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KARAKURI, antiche bambole-robot dal Giappone

Le Karakuri Ningy, letteralmente "bambole meccaniche", in mostra a Palazzo Barolo e al MAO di Torino dal 5 novembre al 18 dicembre, sono una perfetta sintesi di ingegneria meccanica, preziosa ricerca estetica e straordinaria abilità artistica.

Karakuri - headerPer la prima volta in Italia una ventina di bambole Karakuri saranno esposte dal 5 novembre al 18 dicembre 2011 a Torino a Palazzo Barolo e al   MAO, Museo d'Arte Orientale, grazie all'Associazione Yoshin Ryu, alla collaborazione con Japan Foundation e con l’Artcraft Museum di Inuyama, nella Prefettura di Aichi-Nagoya.

La mostra che l’Associazione Yoshin Ryu propone muove un passo verso un futuro illimitato dal punto di vista artistico e tecnologico che in Giappone ha posto le sue basi più di trecento anni fa.

Fin dall’inizio del 17° secolo, gli artigiani giapponesi hanno inventato straordinarie bambole che danzavano, servivano il tè, scoccavano frecce, realizzando interi giochi in gruppo, attivati da molle, mercurio e sabbia mobile, o acqua pompata: le Karakuri Ningyō, oggetti dotati di un’estetica frutto di una straordinaria abilità artistica che, come in altri settori dell’arte giapponese, passano da padre in figlio da generazioni, costituendo così un ponte ininterrotto tra passato e presente.

Karakuri - arciereIl termine Karakuri significa "dispositivo meccanico per prendere in giro, ingannare, o sorprendere", e implica una magia nascosta, un elemento di mistero. Ningyō è traducibile con bambola. Letteralmente quindi “bambole meccaniche”, ancora poco conosciute in occidente, ma veri e propri gioielli d’ingegneria e meccanica, con gli ingranaggi rigorosamente in legno, costruiti fin dal Periodo Edo (1603-1868). 

L'unione delle due parole, Karakuri e Ningyō, per definire le marionette simboleggia il rapporto interattivo esclusivo tra i giapponesi e i loro robot, un rapporto che continua ancora oggi.

I gesti delle bambole procurano una forma d’intrattenimento, e hanno influenzato il teatro Noh, Kabuki e Bunraku.  La conferma di ciò è data dal fatto che verso la fine del 18° secolo le performance teatrali delle Karakuri rivaleggiavano con il Kabuki nell’elaborazione di scene e costumi, e le bambole erano utilizzate come intrattenimento pubblico in parchi e zone fieristiche.   I mercanti di tè per promuovere i loro prodotti usavano bambole che trasportavano le ciotole di tè attraverso il negozio per porle nelle mani dei clienti deliziati.

Un’importante manifestazione di quanto questi oggetti siano ancora radicati nella tradizione giapponese è il loro uso all’interno dei Matsuri, i festival folkloristici che scandiscono il ritmo delle stagioni e dei riti ad esse Karakuri demoneconsacrati.   Le Karakuri Ningyō in questo caso assumono dimensioni notevoli ed il loro livello di movimento è ricco di un fascino teatrale altrimenti perduto.

La conservazione della tradizione Karakuri è stata in gran parte resa possibile dall’opera di Hosokawa Hanzo Yorinao che ha scritto i tre volumi "Karakuri - un’antologia illustrata” pubblicato nel 1796. L'antologia spiega la realizzazione di quattro tipi di orologi giapponesi e nove tipi di pupazzi meccanici con schemi precisi.

Non è difficile rinvenire nelle Karakuri Ningyō dell’epoca Edo le antenate di diritto della moderna robotica, che vede negli scienziati giapponesi gli sviluppatori certamente più appassionati.  Ma è in Toyoda Sakoichi (1867-1930), fondatore della Toyota e noto in Giappone come il padre della rivoluzione industriale, che possiamo riconoscere il punto di congiunzione fra il passato e la modernità. Toyoda era un maestro nella costruzione di Karakuri Ningyō. Importò dall’Occidente e sviluppò il principio dell’automazione. Come i suoi colleghi in Europa, inventò molti strumenti automatici di tessitura, fra i quali il famoso primo sistema di sicurezza legato all’industria: grazie a questo, i suoi telai interrompevano il flusso di lavoro automaticamente in caso di problemi. Tale invenzione fu integrata nel sistema di produzione Toyota.

Negli anni a venire, e in particolare dopo la seconda guerra mondiale, l’immaginario collettivo giapponese produsse centinaia di robot sotto forma di manga (fumetti), anime (i cartoni animati), film e modellini funzionanti a carica.

Karakuri a wakaLa centralità dell’esposizione è data dalle bambole Karakuri, fortemente collegate con la tradizione ma in grado di gettare le basi per la moderna robotica. Ed è su quest’ultimo aspetto che l’esposizione estende la sua proposta con un piccolo ma concreto ed affascinante assaggio di ciò che è robotica oggi in Giappone ed in Italia.   La moderna robotica giapponese costituisce la sintesi dell’antica tradizione degli automi Karakuri e del talento degli artisti classici nel rappresentare l’opera della natura. La straordinaria verve naturalistica degli ingegneri giapponesi si esprime al meglio nel recente fiorire di ricerche su robot che imitano e riproducono le forme naturali.

Nel 2001 il Designer Kita Toshiyuki realizzò per la Mitsubishi il design della scocca di uno degli ultimi robot moderni: Wakamaru. Il piccolo robot è esposto nella mostra.  Un incredibile incontro dunque, con le bambole provenienti dall’Epoca Edo del Maestro Tamaya Shobei IX e con i robot Wakamaru della Mitsubishi e AD Robot del Politecnico di Torino.

Nella sezione espositiva presente presso il MAO, Museo d'Arte Orientale di Torino, è possibile ammirare due "modelli" dei carri allegorici, oltre ad un filmato appositamente realizzato con le stupende immagini dei Karakuri Matsuri nipponici.



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