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Anche le sonde spaziali hanno la febbre

Non solo noi umani, ma anche i satelliti e le sonde spaziali si trovano male se la loro temperatura è troppo alta. Nelle sonde spaziali una temperatura troppo alta (o troppo bassa) è pericolosa per gli “organi interni”, cioè per le apparecchiature elettroniche che lo fanno funzionare.

La sonda GenesisUn problema scottante

Per evitare danni ai componenti elettronici, la “pelle” del satellite, cioè la sua superficie esterna, deve stare a temperature comprese generalmente tra –20 e +50 °C. Un gioco da ragazzi sulla Terra, dove è raro che la temperatura ambientale superi questi valori, ma una faccenda spinosa nello spazio, per diverse ragioni.

La temperatura dell’ambiente in cui si trovano le sonde spaziali può variare molto e molto in fretta: la temperatura della superficie di Mercurio, per esempio, passa da +400 °C di giorno a –200 °C di notte. Sulla Terra l’aria ci aiuta a smaltire il calore (pensiamo a quanto soffrono i computer se si rompe la ventola del microprocessore), ma nello spazio non c’è atmosfera e il calore deve essere smaltito per irraggiamento, in modo meno efficiente. Infine, qualsiasi sistema si decida di usare per regolare la temperatura di un satellite, deve essere così affidabile da non avere mai bisogno di manutenzione per tutta la propria vita: se pensate che costi caro chiamare un idraulico per un intervento urgente, immaginate quanto costerebbe fare una riparazione in orbita! Questo problema taglia fuori di fatto tutti i sistemi idraulici di raffreddamento, come il condizionatore dell’automobile, perché non garantiscono un’affidabilità sufficiente.

Un discorso a parte vale per la Stazione Spaziale Internazionale, dove viene usato un sistema ad acqua abbastanza simile ai condizionatori delle nostre case, perché in caso di guasto gli astronauti possono intervenire.

Prevenire è meglio che curare

Come evitare che una sonda abbia troppo freddo o troppo caldo?

Il problema del freddo si risolve abbastanza facilmente, con resistenze elettriche che trasformano la corrente elettrica in calore per effetto Joule. Attraverso circuiti comandati da sensori guidati da una centralina, è possibile fornire in ogni momento il calore necessario. In questo caso l’unico limite è la potenza elettrica a disposizione, che viene fornita generalmente da pannelli fotovoltaici o, per sonde che devono allontanarsi molto dal Sole come Cassini-Huygens che era diretta su Saturno, da generatori termoelettrici al plutonio.

Molto più problematico è appunto evitare che la temperatura salga troppo (la “febbre”). Si agisce seguendo sostanzialmente due principi.

Primo, smaltire nello spazio il calore in eccesso, grazie a radiatori che rigettano nello spazio profondo il calore sotto forma di radiazione infrarossa, l’unico meccanismo attraverso cui è possibile liberarsi del calore nello spazio. Per migliorare le prestazioni dei radiatori, si fa ampio uso di “heat pipe” o “tubi di calore”, particolari dispositivi che sfruttando alcune proprietà fisiche dei liquidi riescono a condurre il calore centinaia di volte meglio di un tubo di rame (il miglior conduttore tra i metalli) delle stesse dimensioni.

La temperatura delle sonde spaziali Secondo, si cerca di evitare che troppo calore “entri” nel satellite: per questo le superfici più esposte al Sole sono rivestite con un multistrato isolante che applica un principio analogo a quello del thermos. Il multistrato è fatto principalmente da 10-20 sottilissimi strati di materiale riflettente simile nell’aspetto alla carta stagnola. Il fatto che gli strati siano riflettenti riduce l’assorbimento di calore e il fatto che siano molti fraziona il salto di temperatura tra l’interno e l’esterno in una serie di differenze più piccole tra ogni strato e il successivo. Dato che lo scambio termico per irraggiamento è proporzionale alla differenza di temperatura elevata alla quarta potenza, ridurre di dieci volte la differenza di temperatura significa idealmente ridurre il passaggio di calore di 10000 (104) volte (in realtà un po’ meno, a causa di diversi fattori).

Tradizionalmente esperta nel prevenire la “febbre” nei satelliti è l’industria spaziale torinese, che prima con l’Alenia Spazio e oggi con Thales Alenia Space ha curato il controllo termico di una parte consistente della Stazione Spaziale Internazionale e di molte sonde spaziali.

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