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Il morbo del calciatore

Il morbo del calciatore è una delle patologie più gravi che colpisce i motoneuroni in modo progressivo.

La sclerosi laterale amiotrofica, anche detta morbo di Lou Gehrig dal nome dell'asso del baseball che ne rimase vittima negli anni trenta o malattia di Charcot dal mone del primo neurologo che la descrisse, è la più devastante tra le patologie neurodegenerative.

Schema di un neurone Colpisce 6 persone su 100000, ma la percentuale tra coloro che giocano a pallone è molto più alta, tanto da farle guadagnare il titolo di "morbo del calciatore".

Si tratta di una grave disfunzione del sistema nervoso che porta alla paralisi progressiva dei soggetti colpiti e quindi alla loro morte nel giro di pochi anni.

Per i calciatori in attività questa costituisce una delle principali cause di morte, infatti una ricerca condotta nel periodo compreso tra il 1960 e il 1996 su 24000 ex-eroi della domenica ha accertato ben 350 morti con un’incidenza complessiva della malattia ben al di sopra di quella registrata complessivamente tra gli abitanti del nostro paese.

Inoltre è un’incidenza misteriosa dal momento che non coinvolge sportivi di altro genere come ciclisti o corridori.

La SLA è considerata la più terribile delle patologie che colpisce i motoneuroni ovvero le cellule nervose che consentono i movimenti volontari dei muscoli.

Letteralmente il suo nome significa un indurimento (sclerosi) dei fasci laterali (laterale) del midollo spinale, in cui passano le vie motorie, con riduzione degli impulsi nervosi e un conseguente calo di massa muscolare (amiotrofica).

La SLA si manifesta inizialmente con la difficoltà di abbottonarsi una camicia, con la fatica nel girare una chiave, con il continuo lasciar cadere gli oggetti per terra.

Questo è dovuto al fatto che le cellule corrispondenti perdono la capacità di contrarsi normalmente.

Con il progredire della malattia, le braccia e le gambe subiscono una crescente perdita di forza e di funzionalità fino alla paralisi totale.

La degenerazione si estende poi rapidamente a tutto l’organismo interessando anche i muscoli del collo, della faringe e della laringe con la conseguente perdita della capacità di masticare, di deglutire e di parlare.

L’ammalato, che resta comunque vigile e consapevole, necessita di un’assistenza costante e continua.

Nelle fasi terminali viene poi compromessa anche la respirazione sino al blocco respiratorio che porta quindi all’inevitabile decesso.

La SLA si manifesta soprattutto nell’adulto verso i 55 anni d'età e solo nel 5% dei casi prima dei 30 anni, inoltre tende a colpire di più gli uomini delle donne (con un rapporto 3 a 2) e quasi sempre in assenza di precedenti casi in famiglia.

In Italia attualmente ci sono più di 3000 persone colpite con circa tre nuovi casi al giorno. Questo è un dato in continuo aumento e non solo da noi, ma anche in Francia, USA, Inghilterra e Scandinavia.

A eccezione delle poche forme di origine genetica, la diagnosi viene per ora fatta per esclusione scartando tutte le cause che provocano sintomi analoghi come alcune intossicazioni, traumi midollari, malattie immunitarie o tumorali.

Tutte le ipotesi fatte sin’ora circa le sue cause come virus, alterazioni della risposta immunitaria, fattori tossico-ambientali… non hanno mai trovato conferme certe anche se la ricerca si è mobilitata un po’ ovunque.

Recentemente uno studio condotto a Milano all’Istituto Mario Negri, ha permesso di individuare una proteina, la p38 MAPK, come uno dei possibili fattori scatenanti la patologia.

Il ruolo chiave sembra dipendere dalla riduzione nella capacità di assorbire l’acido glutammico, il più importante neurotrasmettitore capace di eccitare i nostri muscoli.

Probabilmente è il conseguente aumento di questo neurotrasmettitore a determinare un’iperattività molto nociva per i neuroni che dirigono i nostri movimenti ovvero i motoneuroni.

Un’altra ipotesi sull’origine di questa malattia si basa sul fatto che qualsiasi sforzo da parte del nostro organismo aumenta la produzione di radicali liberi nel sangue.

Quando il lavoro muscolare è eccessivo, la presenza di troppi radicali liberi causerebbe l’ossidazione dei motoneuroni e la loro conseguente perdita di funzionalità.

Gli scienziati sembrano però concordare sul fatto che probabilmente questa sia una patologia multifattoriale alla quale concorrano diversi fattori esterni e interni all’organismo stesso.

Perché però colpisca di più i calciatori sembra un mistero.

In realtà più che il calcio in sé ad aumentare il rischio della malattia sembra essere l’attività fisica intensa, infatti negli USA la SLA è più frequente nel football americano.

L’esercizio fisico duro e protratto nel tempo sembra favorire una maggior vulnerabilità dei motoneuroni continuamente sollecitati.

C’è chi però imputa il fenomeno ai pesticidi irrorati nei campi da gioco, all’assunzione cronica di sostanze dopanti o farmacologiche e ai traumi e microtraumi che accelerano un processo di morte neuronale già in atto.

Per ora l’unico farmaco in uso contro questa patologia è il Riluzolo che riduce la tossicità provocata dall’eccesso di acido glutammico e che può prolungare la sopravvivenza del malato solo di alcuni mesi.

Per quanto riguarda invece le prospettive, per ora la ricerca è orientata su due filoni principali, uno per capire i meccanismi che portano alla degenerazione e alla morte nei motoneuroni ed il secondo per cercare il modo di proteggere i motoneuroni ed eventualmente sollecitarne la rigenerazione.

L’ultima frontiera in questo campo sembrano essere le cellule staminali ovvero quelle cellule immature che potenzialmente sono in grado di dare origine a qualsiasi tipo di tessuto.

Grande interesse, infine, ruota attorno alla possibilità di una cura genica.

L’ipotesi, ancora in studio, è quella di inoculare fattori di ricrescita cellulare direttamente all’interno de motoneuroni malati.

Ulteriori informazioni si possono ritrovare nei seguenti siti:

www.aisla.it

Notizie, iniziative e consigli sulla malattia.

www.asla.org

Organizzazione statunitense contro la SLA.

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