Primo monologo
«È un fotone che vi parla. Ma che avete capito? Con una "t", una "t" sola. Fo-to-ne. Per chi non lo sapesse, il mio nome deriva dal greco "photos", che significa luce. La luce che vedono i vostri occhi, per esempio, non è nient'altro che un torrente di fotoni. Potete guardare intorno a voi il verde dei prati, l'azzurro del cielo, il blu del mare, e magari ragazze abbronzate in costume da bagno, soltanto perché riflettono fotoni della luce solare. Ma sono flussi di fotoni anche le varietà di luce che i vostri occhi non vedono: i segnali radio che vi portano in casa la pubblicità della Nutella, le radiazioni infrarosse che escono dai vostri termosifoni e quelle ultraviolette che vi scottano la pelle in montagna, i raggi X che usate per fotografare le vostre ossa (che idea!) e i raggi gamma prodotti dalle esplosioni atomiche (un'idea ancora peggiore). Noi fotoni ottici siamo ovviamente i più popolari, i soli che fossero noti fino all'Ottocento. Ma che si tratti di fotoni radio, infrarossi, ottici, ultravioletti, X o gamma, siamo tutti parenti stretti. Ci differenziamo soltanto per la nostra quantità di energia. Detto questo, non chiedetemi, per favore, di descrivermi meglio. Non so dirvi esattamente chi (o che cosa) sono. Come tutti i miei cugini fotoni, vivo una drammatica crisi di identità. Mi limiterò ad accennarvi il perché.
Dovete sapere che per secoli si è discusso se fossi un corpuscolo o un'onda. Il grande Isaac Newton, per esempio, era convinto che fossi un corpuscolo. Il suo contemporaneo Christiaan Huygens, invece, pensava che fossi un'onda. Come potete capire, c'è una bella differenza: è uno di quei dannati dualismi in cui sono specializzati i filosofi, tipo bene/male, essere/divenire, materia/spirito, bello/brutto, vero/falso e così via. Per un po' di tempo la grande autorità di Newton ebbe la meglio sulle critiche dello scienziato olandese.
Ma poi un certo Thomas Young, un ragazzo prodigio che - beato lui - pare abbia imparato a leggere all'età di due anni, fece notare che un fenomeno come l'interferenza si spiega soltanto ammettendo che la luce sia un'onda. E Augustin Fresnel rincarò la dose spiegando anche la diffrazione come una conseguenza del carattere ondulatorio della luce. Sembrava tutto chiaro. Onde, nient'altro che onde, simili a quelle che solleva la caduta di un sasso in uno stagno. Onde che possono rinforzarsi a vicenda se le loro creste coincidono, o annullarsi se le creste non sono in fase. Ecco perché da due raggi di luce che interferiscono può uscir fuori una luce più abbagliante, oppure il buio. Ma non era finita.
Un bel giorno si scoprì che un raggio di luce che colpisca gli atomi di certi materiali può staccarne degli elettroni e produrre una corrente elettrica. Come se la luce fosse fatta di tanti microscopici proiettili. E quindi di particelle, non di onde. Fu così che nel 1905, grazie a un celebre saggio di Albert Einstein (pensate: sedici anni dopo ci guadagnò il premio Nobel per la fisica!), tornai a essere considerato un corpuscolo, un granulo di energia, sia pure - come si diceva di Achille Occhetto - privo di massa e con una personalità ondivaga. Con tutto il rispetto che devo a Einstein, per me fu l'inizio di una nuova serie di sgradevolissimi equivoci. I materialisti incalliti, infatti, mi immaginavano come una minuscola pallina che si muove costantemente alla velocità della luce, la massima possibile in natura (almeno in "questa" natura). Gli spiritualisti, invece, continuavano a considerarmi un'onda, quasi un'essenza angelica. Ed entrambi si sentivano autorizzati da Einstein a pensarla a modo loro.
