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Donne e scienza: binomio difficile?

Una mostra sulle scienziate a cui è stato negato il Nobel pur avendolo meritato e una tavola rotonda con ricercatrici italiane di fama internazionale. Il punto a Torino sulle difficoltà di ieri e oggi.

Fino all’inizio del Novecento la storia delle donne nella cultura e nella vita civile è stata contrassegnata dall’emarginazione, anche nell’avanzato Occidente. Per secoli l’accesso all’istruzione era sostanzialmente limitato alle monache rinchiuse nei conventi. Solo poche fortunate, che avevano in famiglia una figura maschile disposta a condividere con loro le proprie nozioni, potevano farsi una cultura scientifica. Forse anche per questo le donne che si sono distinte in passato sono state soprattutto poetesse, pittrici, scrittrici e, molto più raramente, scienziate. Chi ha attitudini artistiche e letterarie, infatti, può emergere anche senza una preparazione specifica, mentre le scienze “dure” come fisica e matematica richiedono una rigorosa preparazione di base, senza la quale è molto difficile progredire. Solamente nel 1867, d’altronde, l’École Polytecnique di Zurigo aprì le sue porte alle studentesse, dopo secoli di ostracismo.

studentessa in matematica A distanza di centoquarant’anni la situazione è migliorata, ma continua a presentare forti chiaroscuri: a tutt’oggi le scienziate insignite del Nobel sono appena 11 su oltre 500 premi assegnati nel corso del XX secolo, e il numero delle donne che rivestono ruoli di rilievo nella ricerca resta esiguo. Eppure le ragazze rappresentano la maggior parte degli iscritti e degli immatricolati all’università; in ogni campo del sapere le ricercatrici universitarie superano il 50% del totale, con punte dell’80% nelle facoltà umanistiche, del 60% in quelle di scienze biologiche e oltre il 50% nelle matematiche. Uno studio svedese di alcuni anni fa pubblicato sulla rivista «Nature» ha dimostrato, tuttavia, che per ottenere promozioni pari a quelle di un uomo, una ricercatrice deve dimostrarsi due volte e mezzo più brava.

Le settimane della scienza in corso a Torino hanno dedicato al controverso rapporto tra donne e scienza due appuntamenti: una tavola rotonda il 17 aprile, a cui hanno partecipato cinque scienziate italiane di fama internazionale, e una mostra, inaugurata lo stesso giorno al Circolo dei Lettori (in programma fino al 26 aprile), dedicata ad altrettante ricercatrici che non hanno ottenuto il premio Nobel pur avendo contribuito in modo determinante al progetto di ricerca premiato. Cinque opere realizzate da studentesse dell’Accademia delle Belle arti ripercorrono le vicende della chimica Rosalind Franklin (1920-1958)Rosalind Franklin che fornì le prove sperimentali della struttura del dna scattando la famosa «foto 51» sottrattale in modo fraudolento da tre colleghi maschi; descrivono la storia dell’astrofisica irlandese Jocelyn Bell Burnell (1943-vivente)Foto di Jocelyn Bell Burnell che scoprì le stelle pulsar quando ancora era studentessa ma il Nobel fu assegnato al relatore della sua tesi di laurea; raccontano della fisica Lise Meitner (1878-1968)Lise Meitner che fornì la prima interpretazione esatta della fissione nucleare ma il merito andò a Otto Hahn con cui aveva lavorato per trent’anni; ricordano la biologa Nettie Maria Stevens (1861-1912)Nettie Maria Stevens - artistica che riuscì a provare che i geni sono contenuti nei cromosomi, una scoperta che avrebbe rivoluzionato le conoscenze sulla determinazione ereditaria del sesso e che sarebbe però valsa il Nobel al collega Calvin Bridges; e, ancora, parlano della fisica Chien-Shiung Wu (1912-1997)Chien-Shiung Wu - artistica grazie ai cui studi nell’ambito del «Progetto Manhattan» fu possibile sviluppare procedure di spegnimento e accensione controllata dei reattori nucleari.

Cinque figure a cui hanno fatto “da contraltare” le cinque scienziate presenti alla tavola rotonda, raccontando le loro storie di successi e difficoltà quotidiane. Bice Fubini Secondo Bice Fubini, ordinario di Chimica generale a Torino e direttore del Centro «G. Scansetti» per lo studio degli amianti e dei particolati nocivi, molti ostacoli con cui si scontrano le ricercatrici «sono legati anche all’educazione ricevuta che, almeno fino a qualche decennio fa, tendeva a fare delle bambine persone arrendevoli e servizievoli, poco combattive». Sostanzialmente concorde Elisa Molinari, responsabile dell’Istituto nazionale per la fisica della materia, per la quale «le donne hanno più il gusto per lavoro fatto bene che per la propria personalità», risultando in definitiva meno aggressive dei colleghi maschi, «convinte che prima o poi il giusto riconoscimento arriverà».

