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Il veggente e l'alieno

Prevedere il futuro è sempre inquietante: specialmente se non lo si prevede affatto......

A causa di alcune scene particolarmente raccapriccianti, la lettura di questo breve racconto non è adatta ai bambini inferiori ai sei anni, alle persone facilmente impressionabili e ai veggenti.

Sebbene fosse veggente, Nane Sbragolon, in arte Maestro Omega, non aveva previsto che quella sera stessa sarebbe stato rapito e portato in un luogo molto lontano assieme a uno dei suoi migliori clienti, il signor Felice Melabevo. E neppure aveva previsto come sarebbero proseguiti in seguito gli eventi, che serbavano per loro atroci sorprese. Una terza cosa che non aveva previsto, e a dire il vero non aveva mai considerato possibile, era che proprio lui, Nane Sbragolon detto Maestro Omega, sarebbe stato il secondo uomo sulla Terra ad avere un vero contatto con degli esseri provenienti da un altro pianeta, preceduto per un soffio soltanto dal suo devoto cliente, il signor Felice Melabevo. In effetti la faccenda del rapimento e l'incontro con gli extraterrestri avevano un collegamento. E neppure troppo arcano, visto che quella sera stessa sarebbero stati portati via da un'astronave aliena.

Figuriamoci se Nane Sbragolon aveva mai pensato che un giorno avrebbe visto dei veri extraterrestri. Non solo perché non aveva previsto di essere rapito quella sera, e quindi non s'era chiesto chi potesse rapirlo, ma soprattutto perché secondo lui gli extraterrestri non esistevano. Il Maestro Omega credeva a molte cose, ma non agli extraterrestri. Credeva per esempio di essere un veggente. E credeva al potere magico dei cristalli, alla cromoterapia, ai pendolini e all'astrologia. Ma agli alieni proprio no. Anche perché, mentre con i cristalli e le divinazioni guadagnava bene, con la credenza negli alieni o negli ufo gli sembrava fosse molto difficile ricavarci qualcosa: quindi non s'era mai sforzato di crederci. Del resto lui i suoi poteri di veggente mica li aveva ottenuti da un contatto cosmico con una civiltà aliena (come altri suoi colleghi un po’ troppo modernisti): li aveva semplicemente ereditati dalla sua cara bisnonna. La vita di Nane da bambino e da adolescente era stata molto dura. Aveva avuto sempre contro la sua stessa testa quando c’era qualcosa da capire o da ricordare e così la scuola era stata un tormento. Quando finalmente sua madre accettò l'idea che non diventasse geometra e gli permise di abbandonare gli studi, anche il mondo del lavoro gli diede grosse delusioni. Quando scoprì di essere un veggente ne fu quindi molto, molto felice e la sua vita migliorò di parecchio: quella vaghezza di pensiero e quella incapacità di concentrazione che tanto l'avevano penalizzato durante le interrogazioni di storia e di matematica, finalmente venivano messe a frutto in un campo dove erano di fondamentale importanza per raggiungere il successo. Così Nane Sbragolon, nullatenente e disoccupato, nel giro di pochi anni diventò il Maestro Omega, uno dei migliori veggenti della sua regione. Avrebbe preferito chiamarsi Maestro Alfa, ma purtroppo la concorrenza si era già da tempo accaparrata tutte le lettere dell'alfabeto greco lasciando libera soltanto l'ultima, omega appunto.

Gli eventi di quella sera, che tanta disgrazia avrebbero significato per Nane Sbragolon e per Felice Melabevo, iniziarono pressappoco alle nove di sera, quando il Maestro Omega si trovava nel suo studio, in compagnia del suo affezionato cliente, per un consulto professionale. L'arredamento della stanza era simpatico e colorato: cristalli di vario genere se ne stavano assieme a pietre più o meno preziose, a pendolini di rame, a statuine di ceramica e a riproduzioni di antiche carte celesti che rappresentavano la Terra sovrastata da segni zodiacali. C’erano anche alcuni sacchi di sale grosso, precedentemente benedetti dallo stesso veggente.

