Secondo le stime del Progetto «Cuore» dell’Istituto superiore di sanità, In Italia la prevalenza dell’infarto tra i 35 e i 74 anni è dell’1,5% negli uomini e dello 0,4% nelle donne. Sempre secondo tale fonte, nel nostro Paese la mortalità per le malattie del sistema circolatorio è la più frequente, costituendo il 42% di tutte le morti. Tra la popolazione adulta (35-74 anni) il 12% di tutti i decessi è dovuto a malattie ischemiche del cuore e l’8% a infarto acuto del miocardio.
Nel 2000 lungo la Penisola si sono verificati 51.874 nuovi eventi coronarici negli uomini di età compresa fra 25 e 84 anni, e 26.934 nelle donne. Il tasso di incidenza standardizzato (Tse) è stato di 227,3 eventi ogni 100 mila uomini e di 97,9 eventi ogni 100 mila donne. Nel 2005 (ultimo dato disponibile) il Ministero della Salute ha registrato 123.570 dimissioni ospedaliere seguite a ricoveri dovuti a infarto miocardico acuto. Le ospedalizzazioni hanno interessato soprattutto gli uomini (79.725) e, in particolare, quelli tra i 45 e i 64 anni, seguiti dalla fascia d’età 65-74 anni. Per quanto riguarda le donne, la fascia d’età più interessata è quella delle over 75.
«Da sempre l’opinione pubblica e la classe medica ritengono la malattia coronarica una patologia prevalentemente maschile, ma è un assunto sbagliato», hanno ammonito gli esperti riuniti a Torino per il IV Congresso mondiale promosso dalla Cardiologia ospedaliera delle Molinette di Torino, diretta da Sebastiano Marra, assieme alla Mayo Clinic di Rochester (Minnesota). L'approccio tradizionale alla salute della donna è caratterizzato da una maggiore sensibilità per le patologie della mammella e dell'apparato riproduttivo (errore che è stato definito dagli esperti «approccio a bikini») e da una sostanziale disattenzione per la patologia coronarica. Ma la mortalità cardiovascolare in ambito femminile è circa doppia rispetto alla mortalità di tutti i tumori (nel 2002, in Italia, tra le donne si sono registrati 131.000 decessi per malattie del sistema cardiocircolatorio e 69.000 per carcinomi) e rappresenta, ancora più che nell’uomo, la prima causa di morte o disabilità (sempre nel 2002, nostro Paese, sono deceduti per patologie cardiovascolari 104.000 uomini e 131.000 donne).
A tutto ciò occorre aggiungere che nella donna la cardiopatia ischemica si presenta con tratti assai peculiari e grande variabilità nell'esordio, nei sintomi e nei fattori di rischio, rendendo spesso difficoltosa la diagnosi. Accanto ai fattori di rischio tradizionali debbono dunque essere valutati profili di rischio unici nel sesso femminile, come le alterazioni ormonali e un protratto stato dismetabolico, in grado di promuovere un substrato infiammatorio, che può provocare ischemia. Circa la metà delle donne con sospetta ischemia miocardica, peraltro, non presenta ostruzioni coronariche e ciò non implica necessariamente una prognosi benigna.
Altro problema di grande attualità, dibattuto nel corso del Congresso, è la stenosi aortica degenerativa nell'anziano. L'invecchiamento della popolazione e l’accresciuta possibilità diagnostica hanno reso la patologia valvolare aortica la prima, in termini di incidenza, tra le patologie valvolari. La terapia di riferimento è stata e rimane quella cardiochirurgica, ma le rapide evoluzioni tecnologiche degli ultimi anni hanno permesso l'introduzione di metodiche di trattamento percutanee non invasive per i casi più delicati, nei quali l'intervento chirurgico tradizionale si rileverebbe più rischioso. Finora sono state sperimentate due differenti valvole percutanee aortiche con risultati assai promettenti, tali da suggerire che, in un prossimo futuro, questa metodica possa diventare una vera e propria alternativa alla cardiochirurgia. Un ulteriore passo avanti nella cura delle valvulopatie è la recente introduzione di tecniche di riparazione mitralica percutanea non invasiva, ma il trattamento è, al momento, più complesso rispetto alla sostituzione valvolare aortica percutanea, poiché sono molte le eziologie in grado di determinare tale difetto valvolare. La strada, dunque, è ancora tutta in salita.
Un terzo punto di dibattito e confronto ha riguardato l’organizzazione della moderna Terapia intensiva cardiologica. Questa non è più una semplice Unità di terapia intensiva della malattia coronarica, dal momento che la sindrome coronarica acuta viene molto spesso trattata in Sala di emodinamica con l'esecuzione di procedure interventistiche. Nella moderna Unità di terapia intensiva, oltre ai pazienti con malattia coronarica, occorre gestire pazienti con scompenso cardiaco avanzato, ipertensione polmonare grave, patologia acuta dell'arco aortico e valvulopatie aortiche... Ciò richiede competenze multidisciplinari e la collaborazione con altri specialisti, quali nefrologi, diabetologi, ematologi, pneumologi e infettivologi.