Articoli

Il plancton combatte l'effetto serra

Uno studio dimostra che i microrganismi presenti nelle acque marine funzionano da "nastri trasportatori" per il trasferimento dell'anidride carbonica dalla superficie alle profondità dell'oceano, riducendo considerevolmente la concentrazione di biossido di carbonio a livello globale.

Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche acquisite, è noto che gli oceani del mondo sono i maggiori serbatoi di biossido di carbonio prodotto dall’uomo attraverso l’utilizzo massivo di combustibili fossili. Proprio per monitorare le emissioni e gli assorbimenti (source e sink) di CO2 negli ambienti marini è nato il progetto CARBOOCEAN IP, il cui obiettivo è di ridurre di un fattore 2 l’incertezza nella quantificazione dei flussi netti degli oceani a scala globale e di un fattore 4 l’incertezza relativa ai flussi nell’Oceano Atlantico. Tale studio vuole fornire un’esaustiva conoscenza e previsione di assorbimenti ed emissioni di carbonio negli oceani con particolare riferimento all’Atlantico e agli oceani meridionali, tenendo conto di un delta temporale compreso tra –200 e +200 anni rispetto a oggi. L’attività di ricerca è organizzata in base a osservazioni, analisi di meccanismi e integrazioni modellistiche che permettono di descrivere, conoscere e prevedere i fenomeni oggetto di studio.

Bipinnaria Nell’ambito del progetto CARBOOCEAN IP, inserito nei piani di finanziamento previsti dal 6° Programma Quadro dell’Unione Europea, un risultato di grande interesse giunge dall'impianto sperimentale di Raunefjord, nelle vicinanze della città norvegese di Bergen, dove sono stati studiati gli effetti di differenti concentrazioni di CO2, dagli attuali livelli a quelli previsti per il 2100 e il 2150, nei cosiddetti mesocosmi o sistemi chiusi. I risultati ottenuti evidenziano che, in presenza di una più forte concentrazione di CO2, il consumo di carbonio inorganico dissolto da parte dei microrganismi che costituiscono il plancton potrà aumentare fino a +39% rispetto ai livelli attuali. Tale dato sta a significare che se da un lato il plancton contribuirà a ridurre l’effetto serra su scala globale, dall’altro un maggiore consumo di carbonio accelererà il processo di acidificazione delle acque oceaniche profonde, riducendo le concentrazioni di ossigeno in esse contenute. Gli scienziati inoltre ritengono che, dopo un iniziale effetto positivo di “fertilizzazione”, la maggiore quantità di CO2 ridurrà la qualità nutrizionale del plancton.

Altre ricerche, condotte dalLeibniz-Institut für Meereswissenschaften (IFM-GEOMAR), l'istituto delle scienze marine di Kiel, in Germania, si sono invece concentrate sugli effetti provocati dall’acidificazione delle acque su organismi che calcificano quali coralli, molluschi e simili, ma senza acquisire conoscenze significative su quanto accade a livello di comunità o di ecosistemi. «Dobbiamo apprendere molto di più sulla biologia degli oceani, perché gli organismi svolgono un ruolo fondamentale nel ciclo del carbonio», dichiara il professor Ulf Riebesell, biologo marino presso l'IFM-GEOMAR e autore principale dello studio. «In quale modo influiscono sull'equilibrio chimico e come reagiscono agli enormi cambiamenti ambientali attuali?». Secondo il professor Riebesell, infatti, gli attuali risultati non rappresentano che la punta dell’iceberg e proseguire le ricerche in questa direzione permetterà un domani di scoprire altri meccanismi di risposta biologica. Una conoscenza assolutamente necessaria per quantificare e prevederne gli effetti sul sistema del clima globale.Fondale marino

Suggerimenti