“Cosa ti affligge questa volta, caro Felice? Perché vieni a noi?”

“Ehm... Maestro, ieri ho cercato per tutto il giorno le chiavi dell’automobile nel posto dove lei, ehm, mi scusino, dove loro mi avevano detto che si sarebbero dovute trovare. Ricordano, Maestro? Avevano utilizzato il rito del pendolino con una fotografia della mia auto.”

“Ah, sì? E sei venuto a dirci che non c'erano?”

“È proprio così, lei ha indovi… loro lo sapevano già ovviamente.”

“Sì, lo sapevamo già, noi siamo un veggente.”

“Quindi sono dovuto di nuovo andare a lavorare in bicicletta e sono arrivato in ritardo. Ho pensato che forse sarebbe meglio se comprassi una nuova chiave per l'auto e cambiassi la serratura. Mi verrebbe a costare meno che ripetere di nuovo il rito del pendolino per trovare le chiavi vecchie: me l'ha assicurato mio nipote, che è bravo a scuola in aritmetica e ha fatto tutti i conti. Loro cosa ne pensano?”

Melabevo rimase sorpreso osservando uno strano fenomeno oltre le spalle di Sbragolon: “Ma cos'è quella luce alla finestra, Mestro? È accecante, ha uno strano colore... e sembra venire proprio dal loro giardino, Maestro!”

Melabevo uscì velocemente, attratto dalla curiosità, e il Maestro Omega lo seguì anch’egli curioso, pensando a cosa potesse esserci lì fuori e contemporaneamente a come fare per trovare quelle maledette chiavi che il suo distratto cliente aveva perso. Fu così che Melabevo venne investito da un raggio verdognolo che lo risucchiò dentro una botola posta proprio sotto la pancia di una vera e propria astronave di forma circolare, responsabile del bagliore che li aveva richiamati. Il Maestro Omega venne risucchiato per secondo. Quando finalmente si abituò al forte chiarore della stanza in cui erano stati portati, la scena che vide lo lasciò esterrefatto.

Si trovavano entrambi dentro un perimetro rialzato di circa trenta centimetri posto al centro di un ampia stanza rotonda, con gli arti immobilizzati da una viscida e resistente sostanza biancastra. Dietro di loro riuscivano a malapena a vedere il buio dello spazio, attraverso quella che potrebbe essere definita una grande vetrata panoramica. Alla loro sinistra, vicino a una tavola arancione, stava in piedi un lungo e ossuto alieno pieno di tentacoli dal colore molto scuro, alla loro destra si vedevano più lontani quattro alieni in quella che sembrava la postazione di guida e davanti a loro, a pochi metri di distanza, stava comodamente seduto in una specie di poltroncina girevole tutta bucherellata, infilandoci una parte dei suoi numerosi tentacoli filamentosi, quello che aveva tutta l'aria di essere il comandante della nave. Fu infatti il primo a emettere dei suoni, rivolgendosi con i suoi occhi rossi e luminosi direttamente verso Felice Melabevo, il quale sbiancò dalla paura e quasi si sentì venir meno.

