L'effetto placebo è uno dei fattori che permettono ai farmaci di farci stare meglio quando ci ammaliamo.
Infatti, è noto che agiscono seguendo almeno due vie: quella biochimica, spesso indispensabile alla guarigione, e quella psicologica.
In altre, parole, la semplice idea che ci stiamo curando può farci stare meglio. Ma quanto meglio? Certo non ci può curare da una malattia molto grave, anche se ci può essere di sollievo, ma spesso può migliorare notevolmente piccoli disturbi come la nausea, piccole sensazioni dolorose, il mal di stomaco.
Quello che succede è che si attiva un meccanismo inconscio che migliora il nostro atteggiamento nei confronti della malattia.
Come si dimostra l'effetto placebo? Si prendono diversi pazienti che hanno la stessa patologia e li si dividono in tre gruppi. Al primo gruppo non si fornisce alcun farmaco, al secondo si fornisce il farmaco e al terzo si fornisce una pillola senza il farmaco (il placebo), quindi si osserva cosa succede.
Quello che può accadere in certe circostanze è che i pazienti che hanno preso il placebo migliorano in modo sensibilmente più evidente di quelli che non l'hanno preso, anche se non arrivano magari a toccare i livelli di guarigione che si hanno con il farmaco, se questo è efficace. La differenza tra un paziente che non ha preso niente e uno che ha preso un farmaco finto, senza saperlo, è l'effetto placebo (in realtà questi esperimenti sono molto difficili da realizzare, perché in ogni caso un paziente che entra in un programma di cura risente già dell'effetto placebo).
Solitamente l'uso di questo termine in medicina è fatto risalire al 1811, nella definizione data da Robert Hooper: "epiteto dato a una qualunque medicina prescritta più per compiacere il paziente che per trattare la medicina".
Oggi, nonostante le controversie sulla reale natura di questo effetto (i meccanismi non sono del tutto chiari), l'uso del placebo è una pratica accettata universalmente nella clinica per verificare l'efficacia di un farmaco.
Infatti, un farmaco è ritenuto efficace se il suo effetto è statisticamente e qualitativamente migliore di quello che si ottiene solo somministrando il placebo.
Alcuni ricercatori hanno dimostrato con la risonanza magnetica nucleare che la somministrazione di finti anti-dolorifici era in grado di modificare l'attività delle aree del cervello deputate al controllo del dolore.
Al momento non è chiaro se il placebo possa essere veramente utilizzato a scopo terapeutico, né se ci sia un'efficacia riconoscibile anche per condizioni diverse dalla sensazione dolorifica.
Quello che stanno mettendo in luce gli studi che si occupano di analizzare il rapporto tra il miglioramento della condizione di vita dei pazienti e le pratiche ausiliarli a supporto, è che un paziente che si sente curato e può fare qualcosa di attivo per migliorare il proprio stato di salute, sta generalmente peggio di chi non può farlo.