....Sosteneva, fra l'altro, che le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l'effetto che dir si voglia d'un unico motivo, d'una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo. Ma il termine giuridico " le causali, la causale" gli sfuggiva preferentemente di bocca: quasi contro sua voglia. L'opinione che bisognasse "riformare in noi il senso della categoria di causa" quale avevamo dai filosofi, da Aristotele o da Emmanuele Kant, e sostituire alla causa le cause era in lui una opinione centrale e persistente: una fissazione, quasi: (…).
La causale apparente, la causale principe, era sì, una. Ma il fattaccio era l'effetto di tutta una rosa di causali che gli eran soffiate addosso a molinello (come i sedici venti della rosa dei venti quando s'avviluppano a tromba in una depressione ciclonica) e avevano finito per struzzare nel vortice del delitto la debilitata “ragione del mondo”. Come si storce il collo a un pollo. E poi soleva dire, ma questo un po' stancamente, “ch'i' femmene se retroveno addo' n'i vuò truvà”. Una tarda riedizione italica del vieto “cherchez la femme”. E poi pareva pentirsi, come d'aver calunniato e' femmene, e voler mutare idea. Ma allora si sarebbe andati nel difficile. Sicché taceva pensieroso, come temendo d'aver detto troppo. Voleva significare che un certo movente d'affetto, un tanto o, direste oggi, un quanto di affettività, un certo “quanto di erotia” si mescolava anche ai “casi d'interesse”, ai delitti apparentemente più lontani dalle tempeste d'amore......