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Il Popolo Noi e l'utopia possibile

Nel cuore dell'Amazzonia vive una tribù considerata dagli antropologi l'ultimo esempio di tradizione e cultura originali indios. La sua forza è la famiglia, la sua debolezza la speculazione sempre più aggressiva che sta distruggendo la foresta.

Nel cuore della foresta amazzonica, in una zona montagnosa situata nel nord est dello stato brasiliano del Parà, vive un popolo considerato dagli antropologi l’ultimo insediamento indios intatto, cioè non contaminato dal contatto con la civiltà occidentale.Zo'é Gli Zo’é, il cui nome tradotto letteralmente significa Popolo Noi, sono uno dei 38 gruppi indigeni che vivono isolati nell’Amazzonia Brasiliana conservando le proprie tradizioni culturali e sociali nonostante la forte pressione esercitata dai sojeros, i coltivatori di soja, e dai garimpeiros, cercatori d’oro e diamanti senza scrupoli, capaci di uccidere per ridurre il numero già esigue degli indios e per indurre i superstiti ad abbandonare le proprie terre.

Per preservare gli Zo’è, dal 2001 le terre in cui vivono sono state inserite in una riserva che si estende per 624 mila ettari e che è sotto la tutela del Funai, un organismo del governo brasiliano che si occupa di garantire i diritti e la protezione delle popolazioni indigene isolate. Il Funai assicura materialmente la difesa del Popolo Noi grazie al signor Johao e a sua moglie che, in costante contatto radio con la sede operativa, monitorano il territorio e controllano che non vi siano invasioni di occidentali alla ricerca di oro, diamanti o legname. Per accedere alla riserva degli Zo’é è necessario essere autorizzati dal governo brasiliano e accompagnati dal personale della ONG Saude e Alegria, un’organizzazione che con il suo operato nella regione ha contribuito a ridurre la mortalità infantile del 75% e a disincentivare l’abbandono della foresta.

Completamente nudi, ornati dello mber’ pot, un cilindro bianco inserito all’altezza del mento attraverso un taglio nella parte interna del labbro inferiore, che rappresenta la loro identità culturale, gli Zo’é accolgono i visitatori ripetendo in coro “ahunne, ahunne”, che in lingua Tupi significa “come ti chiami”. La serenità e l’allegria che manifestano stupisce il visitatore occidentale, ma è parte integrante della loro cultura e della loro organizzazione sociale perfettamente orizzontale e senza capi, espressa fin dal nome di Popolo Noi. Gli Zo’é sono dediti alla pesca e alla caccia, attività che praticano esclusivamente con arco e freccia, e hanno sviluppato un’efficace tecnica di coltivazione della manioca, un tubero del quale si servono per fare la farina. Producono anche la cosiddetta castanha do Parà, nota con il nome scientifico di Bertholletia excelsia, un frutto molto simile alla noce di cocco che rappresenta un importante apporto proteico alla loro dieta.Bertholletia excelsa Vivono in capanne di paglia dette maloche organizzati per gruppi monofamiliari o bifamiliari e dormono nelle amache. La poligamia e la poliandria sono alla base di una complessa rete di alleanze e di parentele tra i diversi nuclei del villaggio.

Verso la fine degli anni novanta gli Zo’é hanno subito una drastica riduzione della popolazione causata da gravi epidemie dovute a occasionali contatti con la civiltà occidentale: malattie innocue come l’influenza e la congiuntivite, per un popolo che non ha mai avuto necessità di sviluppare specifici anticorpi, hanno determinato l’assottigliamento della comunità a 130 unità. Oggi il Popolo noi conta 208 rappresentanti, ma il loro numero e la loro sopravvivenza sono costantemente minacciati oltre che da sojeros e garimpeiros anche da sedicenti organizzazioni scientifiche interessate a studiare il sangue degli Zo’é per la resistenza immunitaria sviluppata nei confronti del veleno di molti serpenti. Per questa ragione è forte l’interessamento da parte di diverse enti governative e privati per giungere alla firma di un trattato internazionale per la salvaguardia della foresta amazzonica e la tutela delle popolazioni indigene che la abitano.

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