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Dagli abissi alle cime montuose, andata e ritorno

Gli studi di un giovane ricercatore torinese dimostrano la presenza nella nostra catena alpina di vaste aree contenenti le rocce dei fondali della Tetide, l'antico oceano terrestre.

Pubblichiamo un articolo a cura di uno dei giovani finalisti del Premio Giovedì Scienza edizione 2013, Marco Beltrando. www.marcobeltrando.com

Gli oceani sono tuttora tra i domini geologici meno conosciuti del pianeta, a causa delle difficoltà di accesso agli abissi. Tuttavia, i movimenti convergenti tra le diverse placche tettoniche forniscono un’opportunità di campionamento naturale della crosta oceanica grazie ai fenomeni di scorrimento di una placca sotto l'altra - subduzione - e ad una successiva riemersione - esumazione - della roccia sepolta in profondità verso la superficie del suolo.

Esumazione fondali oceaniciDurante questo processo, infatti, le placche oceaniche vengono in gran parte fagocitate nel mantello terrestre, ma una piccolissima frazione può ritornare in superficie, dopo essere stata a profondità anche di 100 km, andando a costituire le catene montuose. La mia ricerca si concentra proprio sullo studio delle rocce che hanno compiuto il viaggio di andata e ritorno, fenomeno che ci permette sia di comprendere le modalità di deformazione lungo le zone di subduzione, responsabili dei terremoti più disastrosi del nostro pianeta, sia di guardare più indietro, verso la fase di frammentazione delle placche continentali, per dare origine agli oceani, precedente alla formazione della catena montuosa.

Il collegamento tra questi due contesti, apparentemente così diversi (gli oceani si formano per il moto divergente delle placche continentali, mentre le zone di subduzione sono il prodotto dei moti convergenti) è legato alla mia recente scoperta di zone estese di fondali oceanici di età Giurassica nelle Alpi occidentali, formatesi appunto per la subduzione di questo oceano, la Tetide, a causa della convergenza tra le placche africana ed europea.

La preservazione di questi fondali su aree molto ampie, nonostante la forte deformazione dovuta alla loro subduzione, suggerisce che, nel corso dello sprofondamento, dalle placche  vengano ‘strappate’ via grandi scaglie, che poi, mantenendo la loro coerenza interna, possono ritornare in superficie.

Questi ritrovamenti contraddicono la nozione diffusa secondo la quale lungo le zone di subduzione le unità rocciose vengano deformate e mescolate caoticamente, impedendo il riconoscimento dei loro rapporti reciproci originari.

Ricostruzione aspetto Tetide e PangeaSi tratta, quindi, di una nuova visione che consente di giustificare l'osservazione di alcuni terremoti a profondità relativamente elevate lungo le zone di subduzione e permette, almeno in parte, di retro-deformare queste aree, cioè di estenderle come una fisarmonica, ricostruendo l’aspetto della Tetide, prima della subduzione. 

Tutto questo, oltre a confermare studi precendenti che già suggerivano un’analogia tra la Tetide e l’Oceano Atlantico, permette di ricostruire i vari stadi che hanno portato alla frammentazione della Pangea, l’ultimo mega continente esistito sulla Terra, ed alla formazione della Tetide. Quest’ultima diventa quindi un analogo degli attuali fondali Atlantici, che sono raggiungibili solo con costosissime perforazioni.

Camminando sul fondo della Tetide e studiando le sue rocce, stiamo iniziando a ricostruire le sue modalità di formazione a partire dalla Pangea e le variazioni di temperatura all’interno della placca continentale durante il suo assottigliamento progressivo.

Sono aspetti che esercitano un importante controllo sulla potenzialità di deposizione di sedimenti ricchi in sostanza organica e sulla loro successiva ‘maturazione’, dalla quale vengono generati idrocarburi. Estendendo i nostri risultati all’Oceano Atlantico attuale, quindi, miriamo a fornire alcune indicazioni di massima sulla potenziale localizzazione di giacimenti profondi di idrocarburi, che stanno già facendo la fortuna di alcune nazioni emergenti, come il Brasile. 

 

 

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