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L’industria farmaceutica

Dopo il boom degli anni novanta, l’industria farmaceutica attraversa un momento difficile. Una miscela di problemi comprendenti la scarsa produttività dell’attività di ricerca in laboratorio, la scadenza di molti brevetti e la forte competizione in campo terapeutico ha reso sempre più difficile la realizzazione di nuovi medicinali validi.

Dopo il boom degli anni novanta, l'industria farmaceutica attraversa un momento davvero difficile.

Una miscela di problemi tra cui la scarsa produttività dell'attività di ricerca nei laboratori farmaceutici, la scadenza di molti brevetti e la forte competizione nel campo terapeutico ha reso sempre più difficile la realizzazione di nuovi medicinali validi.

Mentre in precedenza l'industria farmaceutica poteva contare su un buon rendimento dei propri investimenti, adesso i governi e le compagnie di assicurazione hanno sempre più voce nel definire i miglioramenti consoni e i costi che sono disposti ad affrontare.

Non solo quindi definiscono i limiti dell'innovazione, ma esigono in maggior misura di definire il livello di miglioramento che si attendono dalle innovazioni e cercano di trarre il maggior profitto possibile dai medicinali già disponibili in commercio alzando ulteriormente la soglia di innovazione.

Nonostante la premessa, la speranza è che assumendo una prospettiva più orientata al futuro, l'industria farmaceutica possa migliorarsi in modo da saper affrontare le sue attuali sfide.

Utilizzando infatti in tutto il loro potenziale molte innovazioni tecnologiche, potrà affrontare le nuove esigenze del mondo occidentale e ridurre i costi delle scoperte in campo farmaceutico in modo da riuscire anche a soddisfare i bisogni dei mercati più poveri traendone profitto.

Ma se l'industria farmaceutica vorrà sfruttare a proprio vantaggio le innovazioni tecnologiche e scientifiche a sua disposizione, dovrà cambiare prospettiva.

Invece di limitarsi alla ricerca di medicinali multiuso, dovrà concentrarsi nel definire le malattie in modo più preciso così da poter sviluppare diverse terapie per ogni loro fase.

Ciò che quindi si prevede è un netto cambiamento di rotta.

Infatti, molte delle medicine prodotte sinora hanno un profilo terapeutico molto simile.

In genere si tratta di farmaci di prima linea, commercializzati in un'unica tipologia adatta ad una larga fascia di popolazione e facili da assumere.

Questo tipo di medicinali, però, migliora i sintomi della malattia più che cambiarne le modalità di progressione.

piante di erba medica La ricerca e lo sviluppo di questi medicinali sono normalmente molto cari: secondo una stima del Tufts Center for the Study of Drug Development, il costo medio per lo sviluppo di un medicinale è oggi di 802 milioni di dollari.

Occorrono in media 10-12 anni dall'inizio della ricerca al lancio di un prodotto. La spesa sino ad ora è in genere stata coperta nel giro di pochi anni dall'approvazione del farmaco e delle autorità competenti.

Purtroppo però l'attuale situazione renderà sempre più difficile a tali medicinali di ottenere questi successi commerciali.

Inoltre, sta arrivando sul mercato un numero crescente di prodotti con un profilo terapeutico diverso. Questi sono indirizzati ad una popolazione clinicamente ben definita, affetta da patologie molto specifiche e vengono somministrati da specialisti.

Tuttavia anche questi farmaci per ora sono commercializzati in un'unica formula valida per tutti i pazienti (ad eccezione dei prodotti oncologici) e trattano situazioni croniche, sebbene oltre ad alleviare i sintomi siano anche in grado di cambiare davvero il corso di una malattia.

La creazione di questo tipo di farmaci è comunque molto dispendiosa e richiede tempo anche se la competizione che il prodotto trova poi sul mercato e ridotta così come i costi di vendita.

Nell'analisi quinquennale Pharma2010, in cui vengono previsti i futuri trend della produzione dei medicinali, questo tipo di farmaci costituisce il 31% delle medicine maggiormente prescritte.

