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Alla Fiera del libro si è discusso il confine tra micro e macro

Tre esperti di fama internazionale hanno coinvolto il pubblico in un intenso dialogo “attorno ai massimi sistemi”

big bang L’universo ha dei confini? Le leggi che valgono al suo interno, e regolano da un lato il mondo subatomico e dall’altro le galassie, sono nettamente separate o esiste una teoria che supera eventuali barriere e incompatibilità? Domande complesse e affascinanti, proposte al pubblico della Fiera del libro di Torino (il cui tema conduttore quest’anno erano appunto i confini) da tre esperti di fama internazionale: Franco Pacini, direttore dell’Osservatorio astronomico di Arcetri, grande studioso di stelle pulsar e buchi neri; Sergio Fantoni, direttore della Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) a Trieste, fisico delle particelle; e Pietro Fré, docente di Fisica teorica all’Università di Torino, allievo di Tullio Regge e impegnato da anni nel campo della «teoria delle stringhe».

«Agli studi di astronomia», ha esordito Pacini, «si deve una delle scoperte più importanti dell’umanità, al cui confronto quella dell’America “impallidisce”: nel 1609, grazie al cannocchiale di Galileo, l’uomo ha scoperto che esistono altri pianeti e corpi celesti oltre alla Terra. Un’autentica rivoluzione intellettuale, che pochi ricordano ma si spera venga degnamente celebrata almeno nel 2009, in occasione del quattrocentenario».

All’epoca di Galileo, ha proseguito Pacini, l’universo conosciuto abbracciava sostanzialmente il sistema solare. Solo nell’Ottocento gli strumenti si sono affinati al punto da permettere di calcolare le prime distanze siderali, ma ancora agli inizi del Novecento prevaleva l’idea che l’universo fosse costituito dalla nostra sola galassia. Solo quando il diametro dei telescopi raddoppiò (arrivando a 2,5 m) si scoprì che esistono altre galassie e i confini dell’universo si dilatarono a dismisura: «Oggi sappiamo che ci sono circa cento miliardi di galassie», ha spiegato Pacini, «e che l’universo è un milione di miliardi di volte (10 elevato alla 15) più ampio di quanto pensasse Galileo».

Tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso si scoprì non solo che l’universo è molto più grande di quanto si supponesse in passato, ma anche che non è fisso e si evolve: l’universo è in continua espansione, a partire dal Big Bang iniziale, quando una grande quantità di idrogeno si convertì in elio. Negli anni Cinquanta Fred Hoyle diede un grande contributo alla comprensione di questo processo di «nucleosintesi», mediante il quale gli elementi più pesanti si formano all’interno delle stelle a partire dall’idrogeno e dall’elio. I confini tra mondo subnucleare e cosmologia iniziavano a diventare più labili.

La Pulsar Una svolta decisiva giunse dallo studio delle pulsar, osservate per la prima volta nel 1967 da Jocelyn Bell Burnell: si tratta di ex stelle di grande massa (tra 8 e 20 volte più del Sole) che, a un certo punto, hanno esaurito il combustibile nucleare e sono collassate sotto il proprio peso. «In questi collassi stellari», ha spiegato Fantoni, «gli elettroni vengono schiacciati sui protoni che, così, si trasformano in neutroni. Una pulsar, infatti, è formata per lo più da neutroni. Al proprio interno continua ad avere correnti elettriche e dunque campi magnetici che ruotano assieme alla stella. I fasci di onde radio, che fuoriescono dai poli magnetici della stella, si irraggiano nello spazio via via che essa ruota e danno vita ai tipici impulsi intermittenti registrati dai nostri strumenti».

Il punto è che quando protoni e neutroni sono compressi come nelle pulsar le leggi della fisica newtoniana non funzionano più e concetti come il determinismo della meccanica tradizionale non sono più validi: «Come spiegò Max Planck, le idee classiche sulla gravità e lo spazio-tempo cessano di essere applicabili a tempi di 10 elevato alla -43 secondi (pari a un “quanto di tempo”) e a distanze inferiori a 10 alla -33 centimetri.». A queste scale infinitesimali vale la teoria della meccanica quantistica, basata sul concetto di probabilità, per cui ad esempio una determinata particella subnucleare in un certo istante può trovarsi in più posti differenti. «Un’ulteriore difficoltà», ha aggiunto Fantoni, «è rappresentata dal fatto che, in genere, bisogna studiare contemporaneamente una miriade di particelle. Per tenere conto di tutte le variabili possibili, oggi si ricorre alle simulazioni con il computer: siamo ormai approdati a una fisica “simulata”, slegata da osservazioni dirette e risultati sperimentali».

relatività generale Ma tra la meccanica quantistica, che spiega bene i fenomeni a livello subnucleare, e la teoria della relatività, che funziona altrettanto bene a livello macroscopico, c’è un confine invalicabile? «Fino a una quarantina di anni fa questi due campi della fisica erano nettamente separati», ha ammesso Fré. «La teoria della relatività generale, che aveva sostituito quella della gravità di Newton, permetteva di descrivere piuttosto bene l’universo, rendendo chiaro che studiare distanze di 10 elevato alla 15 significava fare anche un viaggio nel tempo e osservare i primi istanti di formazione dell’universo, quando la materia obbedisce alle leggi della fisica quantistica. Divenne così indispensabile pensare a una “teoria superiore”, basata su leggi ardite, che spiegasse anche le altre. È la cosiddetta “teoria del tutto” o “teoria delle stringhe”, un’ipotesi matematica che parte da un’idea molto semplice: gli oggetti fondamentali, alla base della materia esistente, sono cordicelle (stringhe) di dimensioni pari alla lunghezza di Planck (10 elevato alla -33 centimetri). Secondo questa teoria le stringhe vibrano e, in base a come vibrano, danno luogo a diverse particelle subatomiche e alle forze che le governano. In pratica, le particelle subatomiche si possono paragonare alle note di un violino e la natura a una partitura musicale. Un paragone che può sembrare semplicistico, ma in realtà è molto calzante».

Secondo Fré la teoria delle stringhe risolve, dal punto di vista matematico, il problema della separazione tra i mondi micro e macro. In base ad essa, si calcola che potrebbero addirittura esserci 10 elevato alla 500 universi differenti. «In effetti», ha commentato Fré, «la teoria delle stringhe descrive non solo il reale, ma molto di più, cioè tutte le varianti possibili. Il problema vero diventa capire perché la variante corrispondente alla realtà che osserviamo è quella e non un’altra».

LHC interno Un’ultima considerazione riguarda la verificabilità della “teoria del tutto”. «Nella fisica tradizionale», ha spiegato Fantoni, «la verifica sperimentale e l’osservazione diretta sono una guida continua. Nel caso della teoria delle stringhe è impossibile fare esperimenti e l’unica prova di validità è la coerenza interna della teoria stessa». Ma è proprio così? «In realtà», ha risposto Fré, «la nuova “teoria del tutto” comprende anche una serie di predizioni (come l’esistenza di super-particelle) che attendono riscontri. Il Large Hadron Collider (Lhc), realizzato al Cern di Ginevra per far scontrare ad altissima velocità tra loro protoni pesanti, è stato costruito proprio per verificare una delle implicazioni della teoria delle stringhe. Nel progetto è stata investita una somma ingente di denaro, 5 miliardi di euro, proprio perché si crede alla fondatezza delle ipotesi di base».

Al termine della discussione il confine tra la cosmologia e il mondo subnucleare è risultato alquanto confuso: l’esatta conclusione a cui mirava questo moderno “dialogo sui massimi sistemi” .

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