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Helicobacter protagonista anche nelle malattie del fegato

E' attualmente al centro di un vivace interesse scientifico l’ipotesi che tali microorganismi possano esistere non solo a livello dello stomaco, ma anche a livello epatico e biliare.

Negli ultimi 15 anni il numero di batteri compreso nel genere Helicobacter è aumentato considerevolmente e il concetto che lo stomaco ne sia la nicchia ecologica esclusiva è stato ampiamente rivisto a seguito della loro identificazione in sedi in precedenza sconosciute.

Helicobacter Attualmente, è al centro di un vivace interesse scientifico l’ipotesi che tali microorganismi possano esistere anche a livello epatico e biliare. E’ meno chiaro se in tali sedi possano essere fattore principale causale dell'insorgere di patologie o se agiscano come cofattori in presenza di altri agenti eziologici. Tale argomento è stato affrontato con studi sia sul modello animale che sull’uomo.

Già nel 1992, al US National Cancer Institute, alcuni ricercatori identificarono una nuova forma di epatite cronica attiva nei topi. Fino ad allora quel quadro anatomo-patologico non era mai stato indotto con nessun agente infettivo noto. In questi animali, successivamente si manifestò un’elevata incidenza di tumore epatico. Inizialmente i ricercatori pensarono che tali eventi fossero da attribuire ad un contaminante chimico, ma ben presto riuscirono ad isolare sia dal fegato che dall’intestino degli animali malati un batterio spiraliforme che nel 1994 fu chiamato Helicobacter hepaticus.

Dopo la curiosità e l’entusiasmo degli anni ’90, che focalizzarono la ricerca sul modello animale, alla fine del decennio furono pubblicati i risultati dei primi studi sugli umani. Nel 2000 uscirono contemporaneamente un lavoro prodotto dalla scuola di gastroenterologia di Torino e uno della scuola di microbiologia di Bordeaux. In entrambi veniva dimostrata una consistente presenza di genoma di Helicobacter nel fegato di pazienti con tumore del fegato associato a cirrosi (92%) e tumore del fegato primitivo, cioè in assenza di una sottostante cirrosi (100%).

Negli ultimi anni numerose indagini hanno approfondito l’argomento e, nel 2008, la collaborazione della scuola di Bordeaux con quella di Torino ha portato alla pubblicazione di una revisione della letteratura sulla più prestigiosa rivista al mondo di malattie infettive, Lancet. Lo studio ha consentito di evidenziare una serie di articoli originali che documentavano la presenza di sequenze genomiche di microrganismi del genere Helicobacter nel fegato di pazienti con tumore.

Helicobacter - schema Riguardo al percorso che il microrganismo effettuerebbe per giungere in sede epatica due sono le possibili vie, quella ematica e quella gastro-duodeno-biliare. La prima è poco plausibile poiché raramente è stata documentata la presenza di Helicobacter nel sangue e perché se tale via fosse semplice da percorrere si troverebbe a livello epatico anche genoma di altri batteri. La seconda via invece, vista la possibilità documentata che Helicobacter possa attraversare e sopravvivere nelle vie biliari, è quella maggiormente accreditata.

Riguardo al modo in cui tali microrganismi potrebbero agire nell’espletare un eventuale ruolo patogenetico a livello epatico, alcuni autori hanno ipotizzato un meccanismo svolto tramite la produzione di una tossina letale per le cellule mentre altri propendono per una via “infiammatoria”. Altri ancora hanno dimostrato sul modello animale la possibilità che gli Helicobacter attivino un marcatore tumorale in grado di controllare la cancerogenesi.

Perché queste ricerche suscitano nel mondo scientifico tanto interesse? La cirrosi del fegato è una conseguenza della necrosi cellulare e rappresenta un’importante tappa nel processo evolutivo verso il cancro. Benché molti agenti causali (virali, tossici, metabolici, autoimmuni) siano stati individuati, essi non sono in grado di spiegare tutte le variazioni epidemiologiche e di prognosi della malattia.

Con tali premesse, l’affascinante ipotesi che viene proposta dai cultori dell’Helicobacter si basa sulla possibilità che l’infezione batterica, acquisita generalmente nell’infanzia, possa influenzare la prognosi in soggetti che presentano una causa “tradizionale” di malattie del fegato, ovvero che il batterio possa agire come cofattore in presenza di agenti causali ben noti.

In conclusione, il capitolo dell’associazione tra batteri del genere Helicobacter ed epatopatie è solo all’esordio e la sua esplorazione porterà indubbiamente a nuove conoscenze.

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