A intorbidare definitivamente le acque, arrivò Louis-Victor de Broglie. Non saprei se considerarlo un genio o un tipo troppo incline al compromesso, uno che a tutti i costi vuole salvare, come si usa dire, capra e cavoli. Fatto sta che nel 1923 Louis de Broglie scrisse una formula stramba in base alla quale le particelle possono essere interpretate come onde, e le onde come particelle. La faccenda valeva per gli elettroni, i protoni e noi fotoni, ma poteva essere estesa anche a tutte le altre particelle subatomiche che di lì a poco sarebbero state scoperte. Sulle prime la formula di Louis de Broglie (tra parentesi, sette anni dopo Einstein pure lui si beccò il premio Nobel) non venne presa troppo sul serio. Certi scienziati addirittura la derisero, definendo una "comédie française" quella che per me invece si profilava come un'autentica tragedia esistenziale.
Tuttavia poco per volta, di esperimento in esperimento, divenne sempre più chiaro che il nobiluomo francese aveva ragione. Così ho incominciato a soffrire di una forma di schizofrenia, uno sdoppiamento della personalità. Non so mai bene se sono un corpuscolo o se sono un'onda. È una malattia incurabile che appartiene alla grande categoria delle patologie note come "paradossi della meccanica dei quanti". Non ci si rassegnò mai neppure Einstein, che pure aveva contribuito mica poco alla diffusione del malanno.
A peggiorare le cose venne poi un altro fisico, Werner Heisenberg, che nel 1927 enunciò il suo famoso "principio di indeterminazione". In pratica, questo principio comporta che quanto più precisa diventa la misura dell'energia di una particella, tanto più incerta sarà la misura della sua posizione. E viceversa. In pratica, o sai bene una cosa, o sai bene l'altra, o sai entrambe così-così. Un'incertezza seccante, non vi pare? È quasi inutile aggiungere che anche Heisenberg nel 1932 andò a Stoccolma a ritirare il premio Nobel.
Insomma, sulla mia pelle i fisici guadagnavano gloria e quattrini, e che io ci stessi male da cani non gliene importava un fico secco. Si noti che non ne faccio una pura questione di benessere psicologico. Il problema è anche pratico. Prendete il mio passaporto: per colpa di questi tre signori è zeppo di ambiguità. Alla voce "Professione" c'è scritto: "Onda e/o Particella". Alla voce "Energia" c'è scritto: "dipende dalla posizione". Alla voce "Posizione" si legge: "dipende dall'energia". E alla voce "Lunghezza d'onda" c'è un enigmatico: "inversamente proporzionale all'energia". Per farla breve: la sola cosa certa è la mia data di nascita: "Istante Zero".
Sì, amici. Vengo dal Big Bang. Sono un fotone del Grande Scoppio Primordiale, quella esplosione che quindici miliardi di anni fa ha dato origine all'universo. Dirò di più, ci crediate o no: sono il più antico dei fotoni, il Primo Fotone. Il fotone dei fotoni. Quindi l'unico vero testimone della Genesi. Tutti gli altri fotoni, per quanto antichi siano, sull'istante iniziale dell'universo potranno darvi solamente informazioni di seconda mano. Parlano, parlano, parlano, ma soltanto per sentito dire. Almeno per quanto riguarda l'Istante Zero. Di quel che è successo immediatamente dopo, non dico che non possano raccontarvi cose interessanti. Ma riguardo alla Genesi in senso stretto, tutti i loro discorsi sono - scusate l'espressione brutale - aria fritta. Già, l'Istante Zero. Quindici miliardi e rotti di anni fa. Non stupitevi nel vedermi così ben conservato. Noi fotoni, che per definizione viaggiamo sempre alla velocità della luce, non possiamo invecchiare. Correndo alla velocità della luce (che, nel vuoto, corrisponde a 299.792.458 metri al secondo), il tempo si ferma. Certo, non sono più come all'Istante Zero. La mia energia, che era pressoché infinita, si è, per così dire, degradata. Oggi ho all'incirca l'energia di un qualsiasi fotone della cosiddetta radiazione fossile, cioè appunto di quella radiazione con un picco nelle microonde che risale al Big Bang e permea tutto l'universo. A scoprirla - lo ricorderete - furono Arno Penzias e Robert Wilson nel 1964. Non voglio annoiarvi troppo con la fisica, ma la sua emissione corrisponde a quella di un corpo nero alla temperatura di 2,7 kelvin. Cioè poco più di 270°C sotto zero.
