Pubblichiamo un articolo a cura di una dei giovani finalisti del Premio Giovedì Scienza edizione 2013, Marta Corno
L’argomento di ricerca di cui mi occupo da diversi anni riguarda la simulazione al computer di materiali importanti in applicazioni di tipo biomedico. Che cosa significa fare ricerca al computer in ambito chimico? Esiste una parte della chimica, detta chimica computazionale, che si occupa proprio di utilizzare programmi di calcolo, sviluppati dai chimici teorici, per fare ricerca su argomenti d’interesse più generale e con applicazioni pratiche.
La chimica computazionale è una scienza relativamente giovane, perché prima che si sviluppasse, è stato necessario disporre di risorse computazionali appropriate. Oggi il chimico computazionale ha a disposizione super computer che sono in grado di elaborare complessi algoritmi fisico matematici grazie alla capacità di svolgere milioni di miliardi di operazioni al secondo.
Nel laboratorio di chimica computazionale e grafica molecolare del professor Piero Ugliengo (gruppo di ricerca di Chimica Teorica, Dipartimento di Chimica, Università di Torino), che frequento dal 2003, utilizziamo al momento il sesto super computer più potente al mondo (il SuperMUC, al Leibniz-Rechenzentrum tedesco, che è in grado di calcolare 3 milioni di miliardi di operazioni al secondo) e il nono (FERMI, al CINECA di Bologna), secondo la classifica Top500 dei più potenti computer al mondo. L’uso di questi calcolatori permette di affrontare simulazioni molto accurate grazie al ricorso contemporaneo di migliaia di unità centrali di elaborazione.
Questo “calcolo parallelo” è essenziale quando si vogliano risolvere le equazioni quantistiche che regolano le proprietà del mondo atomico e molecolare. Il costo, in termini di ore e numero di processori di calcolo, per le simulazioni quantomeccaniche aumenta in modo esponenziale con il numero di atomi del sistema in esame. Perciò, prima di affrontare un determinato problema chimico, è necessaria una pianificazione accurata per analizzare la reale fattibilità del progetto.
Il progetto di ricerca cui ho lavorato con maggiore passione e continuità, cominciato con il lavoro della mia tesi di laurea, ha riguardato lo studio delle proprietà di un biomateriale chiamato idrossiapatite - HA o HAP, che è il costituente fondamentale della fase minerale delle nostre ossa e dello smalto dei nostri denti. Questo materiale è un fosfato di calcio e svolge un ruolo importante nei processi di integrazione tra i materiali protesici inorganici e i tessuti ossei in cui vengono impiantati.
Le proprietà dell’HA naturale e la sua reattività all’interfaccia tra protesi e osso non sono ancora comprese a un livello di dettaglio atomistico, cioè legato al comportamento dei gruppi di atomi e delle loro interazioni. Ottenere informazioni così fondamentali è importantissimo sia per migliorare i biomateriali da sintetizzare, sia per capire l’influenza di questi ultimi sulle macromolecole biologiche con cui entrano in contatto quando sono impiantati nel complesso ambiente del nostro corpo.
La simulazione quanto-meccanica al computer ha permesso di ottenere alcuni modelli delle superfici ideali di idrossiapatite e di rispondere alla specifica domanda: che cosa succede quando diverse biomolecole arrivano su queste superfici? Dai nostri calcoli, per esempio, possiamo dire che la biomolecola più semplice, l’acqua, interagisce su alcune superfici di idrossiapatite in maniera più debole (interazioni elettrostatiche), mentre su altre rompe i suoi legami covalenti per formarne di nuovi con l’HA. Aumentando la complessità delle molecole, abbiamo considerato anche acidi organici per simulare l’attacco acido che porta alla formazione della carie dentaria, e molecole impiegate come farmaci nella cura dell’osteoporosi (i bifosfonati).
Una sfida molto avvincente è stata poi simulare l’interazione tra l’HA e alcuni amminoacidi, che sono i costituenti fondamentali delle proteine. Abbiamo, infatti, scoperto che la superficie di idrossiapatite è in grado di stabilizzare la forma “zwitterionica” - quella forma in cui coesistono una carica positiva e una negativa all’interno della molecola - dell’amminoacido più semplice, la glicina, come avviene in soluzione acquosa. L’idrossiapatite, quindi, agisce da solvente solido e l’amminoacido preferisce il contatto diretto con la superficie rispetto all’interazione attraverso molecole d’acqua, sempre presenti nei fluidi biologici.
Come conclusione di questo progetto, condotto durante una decina di anni in collaborazione con ricercatori italiani e stranieri, la simulazione quantomeccanica ha mostrato che la superficie di un materiale inorganico, l’HA, gioca un ruolo cruciale nell’influenzare i cambiamenti conformazionali delle proteine con cui interagisce quando è posta in contatto con esse. Il che significa che il biomateriale è in grado di cambiare le molecole presenti nel nostro corpo, un messaggio forte, da tenere sempre in mente quando si progettano nuove protesi.