«Il Piemonte dichiara guerra: la prima guerra di indipendenza dal petrolio». Questo il grido di battaglia lanciato dalla presidente della Regione, Mercedes Bresso, lo scorso 24 maggio in chiusura della convention«Uniamo le energie», che ha portato a Torino oltre 2.500 persone e numerosi esperti di fama internazionale a discutere sul tema del risparmio energetico e della riduzione delle emissioni inquinanti. L’obiettivo è raggiungere per primi in Italia i traguardi fissati dall’Unione europea per il 2020 (-20 per cento dei consumi di energia, -20 per cento delle emissioni di gas serra, +20 per cento di energia da fonti rinnovabili) e diventare il «motore ecologico» nazionale.
«L’impegno è ambizioso», ha ammesso Bresso. «Non esistono soluzioni semplici a una questione tanto complessa, ma molte risposte diversificate. Una delle principali è investire sui nostri cervelli, che sono tra le fonti energetiche rinnovabili più preziose: il nostro impegno è arrivare a investire in ricerca e sviluppo il 3 per cento del Pil regionale». E ha aggiunto: «Attualmente l’Italia ricava i nove decimi del proprio fabbisogno energetico dai combustibili fossili, che importa in larga misura dall’estero. Ogni miliardo che riusciremo a trasferire su fonti rinnovabili ci darà non solo energia pulita e un ambiente migliore in cui vivere, ma anche opportunità di lavoro e ricchezza per le nostre imprese».
Raggiungere l’indipendenza dal petrolio sarà possibile, ha puntualizzato la presidente, «se il progetto che sta alla base della sfida verrà condiviso da tutti: istituzioni, mondo economico, cittadini. Dobbiamo “unire le energie” perché gesti grandi (come la costruzione di nuove centrali) e piccoli (come spegnere le luci nelle stanze vuote) hanno, assieme, un grande impatto sul risparmio energetico e sulla riduzione delle emissioni inquinanti». Anche la Regione, ovviamente, farà la sua parte, aiutando le imprese che investono in fonti rinnovabili, potenziando la domanda pubblica e sostenendo quella delle famiglie che decideranno di ristrutturare o costruire le proprie case utilizzando materiali e soluzioni a basso impatto energetico. A tal fine sono stati attivati un numero verde (800.333.444) e un sito Internet (vedi link) dove è possibile trovare tutte le informazioni utili e le guide dettagliate agli interventi di efficienza energetica negli edifici. La speranza, all’approssimarsi dei 150 anni dall’Unità d’Italia, è che Torino e il Piemonte possano davvero diventare artefici del Risorgimento “energetico” nazionale.
La scarsità di energia, d’altronde, è oggi “la sfida delle sfide” a livello globale. Ma come siamo giunti a questo stato di emergenza? «Ogni secondo nel mondo nascono tre bambini», ha spiegato il premio Nobel Carlo Rubbia, guest-star della manifestazione torinese. «Significa che ogni ora ci sono 10 mila nuovi individui. Negli ultimi settant’anni la popolazione del pianeta è quadruplicata e, nello stesso tempo, la produzione energetica è aumentata di 16 volte. Mantenere questo andamento in futuro sarà impossibile, tanto più se si pensa che la stabilizzazione demografica si raggiungerà probabilmente a quota 12-15 miliardi di persone». E ha precisato: «Dall’avvento della nostra specie sul pianeta sono vissute in tutto 70 miliardi di persone: ciò vuol dire che oggi vive sulla Terra ben il 10 per cento degli individui nati nel corso dell’intera storia umana. All’origine della crisi energetica attuale, dunque, c’è la crescita demografica».
D’altronde, ha spiegato l’esperto, «c’è un fattore 100 tra spesa sostenuta per ricavare energia da fonti fossili (in primo luogo carbone, petrolio e gas naturale) e costi che il pianeta deve pagare a fronte di tale produzione: è un rapporto insostenibile». Abbiamo alternative? E quali sono davvero realistiche? Secondo il premio Nobel ce ne sono almeno due: «Anzitutto il Sole: una fonte straordinaria. Una superficie ben soleggiata di 200 km quadrati potrebbe produrre da sola l’energia solare equivalente a quella prodotta da tutte le fonti fossili presenti sul pianeta. Purtroppo, sebbene il Sole sia una risorsa semplice, largamente accessibile e gratuita, dobbiamo ancora investire in ricerca per svilupparne l’utilizzo efficiente». La seconda alternativa, ha spiegato Rubbia proprio il giorno dopo che il governo italiano dichiarava che entro questa legislatura sarà posta la prima pietra per la costruzione di nuove centrali atomiche, è il nucleare «inteso, però, con modalità innovative e diverse da quelle odierne. Le risorse di uranio, d’altronde, si esauriranno entro 50-60 anni».