Eh sì, dalla temperatura del Big Bang, che era di circa centomila miliardi di miliardi di miliardi di kelvin, mi sono ridotto così. Ma non è, come qualcuno antropomorficamente potrebbe supporre, un invecchiamento, una menomazione, una perdita di potenza virile. La mia giovinezza è eterna. Per quanti millenni e millenni passino, noi fotoni viviamo in un eterno presente. Come dire? Viaggiamo in parallelo con il tempo. È il presente che è cambiato con me e con tutti noi fotoni fossili (gli astrofisici ci chiamano in questo modo, e non mi pare un'espressione molto gentile). In questi quindici miliardi di anni ne ho viste delle belle, ve lo assicuro. Tra i primi ricordi, ho quello di uno spaventoso e angosciante sovraffollamento. Perché, dovete sapere, il numero dei fotoni, in un dato volume, è proporzionale al cubo della temperatura, e vi ho già detto quanto fosse caldo l'universo appena uscito dal Big Bang. Oggi, con la radiazione fossile ridotta a 270 gradi sotto zero, noi fotoni siamo 550 mila per decimetro cubo. Sembra molto, ma in realtà stiamo larghissimi. Anzi, soffriamo di solitudine. Immaginate invece quanto dovevamo essere ammassati uno addosso all'altro subito dopo il Big Bang, quando la temperatura era centomila miliardi di miliardi di miliardi di gradi! Poiché siamo attualmente più di mezzo milione per decimetro cubo e l'universo misura qualche decina di miliardi di anni luce, avrete già capito che costituiamo la popolazione più numerosa dell'universo. Ma stenterete a credere "quanto" siamo numerosi. Bene: per ogni particella nucleare c'è un miliardo di fotoni, e questo rapporto è rimasto più o meno costante da pochi istanti dopo il Big Bang fino a oggi... Se nel cosmo ci fosse un po' di democrazia, il governo dovrebbe spettare a noi fotoni, che siamo la maggioranza schiacciante. Invece, per una serie di vicende che vi riferirò molto brevemente tra poco, comanda la materia e noi siamo ridotti a semplici messaggeri. Come umili postini, portiamo in giro informazioni su ciò che combina quell'infima minoranza che è rappresentata dalle particelle nucleari. Cioè dalla materia. Maledetta materia! È una minoranza autoritaria, oserei dire che esercita una vera e propria dittatura. Si forma una molecola nello spazio interstellare? Subito vengono emessi fotoni radio. Si contrae una nebulosa? A portare in giro la notizia sono fotoni infrarossi. Nel cuore di una stella avviene una comunissima reazione termonucleare? Ecco che salta fuori un fotone gamma. La stella si riscalda fino alla sua superficie? Tocca a un esercito di fotoni luminosi uscire nel gelo dello spazio per rivelare la presenza della stella... e magari finire nel tubo di un telescopio, spiaccicati su un granulo di bromuro d'argento di una lastra fotografica messa lì da qualche astronomo, o, ancora più ingloriosamente, su un pixel di qualche CCD: sapete, quei sensori elettronici che hanno quasi soppiantato le fotografie alla fine del ventesimo secolo... Eppure questa materia costituita da particelle un miliardo di volte meno numerose di noi fotoni l'ho vista nascere. Ricordo benissimo quando, un centesimo di secondo dopo il Big Bang, la temperatura era di 100 miliardi di kelvin. L'universo, ancora piccolissimo, era un miscuglio indifferenziato di materia e di radiazione. Erano numerosissimi anche i neutrini ma eravamo noi fotoni a generare, nei nostri urti ad alta energia, elettroni, positroni e altre particelle. Un decimo di secondo dopo siamo stati ancora noi a produrre i mattoni che avrebbero poi dato luogo a protoni e neutroni. Che gran minestrone di quark e antiquark, di materia e antimateria! Con quella lieve dissimmetria che poi ha fatto prevalere un residuo di materia. La stessa che ora ci schiavizza e che non sarebbe mai esistita senza di noi. Eppure già un secondo dopo il Big Bang protoni e neutroni stavano spartendosi l'universo. I protoni avevano la meglio: erano il 76 per cento contro il 24 per cento dei neutroni. Dodici secondi dopo incominciano a formarsi i primi nuclei stabili, a partire dall'idrogeno e dall'elio. Ma a tre minuti dal Big Bang noi fotoni dominavamo ancora: l'annichilazione tra elettroni e positroni ci produceva a miliardi di miliardi di miliardi di... Bah, i numeri sono così inadeguati!