Maria Luisa Lavitrano In realtà, ha aggiunto Maria Luisa Lavitrano, direttore del laboratorio di Medicina molecolare all’Università di Milano Bicocca, «il rischio che il riconoscimento non arrivi mai è molto concreto. La vicenda della Franklin dimostra che spesso la vittoria viene concessa agli arroganti, un problema che accomuna tutti i settori della società». Al di là degli eccessi, «determinazione, tenacia e obiettivi sono comunque requisiti indispensabili». Secondo la professoressa milanese, infine, è chiaro che i problemi delle ricercatrici non hanno origine né biologica né genetica, ma esclusivamente sociale: «Dove sono i servizi, come gli asili nido per i figli o le badanti per i vecchi genitori, che ci consentirebbero di confrontarci ad armi pari?», ha chiesto provocatoriamente.

Altro punto dolente, in Italia, è la propensione a premiare la mediocrità, anziché l’eccellenza. «Nei colloqui per la selezione del personale», ha spiegato ancora la Lavitrano, «vengono di fatto esclusi i più bravi e i più scarsi, e scelti i mediocri perché più gestibili». Ilaria Capua E la conferma è giunta da Ilaria Capua, coordinatrice dell’Offlu, il Centro di ricerca contro l’influenza aviaria creato dalla Fao di Roma e dall’Oie di Parigi: «Quando mi mostravo un po’ troppo intraprendente», ha rivelato, «il direttore mi apostrofava dicendo che avevo un “ego dilatato”». In altre parole, se all’estero i talenti vengono cosparsi di fertilizzante, da noi passano sotto le cesoie per bonsai.

Un atteggiamento miope, a cui se ne aggiunge un secondo altrettanto devastante: il potere delle lobby. «Da giovane», ha raccontato la Lavitrano, «mi imbattei in un fenomeno che smentiva le teorie evoluzionistiche. In sostanza scoprii che gli spermatozoi, contrariamente a quanto si pensava, sono permeabili a frammenti di dna esterno e potrebbero pertanto candidarsi a diventare veicoli biotecnologici per creare individui geneticamente modificati». La ricerca fu pubblicata su una prestigiosa rivista scientifica e scatenò il finimondo: «I lobbysti della comunità scientifica internazionale spararono a zero; dissero che la ricerca di una giovane donna italiana non forniva alcuna certezza». In quel caso, ha spiegato la professoressa, «il fatto di essere una giovane donna era particolarmente aggravato dalla nazionalità italiana».

Paola Carrea Paola Carrea, che si è distinta in Fiat nel settore delle tecnologie elettroniche applicate a mobilità e sicurezza, è convinta che la condizione femminile nel settore privato sia meno penalizzante: «Quando riesci a conquistare credibilità, la strada si fa quasi in discesa». Ma, ha ammesso, «per riuscire a occupare i posti che contano occorre sacrificare molto, soprattutto in famiglia». Non a caso al Centro ricerche Fiat le donne sono appena il 5% del totale, mentre in Magneti Marelli, dove lavora attualmente la Carrea, non c’è nessuna figura femminile negli organigrammi di alto livello.

Elisa Molinari A sbloccare la situazione saranno probabilmente le stesse donne purché, ha spiegato la Molinari, «abbandonino l’eccessiva pazienza che le contraddistingue, creino ambienti di lavoro più confortevoli e sereni, ma soprattutto imparino a selezionare i curriculum in un’ottica meno maschilista». Fermo restando, ha concluso la Fubini, «che la promozione delle donne nella scienza deve partire dal merito e non dall’appartenenza, come accaduto finora nella cultura dominata dagli uomini».

A chi è interessato a queste tematiche segnaliamo lo spettacolo teatrale «Photograph 51», proposto in prima assoluta il 15 e 16 giugno 2007 per la regia di Davide Livermore al Palazzo degli Istituti anatomici di Torino, nell’ambito della XII edizione del Festival delle colline torinesi. È la storia della «fotografia 51», Immagine ai raggi X del DNA la foto del dna scattata con i raggi X da Rosalind Franklin che, come accennato sopra, si vide scippare il merito da tre colleghi uomini: Maurice Wilkins, James Watson e Francis Crick. Una scorrettezza che valse loro il premio Nobel. Attraverso il dialogo tra Rosalind e il guardiano del Kings College di Londra, lo spettatore compie un percorso biografico che lo trascina nel mondo della ricerca, diventando testimone e complice dello stupore, della sperimentazione, dei dubbi e della scoperta finale. Un dialogo che mette a confronto la scienza con la non scienza, e le certezze di chi non si mette mai in discussione con i rischi di chi vive nella continua sete di conoscenza. Per informazioni: Teatro Baretti

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