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Frodi scientifiche: nuovi casi di dati "fabbricati"

Un ricercatore di alto livello del glorioso Massachusetts Institute of Technology (MIT) è stato licenziato per aver "fabbricato" i dati di alcune delle sue ricerche. La notizia viene a pochi mesi di distanza da un altro "caso" investigativo scientifico.

Un ricercatore di alto livello del glorioso Massachusetts Institute of Technology (MIT) è stato licenziato per aver "fabbricato" i dati di alcune delle sue ricerche.

La notizia è stata riportata dal New Scientist, forse il miglior giornale di informazione scientifica del mondo. Addirittura parte dei sospetti sul ricercatore appena licenziato nacquero proprio grazie ad un'inchiesta condotta dalla stessa rivista.

riviste scientifiche Lo scienziato, secondo il New Scientist, era considerato una stella nascente nel campo dell'immunologia e dell'interferenza RNA (un settore promettente per la cura di alcune malattie genetiche). Sono ben quaranta i lavori in cui il suo nome figura come autore o co-autore.

Ma tre di essi finirono sotto la lente del New Scientist perchè c'erano un po' troppe somiglianze tra i dati. Uno in particolare, pubblicato sulla rivista Immunity, venne trovato dagli investigatori "particolarmente preoccupante". In esso si studiava il processo di apoptosi (suicidio cellulare) e soprattutto il ruolo di alcune proteine. I grafici usati per evidenziare i risultati venivano, secondo l'autore, da tre diversi topi da esperimento: uno normale, e due mancanti, rispettivamente, di due proteine diverse.

Ma i tre grafici avevano un guaio: troppo simili tra loro. A molti ricercatori sembravano provenire da un unico animale, con solo le modifiche necessarie per far risaltare il risultato. E, considerando il tasso di errore normale, erano addirittura più precisi di quanto non si sarebbe ottenuto compiendo lo stesso esperimento per tre volte su un unico topo.

E' un problema poi scoperto anche in altri lavori: dati troppo precisi, troppo simili, capaci di sfidare persino la normale presenza di errori e di variabilità statistica.

Dopo gli articoli del New Scientist, e dopo il provvedimento del MIT, anche il California Institute of Technology (Caltech) ha infine lanciato un'inchiesta relativa a lavori pubblicati dallo stesso ricercatore nel periodo in cui si trovava nei laboratori californiani.

La notizia viene a pochi mesi di distanza da un altro "caso" investigativo scientifico, riguardante un diverso ricercatore ed un diverso campo di interesse, ma sempre caratterizzato da dati per così dire irreali.

Alla fine del luglio scorso, infatti, il British Medical Journal espresse "preoccupazione" sulla validità di un lavoro scientifico ("paper") del ricercatore indiano Ram Singh, pubblicato addirittura nel 1992. Ancora prima, all'inizio del 2005, era stato il turno di un altro scienziato, R. K. Chandra. La rivista Nutrition ritrattò un suo lavoro pubblicato nel 2001. Entrambi i ricercatori erano impegnati sul fronte della prevenzione di malattie attraverso l'alimentazione oppure l'uso di supplementi (pillole di vitamine, antiossidanti e così via).

Cè un'epidemia di frodi e manipolazioni scientifiche? In almeno un caso sono vecchi nodi che stanno arrivando al pettine. Il lavoro di Singh, infatti, sollevò dubbi poco dopo la pubblicazione. Ma a quanto pare ci sono voluti tredici anni per arrivare ad una qualche conclusione. Per Chandra c'è voluto meno, ma per la comunità scientifica internazionale i due casi (ai quali si aggiunge ora anche quello del MIT) sono un campanello d'allarme.

Come si fa a difendersi da ricerche fatte con dati fabbricati, aggiustati, addirittura inventati? Il Bmj ha pubblicato un interessante articolo sui metodi statistici per rilevare frodi scientifici. Ad esempio, una ricerca può sicuramente contenere errori, imprecisioni. E deve contenere anche variazioni statistiche, inevitabili in qualsiasi studio. Ma ricerche troppo "precise", dove la variabilità statistica è troppo bassa, devono far sospettare. E' solo un primo esempio. I sistemi statistici per evidenziare problemi esistono e sono molto sofisticati.

Però resta il dubbio: chi deve investigare? Nel caso di Singh il Bmj si mise in cerca di un'autorità scientifica indiana che potesse chiarire i dubbi. Ma il tempo passava e non si tirava fuori nulla. Nel frattempo Singh diventava sempre più difficile da interpellare.

Per Chandra, invece, il Bmj rifiutò di pubblicare un suo lavoro, che però fu poi accettato da Nutrition. Una mancanza di comunicazione tra i vari giornali scientifici può portare ad un rifiuto da parte di una rivista ed un'accettazione da parte di un'altra, che magari non si è accorta dei problemi, e non ha ricevuto allarmi.

Il dibattito è aperto da tempo: maggiore scambio di informazioni tra riviste scientifiche e creazione di una "lista nera" dei ricercatori e dei lavori sospetti sono alcune delle ipotesi. E c'è anche quella più impegnativa: ogni scienziato che vuole pubblicare i suoi risultati dovrebbe anche dare alla rivista tutti i dati "grezzi" dei suoi esperimenti. In questo modo si potrebbe, in caso di inchiesta, rifare praticamente la ricerca da zero.

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