il viaggio verso casa.

Non credeva affatto che si trattasse di un vero alieno, ma non se l’era proprio sentita di lasciar piangere in quel modo la sua dettagliatissima allucinazione.

Selezione a cura di Stefano Sandrelli

Suggerimenti