Il comandante disse: “Grahhhghthrssstk!” Melabevo rivolse la testa verso Nane Sbragolon tremando visibilmente, e prese a chiedergli cosa fossero quei cosi, cosa volessero da loro, come fosse possibile che una cosa del genere accadesse veramente e cosa gli avesse appena detto o chiesto il comandante alieno. Il Maestro Omega rispose solo all'ultima domanda dicendo che non aveva capito bene. Il comandante ripeté, alzando notevolmente il volume: “Grahhhghthrssstk!” Melabevo, con la voce strozzata dalla paura, tentò di rispondere: “Noi amici, noi terrestri, noi in pace!”, ma il comandante si volse verso l'alieno lungo e ossuto, quello che si trovava vicino al tavolo arancione, e iniziò a confabulare con lui nel suo incomprensibile linguaggio. Ogni tanto allungava un tentacolo a indicare Felice o Nane. Poco dopo l'alieno ossuto scosse la testa e allargò i tentacoli, come a dire che si sarebbe adattato anche se avrebbe preferito qualcosa di meglio e perciò temeva che la cosa potesse funzionare male. Nel bel mezzo della discussione intervenne uno dei quattro alieni che si trovavano alla loro destra, abbandonando la postazione di guida e si avvicinò a loro. Aveva un colore bluastro e sembrava non fosse per niente d'accordo con le risoluzioni che stavano prendendo i suoi due compagni di viaggio. Sbraitava forte indicando di volta in volta Nane e Felice e indicando la vetrata panoramica dietro di loro. I due terrestri girarono il collo istintivamente e videro che in mezzo alla grande vetrata ora splendeva azzurro e bianco il loro pianeta, la Terra, che vista da lì appariva poco più di grande una mela e continuava a rimpicciolirsi sempre più: questo significava che l'astronave aliena si stava muovendo a un'altissima velocità, portando i terrestri sempre più lontano dalla loro casa. Ciò li riempì d'angoscia, tanto quanto l’irritante sostanza biancastra che li teneva legati. L'alieno bluastro continuava a gridare contro l'ossuto e contro il comandante e a un certo punto sembrava quasi volesse usare i suoi tentacoli per avere la meglio nella discussione, ma poi, sbuffando e portandosi ripetutamente i tentacoli verso quella che sembrava la sua testa per strappare quelli che avevano tutta l'aria di essere dei capelli, rinunciò alla polemica e tornò al suo posto, volgendo seccato le spalle a tutto. Gli altri tre alieni non parteciparono alla discussione anche se non avevano smesso un attimo di osservare interessati i due terrestri.

L'alieno scuro e ossuto allora liberò Felice dalla sostanza che lo teneva legato e lo adagiò sul tavolo arancione. Felice si mosse, cercando con gli occhi l’aiuto del suo maestro. L’alieno ossuto, tenendo Felice ben saldo con due dei suoi tentacoli più alti, utilizzò un altro tentacolo, provvisto di un lungo uncino, per lacerarne con precisione l'addome e osservarne le interiora. Il povero terrestre cacciò un urlo raccapricciante con tutto il fiato che aveva in gola, ma venne interrotto da un altro colpo di uncino che gli staccò di netto la testa. L’alieno rimase a seguirla con molta attenzione mentre rotolava sul pavimento, ornato da incomprensibili figure aliene, fino ad andarsi a fermare in una pozza di sangue. Nane era rimasto paralizzato dall'orrore e non riusciva a respirare. Guardava con occhi vitrei l'alieno che aveva massacrato il suo amico, come se la cosa non potesse succedere veramente. Dopo pochi istanti anche lui fece la stessa fine.

“Allora? Ce la faremo? Eh? Ce la faremo? Quale rotta pensano che ci conviene, Maestro?” chiese il comandante della astronave, agitando ansiosamente i suoi tentacoli, al compagno che aveva appena analizzato i due terrestri. “Come temevo non è facile capirlo con questi due strani esseri”, rispose l'ossuto veggente di bordo scrutando pensoso ciò che rimaneva di Felice e Nane, “il responso che ottengo dalla lettura delle loro interiora e dalle posizioni in cui sono rotolate le teste appare leggermente contraddittorio...”

“Ma cosa devo fare, eh? Che rotta ci conviene?” insistette il comandante visibilmente agitato. “Non c’è da preoccuparsi troppo”, lo rassicurò il veggente, “prevedo infatti che riusciremo in breve tempo a ristabilire un contatto col nostro pianeta… e proseguire per l’attuale rotta attuale non potrà che portarci fortuna.”

Selezione a cura di Stefano Sandrelli

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