Questa crescita è accompagnata da quella dei prodotti a base biologica basati sulla fondamentale comprensione della patologia.

L'approccio biologico presenta molti vantaggi rispetto ai fattori chimici perché utilizza sempre di più proteine umane o anticorpi ed è perciò più difficile che scateni nel paziente una reazione immunitaria.

Inoltre è molto più semplice prevedere come proteine e anticorpi verranno distribuiti, metabolizzati ed eliminati.

Uno studio del CMR International dimostra che i medicinali a base biologica hanno possibilità quattro volte maggiori delle entità chimiche di arrivare sul mercato da quando sono sperimentate sull'uomo.

Una prova ulteriore della crescente importanza della biologia deriva dal fatto che l'FDA sottoporrà questi medicinali al vaglio della sua principale divisione preposta al controllo delle medicine, la Center for Drug Evaluation and Research (CDER).

Nonostante questo campo offra notevoli promesse, fino ad oggi è stato fortemente ostacolato da fattori limitanti che sono intrinseci all'industria farmaceutica stessa. Questa infatti non ha esperienza nell'affrontare i problemi legati alla scoperta, allo sviluppo e alla produzione di grandi molecole.

Inoltre è sempre stata riluttante a investire su medicinali a base biologica che non possono essere somministrati oralmente ma devono essere iniettati direttamente nella circolazione sanguigna. Questi medicinali offrono infine minori guadagni.

La sfida futura sarà quella di formulare medicine a base biologica di più semplice somministrazione.

Le nuove scienze molecolari permetteranno all'industria di cambiare il proprio approccio anche se non nel modo inizialmente sperato.

L'ordinamento in sequenza del genoma umano ha rivelato all'incirca 25-50 mila nuovi potenziali bersagli farmacologici anche se non tutti utili dal punto di vista terapeutico e quindi per la produzione di medicine.

Inoltre, la dimensione della sfida è apparsa più grande del previsto con la comprensione che sono le proteine con le loro interazioni, più che i geni, a contenere la chiave della cura delle malattie.

Fortunatamente stanno emergendo un numero discreto di tecnologie che potranno mettere l'industria farmaceutica in grado di far fruttare le nuove tecnologie di genomica e proteomica per comprendere appieno i sistemi biologici nella loro complessità.

A questo proposito lo US National Institute of Health ha inaugurato la Protein Structure Initiative con l'obiettivo di identificare 10 mila strutture proteiche nel prossimo decennio.

Tuttavia i benefici delle nuove scienze saranno limitati al breve-medio termine se l'industria farmaceutica non cambierà il suo modo di condurre la ricerca e la produzione dei medicinali.

Complessivamente si può anticipare che le nuove tecnologie molecolari porteranno alla scomparsa delle medicine che vanno bene per tutti a beneficio di terapie molto più mirate.

Grazie alla genomica infatti i ricercatori stanno acquisendo una maggiore conoscenza dei diversi fattori presenti in ogni fase della malattia.

La capacità di dividere i pazienti in diverse categorie sulla base della loro probabile reazione a particolari medicinali porterà inevitabilmente alla frammentazione del mercato.

Casi di sperimentazione di questo sistema sono già in corso per patologie legate all'asma oltre che in campo oncologico, dove ad esempio il Winship Cancer Institute della Emory University ha sviluppato un sistema capace di frammentare i tumori al seno alla prostata e ai polmoni in otto tipologie distinte in modo da definire quali geni e quali combinazioni di geni causino gli specifici fenotipi e decorsi osservati.

Questo dovrebbe portare allo sviluppo di terapie mirate con farmaci composti da molecole biologiche impostati su bersagli fissi e determinati dalla precisa e accurata conoscenza della patologia da curare in relazione all'unicità della tipologia del paziente.

In conclusione, qualsiasi azienda farmaceutica che vorrà capitalizzare su queste innovazioni dovrà impegare tempo e denaro per modernizzare la sua struttura, trasformando le proprie attività sia in campo scientifico sia in campo commerciale.

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