Noi fotoni primordiali abbiamo resistito bene fino a mezz'ora dal Big Bang, ma eravamo ancora, per così dire, invisibili. Soltanto 300 mila anni dopo il Big Bang, con atomi ormai stabili e quindi con lo spazio sgomberato dagli elettroni, l'universo è diventato trasparente. Ed è lì che materia e radiazione si sono separate per sempre. Il resto lo sanno tutti. Da un pezzo le forze fondamentali della natura - interazione gravitazionale, interazione forte, interazione debole e interazione elettromagnetica - avevano incominciato ognuna a farsi i propri affari. Nel primo miliardo di anni gli atomi di idrogeno ed elio si sono affannati a formare stelle e galassie e ammassi di galassie, mentre l'espansione cosmica proseguiva a ritmo vertiginoso. Ho visto un'infinità di stelle nascere da oscure nebulose, vivere dissipando fotoni a strafottere e infine morire in giganteschi giochi pirotecnici come nove o supernove, per poi dar luogo a nuove generazioni stellari e a un pizzico di elementi chimici pesanti: carbonio, ossigeno, silicio, calcio, ferro... È da questi elementi pesanti che ho poi visto formarsi sistemi di pianeti, e su alcuni sbocciare forme di vita: le più strane e le le più varie, qualcuna persino intelligente. Be’, si fa per dire: tutto è relativo. E ora, dopo tanto viaggiare, eccomi qui, catturato da una stupida antenna per microonde piazzata a bordo di un satellite artificiale, ostaggio di un astrofisico che pensa di strapparmi il segreto della creazione. Lo so benissimo che cosa vuole sapere da me, questo George Smoot jr.! Poveretto, si sbaglia di grosso se si illude che gli dirò che cosa ho visto all'Istante Zero. Non saro certo io - parola di Primo Fotone Fossile - a rivelare se dietro il bagliore del Big Bang ci fosse o non ci fosse quell'essere misterioso che gli uomini chiamano Dio.».
Secondo monologo
«Non dovete credere a questa storia, parola di Neutrino Fossile. C'è qualcosa di vero in ciò che avete letto, non lo nego, ma sul punto più importante il Fotone Fossile ha mentito spudoratamente. O almeno ha millantato un credito che non ha. E non ce l'ha semplicemente perché lui non può sapere che che cosa è successo nel periodo di tempo immediatamente successivo al Big Bang: il famoso Istante Zero non l'ha vissuto e non poteva viverlo. Il suo passaporto? È falsificato, grossolanamente falsificato. Ma quale Istante Zero! Ben che vada, quel fotone sarà comparso trecentomila anni dopo il Big Bang, quando materia e radiazione si sono separate! Ciò che racconta sulla Creazione è frutto di una tradizione orale piena di distorsioni e approssimazioni mitologiche, come certe leggende metropolitane. Inutile stare ad ascoltarlo: tanto vale, allora, leggere la Bibbia applicandole una interpretazione pressoché letterale. Roba degna di Isaac Asimov! Tutto ciò che posso concedergli, è di essere stato testimone di quelle pieghe, di quei lievi corrugamenti, di quelle piccole irregolarità nella distribuzione della materia primordiale che furono un po' come i semi dai quali sarebbero poi germogliate le strutture della materia organizzata: nebulose, stelle, quasar, galassie, pianeti e tutto il resto. Niente di originale, niente che gli astrofisici non sapessero da un pezzo. Il satellite "Cobe", Cosmic Background Explorer, scoprì quelle irregolarità già nel lontano 1992. Quante balle vi ha raccontato il sedicente Primo Fotone! Compresa quella sul fatto che i fotoni deterrebbero la maggioranza tra i costituenti dell'universo. Niente affatto. Sono