I nuovi impianti, secondo l’esperto, dovranno basarsi o sulla fusione nucleare (ancora in fase di studio) oppure sulla fissione di nuovi materiali: «Un ottimo candidato è il torio, che ha numerosi vantaggi: ha costi bassi, è disponibile in abbondanza, è efficiente (da una tonnellata di torio si produce un Gigawatt di potenza elettrica, là dove sarebbero necessarie 200 tonnellate di uranio), non è utilizzabile a scopi militari e le scorie, che sono oggi un problema molto serio, sono smaltibili in 200 o 300 anni (contro le decine di migliaia di anni necessari per l’uranio)». Data la disponibilità di risorse e soluzioni possibili, ha concluso il premio Nobel, «credo che l’intelligenza dell’uomo, così come lo ha portato dalle caverne alla Luna, potrà risolvere efficacemente anche il problema energetico».
Al centro dell’intervento di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e seconda guest-star dell’happening torinese, ci sono stati invece i biocombustibili: «Sta passando la logica che i prodotti agricoli destinati all’alimentazione possano essere trasformati in carburanti. Benissimo, a patto, però, che siano sostenibili: non possiamo permetterci di trasformare un solo etto di cibo in combustibile». E ha aggiunto: «La minaccia non riguarda noi direttamente, perché la spesa per l’alimentazione assorbe in media il 14 per cento del nostro reddito, dunque c’è ancora molto margine “di manovra”; ma tocca da vicino i Paesi più poveri, cioè i due terzi dell’umanità, che al cibo destinano già oggi l’80 per cento del reddito. Negli ultimi mesi in molte zone del Terzo mondo ci sono stati centinaia di scontri e morti a causa della crescente scarsità di riso, mais e cereali. Sono le avanguardie di un esercito sterminato di affamati». La soluzione? «Lavorare su altre specie vegetali non commestibili e coltivabili su terreni marginali». In ogni caso, ha concluso, «nessuno vincerà la nuova sfida da solo: dobbiamo abbandonare la vecchia logica della competitività e passare a quella della cooperazione. Dobbiamo “unire le nostre energie”, altrimenti non ce la faremo».
Altrettanto stimolanti le riflessioni giunte dal mondo delle imprese e dell’università. Leonardo Maugeri, direttore di strategie e sviluppo dell’Eni e autore di documentati libri divulgativi, ha puntualizzato anzitutto che «le tecnologie oggi a nostra disposizione ci permettono di estrarre solo il 35 per cento di quanto si trova in un giacimento di petrolio». L’”oro nero”, dunque, non sta affatto finendo: «Ciò non significa che i combustibili fossili siano disponibili in quantità illimitate. Ma dobbiamo tener presente che se gridiamo “al lupo al lupo” e poi il lupo non arriva, la gente dimentica e rimuove il problema, perché pensa che sia privo di fondamento. Ed è il pericolo peggiore. Si pensi, ad esempio, all’allarme globale causato dallo shock petrolifero del 1986 e rientrato in tempi relativamente brevi: fece morire sul nascere la ricerca sulle fonti energetiche alternative». Altro fattore cruciale per lo sviluppo delle energie rinnovabili è il prezzo del petrolio: «Il primo killer delle fonti alternative è stato il basso costo del barile di brent durante il XX secolo».
Poiché comunque il problema non può essere eluso, l’Eni ha deciso di investire nella ricerca di nuove soluzioni, in particolare sull’energia solare. Ma per i risultati occorrerà attendere ancora parecchi anni: «Se vogliamo invertire la rotta in tempi più brevi, dobbiamo fare un discorso più realistico», ha ammonito Maugeri. «Al momento le uniche fonti energetiche efficienti e a emissioni zero di anidride carbonica sono le centrali idroelettriche e quelle nucleari. Ma sappiamo tutti che è sempre più difficile costruire sia le dighe necessarie alle prime sia gli impianti nucleari per le seconde». Come se ne esce? «Partendo dai singoli», ha dichiarato l’esperto. «A ben vedere il problema non è la scarsità di combustibili fossili (di petrolio, come ho detto prima, ne resta ancora parecchio), ma l’uomo. Per raggiungere davvero gli obiettivi fissati dall’Ue e rilanciati dal Piemonte occorre lavorare su una maggiore responsabilità individuale nei consumi e sull’efficienza energetica degli impianti». Un esempio per tutti: «Un cittadino americano consuma 26 barili di petrolio all’anno, contro i 12,5 di un europeo e l’1,8 di un cinese. Un diverso impiego delle automobili potrebbe contribuire a una riduzione drastica del dispendio energetico: se il parco auto statunitense fosse efficiente come quello europeo, si risparmierebbero ben 4,5 milioni di barili al giorno».
Dello stesso avviso il rettore dell’Università di Torino, Ezio Pellizzetti, secondo il quale «usare una fonte limitata e non rinnovabile come il petrolio in modo indiscriminato, per soddisfare qualunque esigenza energetica, è come bruciare mobili di antiquariato per alimentare la stufa a legna di casa». Purtroppo, ha ammesso, «la ricerca sulle fonti rinnovabili è stata spesso condizionata da interessi economici e politici. Tanto più importanti, perciò, diventano gli studi e le indagini condotti in ambito universitario e con finanziamenti pubblici». Il pericolo a cui andiamo incontro, ha concluso il rettore, è ben descritto in un detto saudita: «Mio padre cavalcava un cammello. Io guido un’auto. Mio figlio pilota un aereo a reazione. Suo figlio cavalcherà un cammello». E ha aggiunto: «Ammesso che ci sia ancora il cammello».