Venerdì 8 febbraio 2008 alle ore 21, si è parlato all’Accademia di Medicina di “Biomeccanica dell'osso”. I relatori sono stati il professor Pasquale Mario Calderale (Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Torino) ed il professor Gastone Marotti (Dipartimento di Anatomia e Istologia dell'Università di Modena e Reggio Emilia).
Il professor Pasquale Mario Calderale, è il primo ingegnere in Italia ad aver insegnato all'interno di una Facoltà di Medicina. Circa 50 anni fa si è scoperto che era possibile verificare quantitativamente il comportamento meccanico dei materiali biologici, in particolare dell'osso. Proprio come si fa per i materiali che si adoperano nell'ingegneria.
Fu una vera rivoluzione, la svolta che determinò il ruolo potenziale dell'ingegneria nello studio dei sistemi biologici e nella clinica: il comportamento dei tessuti biologici in generale (e l'osso in particolare) può essere studiato mediante i metodi teorici e sperimentali dell'ingegneria.
Questa fu l'origine della Biomeccanica, che sfociò poi nella Bioingegneria.
La conoscenza quantitativa delle caratteristiche meccaniche dei materiali, in particolare per quanto riguarda il loro comportamento sotto carico, è il punto di partenza per fare ogni indagine di ingegneria strutturale e nel caso dell'osso risulta senza dubbio indispensabile sia per poterlo studiare nelle varie condizioni fisiologiche e patologiche (caratteristiche meccaniche e comportamento), sia per poter ricercare materiali sostitutivi, sia per poter approfondire in dettaglio le condizioni ottimali di accoppiamento con altri materiali non bioogici.
In realtà non è tutto così semplice: quando si studia l'osso ci si trova di fronte ad una situazione più complessa rispetto ad un problema ingegneristico tradizionale, in quanto l'osso è vivo, ha la capacità di rimodellarsi in relazione alle condizioni di carico ed ha anche capacità di autoguarigione. In più l'osso cambia le sue caratteristiche nel tempo e con gli anni perde parte delle sue capacità di resistenza. Inoltre, per ragioni di bioetica, non è pensabile che si faccia una sperimentazione in vivo, paragonabile a quella che si fa nella normale ingegneria. Anche per questo la biomeccanica dell'osso ha avuto bisogno di molti anni per risolvere questi ed altri problemi e c'è ancora parecchio lavoro da fare. Molti dei risultati ottenuti finora sono diventati, poco per volta, ma con continuità, parte integrante della medicina.
Il campo di intervento più spettacolare della biomeccanica ossea è quello della costruzione dei pezzi di ricambio del corpo umano, in particolare gli impianti articolari ortopedici e dentari (vedi le protesi d'anca). Poiché l'osso presenta una impressionante ottimizzazione strutturale creata dalla Natura, occorre adoperare i metodi più sofisticati dell'ingegneria, man mano che vengono messi a punto. Ciò allo scopo di migliorare la qualità dell'intervento clinico (specie chirurgico), personalizzando diagnosi e terapia. In sostanza, non si tratta di sconvolgere la pratica clinica, ma di fornire strumenti sempre più efficaci per ridurre il numero di fallimenti ed aumentare la durata degli impianti. In questa ricerca ha un ruolo di primo piano il rimodellamento osseo, per cui l'attenzione maggiore è rivolta alla biomeccanica dell'osso ed alla scelta dell'impianto ottimale quello, cioè, che offenda il meno possibile la struttura ossea. La concretezza della ricerca biomeccanica ha avuto riscontro nell'inserimento (a livello europeo) della biomeccanica negli insegnamenti delle Facoltà mediche e nelle scuole di specializzazione.
Molto è stato fatto sinora, con l'evoluzione di impianti diventati sempre più affidabili e con la proposta recente di miniprotesi ortopediche. Un confronto con le protesi di precedente generazione, proprio per quanto riguarda l'interfacciamento osso-protesi, mostra una linea di tendenza stimolata dalla ricerca biomeccanica e verificata dalla clinica. Sono notevoli le difficoltà tecniche che si incontrano nella realizzazione chirurgica di un accoppiamento ottimizzato di grande precisione tra protesi e osso, precisione che diventa sempre più elevata man mano che si miniaturizzano le protesi.
La biomeccanica oggi opera a diversi livelli di scala. In questa sede ci si occupa delle macrostrutture ossee, con specifico approfondimento di ricerche avanzate riguardanti le protesi d'anca. Parallelamente all'evoluzione di queste ricerche (che peraltro hanno ancora limiti di applicazione dovuti al costo), uno sguardo verso il futuro fa intravedere, oltre alla personalizzazione di un vero progetto biomeccanico ottimizzato dell'artroplastica, l'uso di tecniche robotiche, in particolare con l'aiuto di robot utilizzati con le loro più importanti potenzialità (allo stesso modo di quanto si fa nell'industria), per costruire chirurgicamente, con la precisione prevista dal progetto, il biosistema personalizzato costituito da un impianto, un osso, un sistema muscolo – scheletrico.
La maggior parte dei ricercatori sul sistema scheletrico ritengono che gli osteoblasti e gli osteoclasti siano di gran lunga le più importanti cellule ossee.
In questa relazione il prof. Gastone Marotti ha sottolineato come questo punto di vista sia solo in parte vero. Il metabolismo dell'osso è operativamente attuato dagli osteoblasti, cellule che costruiscono, e dagli osteoclasti, cellule che distruggono il tessuto osseo in un armonico ed ordinato processo che, come una “tela di Penelope”, assicura che l'osso sia sempre giovane attraverso questo sistema di rinnovamento continuo ed incessante. Va però rilevato che sono cellule transitorie e, pertanto, non possono essere le prime a essere coinvolte nel percepire gli agenti meccanici (peso corporeo, forza di gravità, tono e forza muscolare) e non-meccanici (ormoni, vitamine, citochine, fattori di crescita) che controllano i processi di modellamento e rimodellamento dell’osso. In sintesi gli osteoblasti e gli osteoclasti rappresentano le braccia di un lavoratore, ma il vero centro operativo è costituito dalle cellule della linea osteogenica nella fase di riposo. Questa fase di riposo, durante la quale l’osso non viene né deposto né eroso, è caratterizzata dagli osteociti (il vero “cervello” di queste operazioni), dalle cellule di rivestimento e dalle cellule stromali (cioé quelle cellule presenti tra un tessuto e l'altro), tutte collegate tra loro in un sistema come la rete elettrica che coinvolge anche altre cellule di altri organi ed in particolare i vasi sanguigni. Tale sistema, detto sinciziale, si estende ininterrottamente dagli osteociti nell’osso fino all’endotelio dei vasi, passando attraverso le cellule di rivestimento e le cellule stromali. Questo sincizio è stato denominato il Sistema Cellulare Osseo di Base (Bone Basic Cellular System-BBCS). Tutte queste cellule sono a loro volta stimolate da sistemi ormonali (sostanze prodotte altrove o nelle vicinanze), ma anche da stimoli meccanici che modellano in tal modo il tessuto osseo ed ai quali gli osteociti sono particolarmente sensibili.
Ecco l'importanza della biomeccanica che il professor Calderale ha illustrato da un punto di vista metodologico (come si può misurare la resistenza dell'osso) e che invece il professor Marotti ha descritto da un punto di vista cellulare.
Tutto ciò conferma l'importanza dello sport e dell'attività fisica in generale nel mantenimento dell'osso “giovane”, perchè gli stimoli meccanici dati dall'attività sportiva servono per non fare decalcificare l'osso.