numerosi, d'accordo, e la materia è una minoranza tirannica. Ma noi neutrini siamo ancora più numerosi. Loro sono 500 per centimetro cubo, noi, tra neutrini e antineutrini, siamo 800. Vedete bene che è un mitomane: del resto lui stesso vi ha confessato le turbe psichiche di cui soffre per non aver saputo accettare il dualismo onda/particella. Avrebbe proprio bisogno di un bravo psicoanalista, se ce ne fosse uno. Ma non saltiamo di palo in frasca. Temperature di centomila miliardi di miliardi di miliardi di gradi? Macché! Quando lui è comparso il termometro dell'universo segnava appena tremila gradi, e poiché la temperatura varia secondo la radice quadrata inversa del tempo, fate voi il calcolo di quanti millenni erano passati dal vero Big Bang. Volete una prova delle sue bugie? Basti dire che se lui è riuscito a giungere fino a noi è perché quando è comparso non aveva più una energia sufficiente a spostare gli elettroni dagli atomi di idrogeno e di elio: solo per questo ha potuto viaggiare e viaggiare e viaggiare finché il satellite di George Smoot jr. lo ha catturato. Ripeto: come minimo la sua nascita risale a trecentomila anni dopo il Big Bang, una verità che traspare persino tra le parole delle sue menzogne. Qualcuno dirà che rispetto all'età dell'universo - 15 miliardi di anni – è un'inezia: circa un cinquantamillesimo del tempo trascorso dall'Origine a oggi. No, signori, può sembrare una differenza trascurabile ma non è così, perché nella storia del cosmo quasi tutto ciò che è veramente importante è successo proprio nei trecentomila anni che hanno preceduto la comparsa dei fotoni fossili oggi osservabili. Anzi, nei primi tre minuti. Anzi, nei primi miliardesimi di secondo. Quelli sì, che sono stati tempi eccitanti: accoppiamenti e disaccoppiamenti a ritmo vertiginoso, incontri con misteriose particelle esotiche, "liaisons dangereuses" tra materia e antimateria dagli esiti a dir poco esplosivi, quark pieni di fascino e dotati di insolita bellezza, quark d'alto bordo, il Top dell'ambiente adronico nobiliare... Certo, i fotoni esistevano già prima dell'anno trecentomila, ma quelli sono tutti scomparsi: approfittando dei costumi sfrenati e dell'assenza di leggi fisiche severe, avevano una serie di reazioni frenetiche con le particelle primordiali. Questa autentica "Belle Epoque" cosmica dura da un minuto dopo il Big Bang a trecentomila anni dopo: posso concedere che quel fotone mitomane ne abbia sentito parlare da qualche quark residuo, sfuggito chissà come alla sintesi delle particelle subnucleari, ma non può averne che un'idea vaghissima, quasi indistinta. Risalendo indietro, dal primo minuto al vero Istante Zero, sono io, il Primo Neutrino Fossile, l'unico testimone oculare attendibile. Ma gli avvenimenti a cui ho assistito sono così straordinari che mi è difficile descriverli. Sono troppo lontani dal mondo che voi conoscete, cioè dalla sua temperatura, e quindi dai suoi livelli di energia, e quindi dalle leggi fisiche che in esso sono normalmente in vigore. Del resto, sia pure in modo farraginoso ed erroneo, qualcosa vi ha già accennato il fotone mitomane: c'è stato un tempo remoto nel quale le quattro forze fondamentali della natura erano tutte unite insieme: la gravità, che regola i moti celesti, l'interazione forte, che tiene insieme i nuclei atomici, l'interazione debole, che presiede ai fenomeni radioattivi, e l'elettromagnetismo, che (purtroppo) fa funzionare i televisori. Poi, una dopo l'altra, queste forze si sono separate...
