Il problema dell'esposizione ambientale a sostanze tossiche è di grande attualità a livello epidemiologico nel nostro Paese. Basta leggere un qualsiasi quotidiano o ascoltare un notiziario per sentire dati allarmanti sul tasso di mortalità delle popolazioni residenti in prossimità di grandi centri industriali attivi o dismessi, o di aree oggetto di smaltimento di rifiuti industriali, per non parlare dell’aumento delle malattie che derivano dall’inquinamento atmosferico. Buona parte dell'aumento del rischio di cancro e di malattie degenerative è prevalentemente legata a fattori ambientali piuttosto che genetici.
Per stabilire la relazione tra esposizione e malattia, fino ad ora, l’epidemiologia ambientale si è basata principalmente su misurazioni indirette, studiando la distanza dei soggetti dalle fonti inquinanti. Tra gli anni ‘50 e ’70 si cominciò ad investigare sulla concentrazione esterna ambientale di sostanze chimiche che possono entrare nell'organismo per inalazione, ingestione o contatto cutaneo, fino ad arrivare agli anni ’90 in cui si iniziò a misurare alcuni biomarkers interni di esposizione a tossici, ovvero quelle sostanze o caratteristiche molecolari che possono essere utilizzate come "indicatore" in un organismo vivente.
Ora con Exposomics, un progetto strategico composto da 12 partners (fra gli altri lo IARC di Lione e il CREAL di Barcellona), guidato dall'Imperial College di Londra e finanziato per quattro anni dalla Commissione Europea, si vuole intraprendere una nuova strada, che si basa principalmente sul concetto di esposoma: lo studio dell'insieme delle esposizioni di un soggetto per una vita intera.
In esso quindi è compresa tutta la storia delle interazioni personali con l'ambiente: non solo quindi gli agenti chimici e fisici presenti nell'aria e nell'acqua, ma anche tutto quanto nello stile di vita (alimentazione, alcol, esercizio fisico, fumo, stress ecc...) lasci la propria firma molecolare nell'organismo.
In uno studio guidato dalla Environmental Working Group (EWG) in collaborazione con Commonweal, i ricercatori hanno per esempio trovato una media di 200 sostanze chimiche industriali e inquinanti nel sangue del cordone ombelicale di 10 bambini nati nel 2004 negli ospedali degli Stati Uniti.
Inoltre non è sbagliato considerare un nesso tra stress e malattie associate all'invecchiamento. Infatti il telomero, la regione terminale del cromosoma, può essere pensato come un macro integratore di fattori di stress, ed è risaputo che la sua lunghezza può essere implicata nel sorgere dei malanni citati.
Il nuovo approccio si prefigge di passare al setaccio tutto quanto si può trovare nei liquidi corporei con avanzate tecniche di spettrometria, alla caccia di biomarcatori, i quali a loro volta vengono messi in relazione con mutazioni genetiche (del DNA e del RNA), epigenetiche, metoboliche e proteomiche.
Gli scopi principali del progetto sono tre: generare nuove ipotesi di eziologia ambientale delle malattie; identificare con più precisione i contaminanti più rilevanti per la salute pubblica, in modo da poter elaborare nuove leggi e regolamenti per ridurne le emissioni; forgiare una nuova medicina personalizzata in grado di intervenire sugli individui in base al loro profilo di suscettibilità ambientale e genetica. Per fare questo 13 diverse coorti di individui caratterizzate da fasce di età diverse verranno monitorate per 4 anni e i dati che si otterranno serviranno per arrivare a una visione ampia e dinamica dell'esposizione ambientale, sia per quanto riguarda l'inquinamento ambientale, i pesticidi, ma anche tutto quello a cui normalmente non si pensa ma che può avere un peso importante nel sorgere delle malattie, come l'uso di cosmetici e altri prodotti chimici, gli stili alimentari degli individui, quelli abitativi ecc.
I ricercatori avranno a disposizione inoltre nuovi strumenti high-tech con cui misurare l'esposoma, come smartphone equipaggiati di GPS e sensori ambientali, in grado di monitorare le sostanze potenzialmente pericolose per la salute.