Per aiutarvi a capire, mi servirò di un paragone. Prendete una cosa molto comune: l'acqua. Nell'esiguo spazio di energia di cento gradi puo esistere in tre forme completamente diverse: a zero gradi è ghiaccio, da 4 a 100 gradi è un liquido, oltre i 100 gradi è vapore. Il passaggio da uno stato all'altro, che i fisici chiamano transizione di fase, è improvviso. Se non foste abituati a vivere nel clima terrestre, fareste fatica a riconoscere che un cubetto di ghiaccio duro come pietra, una goccia di pioggia e una impalpabile folata di vapore sono la stessa cosa: molecole costituite da un atomo di ossigeno e due di idrogeno. Bene: l'universo primordiale è passato attraverso varie transizioni di fase analoghe a quelle a voi ben familiari nel caso dell'acqua. Il Fotone Fossile ha assistito soltanto all'ultima, quella del divorzio tra materia e radiazione. Prima c'era stata l'era della nascita dei nuclei atomici più semplici, formati al massimo da qualche protone e qualche neutrone: e siamo a un minuto dal Big Bang. Prima ancora, dieci millesimi di secondo dopo il Big Bang, i quark avevano incominciato a unirsi per formare protoni e neutroni con le loro rispettive antiparticelle, antiprotoni e antineutroni, sicché è seguito tutto quel bordello di annichilazioni reciproche tra materia e antimateria, dal quale è sopravvissuta soltanto la trascurabile eccedenza di materia che ora forma l'universo visibile. È a questo punto che, risalendo verso il Big Bang, le cose si fanno intricate: tutto si svolge in modo così terribilmente rapido! Un millesimo di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang c'è la transizione di fase in cui l'interazione debole, che è quella a cui noi Neutrini siamo sensibili, si separa dall'interazione elettromagnetica: scompaiono le particelle W e Z, ci vorranno Carlo Rubbia, Simon van der Meer e l'acceleratore SPS del Cern di Ginevra per fabbricarne di nuovo qualcuna, e a gran fatica, nel 1983. Prima ancora, alla temperatura di un miliardo di miliardi di miliardi di gradi, l'interazione forte si era separata da quella elettrodebole e la materia aveva preso la forma di quark. Ma qui, devo ammetterlo, i miei ricordi diventano sfocati. Ho sentito parlare di un fulmineo periodo di espansione dell'universo, il periodo detto dell'inflazione, una parola che, per essere sinceri, mi pare si adatti meglio alla politica economica di certi governi che non alla cosmologia. Prima ancora, immagino, interazione gravitazionale e interazione forte erano unite in una forza sola, ma non saprei dire come... In qualità di neutrino, il mio pensiero non può che essere debole... Del resto Gianni Vattimo ha dimostrato che con un Pensiero Debole si può campare benissimo, e quindi non mi lamento. Se proprio volete un pensiero forte, rivolgetevi agli adroni e lasciate in pace noi leptoni. Però, rispetto a quel contaballe del sedicente Primo Fotone, almeno sarò sincero: non ho visto Dio nell'atto di creare il mondo. Non voglio dire, con questo, che non ci sia. E neppure il contrario. Voglio solo dire che io sono venuto dopo. Di poco: ma quanto basta per aver perso il più bello della storia.».
Terzo monologo
«Sono un Gravitone Fossile. Io vengo davvero dal Big Bang! Che bei tempi, ragazzi! Tempo e spazio erano granulari. Quantizzati. Atomi di tempo e atomi di spazio in un intreccio indistinguibile. Le quattro forze fondamentali erano unite, andavano perfettamente d'accordo, una per tutte e tutte per una. E la forza gravitazionale, della quale mi onoro di essere il messaggero, dominava. Vi sto parlando di un'epoca che nel calendario dell'universo si colloca a 10 alla meno 43 secondi dal Big Bang: cioè un decimilionesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang.In quell'èra remotissima anche la gravità rientrava tranquillamente nella teoria dei quanti. Se fosse vissuto allora, Einstein sarebbe stato soddisfatto, avrebbe capito come mettere d'accordo la meccanica quantistica e la sua relatività generale, impresa che non gli è mai riuscita. Dopo di lui, per celebrare questo matrimonio tra teorie ostili, molti fisici teorici si sono prestati a far da mezzani, ma non c'è, per adesso, una soluzione che Regge, pardon, regge, con la minuscola. Neppure in forma ultrasemplificata, a due dimensioni. Proverò a darvi un'idea del problema. Per comprendere com'era l'universo nell'era della gravità quantistica bisogna analizzare la geometria dello spazio-tempo fino a particolari spaventosamente piccoli: dell'ordine di 10 alla meno 33 centimetri: cioè un miliardesimo di miliardesimo del diametro di un protone, il quale a sua volta misura un millesimo di miliardesimo di millimetro. Vi sto parlando di quella che i fisici chiamano "lunghezza di Planck". Ora, per vedere un oggetto qualsiasi, occorre utilizzare radiazione la cui lunghezza d'onda sia dell'ordine del diametro dell'oggetto che si vuol vedere: per esempio la luce vi mostrerà comodamente i batteri, ma per scorgere gli atomi di un cristallo ci vorranno i raggi X, che hanno lunghezza d'onda molto più piccola, paragonabile al diametro degli atomi. Voi sapete già, perché il sedicente Primo Fotone ve lo ha accennato, che secondo la meccanica quantistica l'energia dei quanti è inversamente proporzionale alla loro lunghezza d'onda. Di conseguenza, più piccolo è il particolare che si vuole vedere, più alta deve essere l'energia della radiazione usata per esplorare quel particolare. Ovviamente, per vedere un oggetto alla scala della lunghezza di Planck saranno necessari quanti di energia elevatissima: curiosamente quanta ne è contenuta sotto forma chimica in un pieno di benzina, ma concentrata su una singola infinitesima particella. Il guaio è che un quanto così pesante è in pratica un minibuco nero che crea un campo gravitazionale così intenso da distruggere l'oggetto che si vuole osservare, rendendo impossibile l'esperimento... Insomma, l'era della gravità quantistica si colloca incredibilmente vicino al Big Bang, in quello che è detto "tempo di Planck", e in dimensioni incredibilmente piccole, che sono quelle della "lunghezza di Planck". Ma quando ci si spinge così lontano ci si imbatte in qualcosa di peggio dell'ignoto: ci si scontra con l'inconoscibile. Un inconoscibile, però, perfettamente logico, privo di contraddizioni interne, coerente con tutto cio che è noto. Si può andare oltre, aggirare l'inconoscibile per definizione? Be’, ci sono delle idee. Ho sentito parlare di stringhe, di fluttuazioni quantistiche del vuoto, di un vuoto traboccante di particelle virtuali dal quale sarebbe germogliato l'universo come un coniglio bianco esce dal cappello a cilindro del prestidigitatore. Domanderete: e Dio? E se fosse un cappello a cilindro?»
(S.W. / 1° settembre 2044 / Harvard University)
NOTA. Nonostante la sigla che recano in calce, queste pagine, trovate dai SSP (Servizi Segreti Planetari) nel terzo cassetto di sinistra della scrivania di Steven Weinberg jr., hanno tutta l'apparenza di un falso, e anche maldestro, come rivelano le molte incongruenze cronologiche nella ricostruzione del Big Bang e gli errori di fisica teorica disseminati nel testo. Lo stesso tentativo di dare forma narrativa alle conoscenze cosmologiche risulta letterariamente rozzo. Si sospetta che l'autore sia Sheldon Glashow jr., il quale avrebbe agito nell'intento di gettare discredito sul collega. (Firmato: Revisore dei Servizi Segreti Planetari di secondo livello; segue una sigla stilizzata che potrebbe essere A.Z.)